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McDonald’s servito freddo: lo sciopero è il piatto del giorno

Il 7 maggio i dipendenti McDonald’s si fermano: niente hamburger, niente patatine, e soprattutto niente contratto integrativo. Mentre i capi si incontrano a Rimini per autocelebrarsi, i lavoratori servono un menù alternativo: protesta, presidio e dignità

McDonald’s servito freddo: lo sciopero è il piatto del giorno

McDonald’s servito freddo: lo sciopero è il piatto del giorno

Benvenuti da McDonald’s. Oggi il panino del giorno si chiama “sciopero”, e non è servito con patatine. Dentro ci trovi: turni spezzati, pause inesistenti, stipendi al minimo sindacale, contratti integrativi mai discussi e tanta, tantissima frustrazione. È questa la ricetta che ha spinto oltre 35.000 lavoratori della catena americana a proclamare una giornata di mobilitazione nazionale per martedì 7 maggio.

Sì, proprio loro: quelli che ti sorridono al banco, che cucinano a ritmo di cronometro, che puliscono, accolgono, smaltiscono ordini e clienti, che fanno girare un impero. Sono loro a dire basta. Perché dietro ogni Big Mac c’è una persona che lavora con il fiato sul collo e la certezza che nessuno, lì in alto, si prenderà mai la briga di ascoltarla davvero.

La goccia che ha fatto traboccare il bicchiere – anzi, il bicchierone da litro – è stato il rifiuto dell’azienda di aprire un tavolo per il contratto integrativo di secondo livello, quello che dovrebbe garantire condizioni migliori rispetto al minimo imposto dal Contratto Collettivo Nazionale della Ristorazione, rinnovato appena un anno fa. Un contratto che altre realtà del settore hanno già iniziato ad applicare. McDonald’s invece no. Troppo costoso? Troppo complicato? Troppo poco conveniente?

La risposta, forse, è tutta racchiusa nella location scelta dai lavoratori per la loro protesta: il Palacongressi di Rimini, dove quel giorno andrà in scena la lussuosa convention dei vertici di McDonald’s Development Italy. Un appuntamento patinato, dove si celebrano risultati, proiezioni, piani di espansione. Ma fuori, a partire dalle 14.30, ad attendere i dirigenti ci sarà una folla di dipendenti in presidio, accompagnata da un flash mob simbolico. A ballare, questa volta, saranno le contraddizioni di un colosso che vuole vendersi come moderno, green, inclusivo, ma che inciampa ogni volta che si parla di tutele reali.

Le sigle sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs sono chiare: “Questo non è un capriccio né una mossa politica. È la difesa di un principio semplice: chi lavora ha diritto a un riconoscimento dignitoso”. Eppure, raccontano, McDonald’s ha deciso di voltarsi dall’altra parte, rifiutando perfino di sedersi al tavolo.

E allora il fast food, per un giorno, rallenta. E mostra tutte le sue crepe. Altro che famiglia McDonald’s: qui i legami sembrano quelli tra datore e subalterno, tra profitto e sacrificio, tra chi conta e chi esegue. Niente benefit, niente incentivi, nessun “sentiamoci squadra”. Solo numeri, produttività, margini. E tanti bei video aziendali pieni di “valori” e “mission”.

Ma la verità, quella vera, la racconta chi ogni giorno mette il grembiule e la cuffietta: “Ci dicono che siamo il volto dell’azienda. Ma quando chiediamo rispetto, diventiamo invisibili. Non è più accettabile”.

Quella del 7 maggio non sarà solo una protesta. Sarà una chiamata nazionale a guardare dietro il banco del fast food, a vedere chi ci lavora davvero. A smettere di considerare questi giovani come “lavoretti da studenti” e iniziare a riconoscere che spesso è l’unico lavoro stabile che hanno. E se è vero che da qualche parte bisogna cominciare, allora è altrettanto vero che bisogna anche finire con le ipocrisie.

Perché se il panino è pronto in due minuti, la dignità non può aspettare anni.

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