Cerca

Attualità

Sanità alla frutta: il piano Riboldi cancella i problemi, non li cura

Dal 118 senza responsabile alle RSA in apnea, dai malati gravissimi esclusi ai dati spariti dello studio Bocconi: il nuovo piano sociosanitario del Piemonte è un taglia e cuci per salvare la faccia alla Giunta Cirio. Intanto, 24mila persone aspettano assistenza. E la Regione, al massimo, verifica

L'assessore regionale Federico Riboldi

L'assessore regionale Federico Riboldi

Il nuovo piano sociosanitario del Piemonte?

Una via di mezzo tra un compitino copiato male, una sceneggiatura da teatro dell’assurdo e un comunicato promozionale da campagna elettorale. Altro che sanità del futuro, qui siamo in piena operazione nostalgia, ma non di quelle che scaldano il cuore: qui si rimpiangono i tempi in cui almeno un assessore aveva il coraggio di dire le cose come stanno, anche quando facevano male. Ora invece si stende il velo. Un velo spesso, bianco e opaco, come quello della scolorina, per l’appunto. La vera protagonista di questo documento “preliminare” che l’assessore Federico Riboldi ha portato in Commissione IV, sotto lo sguardo rassegnato di chi, ancora una volta, si aspettava una diagnosi chiara e ha ricevuto invece un’altra dose di anestesia.

Il punto non è che le cose vadano male: il punto è che le cose vanno male da anni, e si continua a fingere che vadano benino. La differenza tra la realtà e la narrazione è tutta lì, scritta tra le righe (cancellate) del famoso studio della Bocconi, commissionato per offrire una fotografia dettagliata del sistema sanitario piemontese. Un’analisi che, se letta con attenzione, è un bollettino di guerra.

Ma che nel passaggio dal testo degli esperti al documento “istituzionale”, magicamente si svuota. Il gioco è sempre lo stesso: si taglia ciò che disturba, si edulcora ciò che potrebbe preoccupare, si enfatizza ogni intervento con la forza retorica del “faremo”, del “potenzieremo”, del “metteremo a sistema”. E chi vuole capire, capisca.

Daniele Valle, vicepresidente della Commissione Sanità di Palazzo Lascaris, l’ha detto chiaramente: “Più che un piano sociosanitario, sembra un taglia e cuci per nascondere le carenze del sistema. Un lavoro certosino di omissione”. E come dargli torto?

I nodi principali sollevati dalla Bocconi sono semplicemente scomparsi: non si parla più dei Pronto Soccorso con meno di 15.000 accessi annui, da riconvertire o chiudere. Non si parla più dei punti nascita sotto soglia, ancora attivi nonostante gli standard di sicurezza non vengano rispettati.

Silenzio assoluto sulla mancanza di personale nei dipartimenti di salute mentale, dove il Piemonte raggiunge appena 39,7 operatori ogni 100.000 abitanti, contro una media italiana di 58,3 e livelli di eccellenza come quelli dell’Emilia-Romagna (72,2) e della Lombardia (66).

Il consigliere regionale Valle

E se già questo fosse poco, si omette anche la drammatica realtà dell’assistenza domiciliare integrata (ADI): solo il 23% degli over 65 non autosufficienti riceve assistenza a casa, con una media di sei ore l’anno per ciascun assistito. Sei. In un anno. Un’ora ogni due mesi. Roba che neanche una badante part-time.

Eppure nel documento presentato, nulla di tutto questo viene affrontato con onestà. Anzi: si preferisce parlare genericamente di “valorizzazione del territorio”, “rafforzamento dell’integrazione sociosanitaria”, “ottimizzazione delle risorse”.

Frasi buone per ogni stagione, che non dicono nulla ma danno l’impressione che qualcosa si stia muovendo. E intanto, fuori dai palazzi, i quasi 24.000 cittadini piemontesi malati gravissimi – con demenze, invalidità, patologie neurodegenerative – continuano a essere “in attesa”. Ma attenzione: i dati sono in verifica, dicono dagli uffici della Regione. Cioè, non si sa se sono veri, se sono esatti, se sono aggiornati. Intanto però quei malati esistono. Aspettano. Resistono. E spesso muoiono senza che nessuno abbia deciso a chi toccava prendersene cura.

Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione Promozione Sociale, ha parlato di esclusione illegittima dalla tutela sanitaria. In altre parole, se sei troppo malato, la sanità pubblica ti scarica. E se protesti, ti arriva un bonus una tantum. Una carezza amministrativa per chi chiede un diritto. E non è un caso se la Giunta Cirio, negli ultimi anni, ha preferito il modello dei bonus al modello delle riforme: sono più veloci da annunciare, più facili da gestire e soprattutto ottimi per le foto sui social. Ma non curano. Non assistono. Non proteggono.

Nel frattempo, le RSA sprofondano. Le tariffe che la Regione riconosce ai gestori delle strutture sono ferme al 2017. L’accordo firmato lo scorso febbraio per un adeguamento è rimasto lettera morta. Gli operatori hanno spiegato in tutte le sedi istituzionali che i costi sono esplosi, gli stipendi vanno aggiornati, le bollette aumentano. Ma dalla Regione, nulla. E il rischio, già concreto, è che centinaia di strutture si trovino costrette a chiudere o ridurre i servizi. Con buona pace degli anziani ospiti, delle loro famiglie e dei 50.000 lavoratori del settore, che secondo il Pd sono ormai a rischio reale. A rischio futuro. A rischio presente.

Si dirà: almeno si è provato a fare un piano. Ma il problema non è averlo fatto: il problema è averlo fatto male. Averlo fatto nascondendo i dati veri, edulcorando i problemi, omettendo le soluzioni. Perché la verità – ed è la verità più inquietante – è che la Giunta non sa che pesci pigliare. Ha una sanità che si sta sfaldando sotto i piedi e cerca solo di guadagnare tempo, rimandare decisioni, placare il dissenso con qualche promessa e qualche virgola. Non è un piano sanitario, è un documento per difendersi dalle critiche. Un paravento. Un placebo.

Persino la logistica è una barzelletta. Lo studio Bocconi segnala che la Regione non ha ancora un modello centralizzato per la gestione dei magazzini e delle forniture, che ogni ASL procede in ordine sparso, che gli appalti sotto i 10.000 euro si moltiplicano senza logica. Eppure anche questo è scomparso. Non una riga. Non un’analisi. Solo silenzio e ottimismo di facciata. Come se i problemi, non nominandoli, potessero sparire per davvero.

Il tutto mentre le altre Regioni – Emilia, Veneto, Lombardia, Toscana – corrono, riformano, investono.

A volte sbagliano, certo. Ma almeno ci provano. Il Piemonte invece resta immobile. Mentre i reparti chiudono, le liste d’attesa si allungano, i concorsi vanno deserti, gli infermieri se ne vanno e i medici di base sono sempre meno.

SCARICA LO STUDIO BOCCONI CLICCA QUI

Domenico Rossi, segretario del Pd piemontese, è netto: “La Giunta Cirio ha provato a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma questa volta non ci è riuscita”. E in effetti, la polvere è troppa. È ovunque. Si infila nei corridoi degli ospedali, nelle chiamate dei familiari disperati, nei buchi di bilancio delle cooperative, nei contratti che non arrivano, nei turni massacranti del personale. Una polvere che non si cancella con una conferenza stampa. Non si elimina con un tweet.

Nel finale, come in una commedia grottesca, l’assessore Riboldi invita le opposizioni alla collaborazione: “Mettiamo da parte le divisioni politiche e lavoriamo insieme per il bene dei cittadini”. A sentirlo così, sembra quasi sincero. Peccato che le opposizioni, a quella collaborazione, avessero detto sì mesi fa. E in cambio abbiano ricevuto un documento svuotato, annacquato, blindato.

Come risponde Valle? “Caro assessore, sveglia. È ora di iniziare a governare”. La sanità non si governa con le bozze. Non si governa con gli slogan. Si governa con il coraggio di dire la verità. Di affrontare il disastro. Di riconoscere gli errori. Di scegliere.

Ma per farlo, ci vogliono due cose che, nel piano Riboldi, sono completamente assenti: visione e responsabilità. Tutto il resto, purtroppo, c’è. Anche la scolorina.

ASL TO4, un gigante dai piedi d’argilla: lo dice anche la Bocconi

Lo studio del CERGAS Bocconi fotografa con precisione chirurgica uno scenario che in molti vivono ogni giorno sulla propria pelle, ma che in pochi, finora, avevano il coraggio di dire ad alta voce: l’ASL TO4 è un gigante dai piedi d’argilla. Dietro l’apparente normalità di visite mediche, ospedali funzionanti e servizi territoriali, si nasconde una realtà fatta di carenze strutturali, personale allo stremo, ospedali da rifare e una sanità di prossimità che esiste solo sulla carta.

Il primo dato che balza agli occhi è quello relativo al personale. Dal 2010 al 2022 l’ASL TO4 ha perso pezzi, con un calo delle dotazioni organiche pari a circa il 5%, in controtendenza rispetto alle esigenze crescenti della popolazione.

E non basta: tra quelli rimasti, le assenze sono elevate, superiori al 10% su base annua. Permessi, malattie, congedi: le motivazioni possono essere diverse, ma l’effetto è sempre lo stesso. Uffici vuoti, ambulatori scoperti, servizi sospesi, medici e infermieri costretti a fare turni massacranti. Alla fine a pagarne il prezzo sono i cittadini, quelli che aspettano settimane per una visita, quelli che si sentono rispondere “non c’è posto”, quelli che devono arrangiarsi.

Un altro segnale d’allarme arriva dai Pronto Soccorso. L’ASL TO4 è tra le prime tre aziende sanitarie in Piemonte per accessi impropri nei PS in orario diurno, durante la settimana, per codici bianchi e verdi. In parole povere: la gente va al pronto soccorso anche per problemi banali, perché non sa dove altro andare. Perché i medici di base sono introvabili, i consultori hanno orari impossibili, gli ambulatori territoriali sono pieni o inesistenti. È il sintomo più chiaro del fallimento della sanità di prossimità, quella che dovrebbe intercettare i bisogni prima che esplodano.

E poi ci sono loro, gli anziani. Una popolazione sempre più numerosa, sempre più fragile, spesso sola. E mal servita. L’ASL TO4 ha livelli di presa in carico domiciliare e residenziale tra i più bassi del Piemonte. Le cure a casa scarseggiano, i posti nelle strutture sono pochi e costosi, il supporto familiare è dato per scontato, ma non è sempre garantito. Così succede che chi ha 80 o 90 anni e non può più camminare, mangiare da solo o lavarsi, venga abbandonato a se stesso, con visite a domicilio a singhiozzo e lunghe liste d’attesa per un ricovero in RSA.

Anche gli ospedali non se la passano meglio. L’ospedale di Ivrea, fiore all’occhiello del Canavese, ha bisogno di una profonda rigenerazione. Non è un’opinione, ma un dato di fatto: proprio per questo il PNRR ha stanziato 215 milioni di euro per costruire un nuovo polo, con 276 posti letto. Ma se si investe così tanto, significa che quello che c’è ora non basta più, che è obsoleto, inadeguato, forse perfino pericoloso. Intanto, mentre si parla di nuovi progetti, i cittadini continuano a curarsi in reparti fatiscenti, con attrezzature datate e spazi insufficienti.

Sul piano organizzativo, il caos regna sovrano. L’ASL TO4 ha 182 punti di consegna per materiali e forniture: un numero che sarebbe comprensibile in una metropoli, ma che in questo contesto si traduce in dispersione, inefficienza, spreco. Una rete frammentata, disarticolata, che fa perdere tempo e soldi, rallenta le operazioni, genera disservizi. Il contrario di quello che servirebbe in una sanità moderna.

E ancora: la sanità territoriale, quella che tutti invocano come soluzione ai problemi del sistema, nell’ASL TO4 è ancora un cantiere aperto, senza una visione precisa. Ambulatori che funzionano a macchia di leopardo, modelli assistenziali che cambiano da un comune all’altro, prescrizioni che dipendono dalla fortuna di trovare il medico giusto al momento giusto. Tutto è ancora troppo legato all’iniziativa del singolo, poco strutturato, raramente coordinato.

Lo studio Bocconi mette infine sotto la lente due ambiti fondamentali e troppo spesso trascurati: la salute mentale e l’infanzia. La neuropsichiatria infantile è in sofferenza cronica, mancano medici, psicologi, strutture. Anche i pediatri di libera scelta scarseggiano e i genitori si ritrovano a rincorrere appuntamenti o ad affidarsi al Pronto Soccorso anche per una febbre. Non è raro che bambini e ragazzi con disagio psicologico non vengano intercettati in tempo e si ritrovino soli, senza supporto, fino a esplodere.

Insomma, il ritratto dell’ASL TO4 che esce dallo studio CERGAS Bocconi è quello di una macchina stanca, che arranca, che prova a tenere insieme i pezzi con fatica. E non basta dire che “la sanità è in crisi ovunque” per chiudere gli occhi. Perché qui parliamo di persone, di famiglie, di bambini, di anziani, di medici e operatori. Parliamo della salute pubblica. E se anche la Bocconi, con il suo rigore accademico e la sua autorevolezza scientifica, arriva a queste conclusioni, forse è davvero il momento di ascoltare. E agire. Prima che sia troppo tardi.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori