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Ivrea, 166 presidi per la pace e ora si cambia strategia

In piazza di città, il presidio nato contro la guerra in Ucraina non si è mai fermato. Ma sabato scorso è arrivata la svolta: “Non basta esserci. Ora serve agire. E diventare scomodi”

Ivrea, 166 presidi per la pace e ora si cambia strategia

Ivrea, 166 presidi per la pace e ora si cambia strategia

Ci sono piazze in cui il tempo non passa, ma si stratifica. Ogni sabato aggiunge un mattone. Un’ora dopo l’altra, parola dopo parola. Così è diventata piazza di città a Ivrea. Un piccolo altare civile dove si celebra, da 166 settimane, la speranza ostinata di chi non accetta la logica della guerra. Da quando, nel febbraio del 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina, c’è chi ha deciso che il silenzio non poteva essere la risposta. E ha cominciato a stare lì. Senza saltare un sabato. Anche sotto la pioggia. Anche da soli. Anche quando il mondo sembrava voltarsi altrove.

È accaduto anche sabato scorso, ma con un cambio di tono. Come se, dopo mesi e mesi di parole, si fosse finalmente capito che la testimonianza non basta. Che bisogna fare di più. Agire, parlare, coinvolgere. Diventare scomodi.

A dare voce a questo sentire è stata Cadigia Perini, una delle anime più lucide e inquiete del presidio. Ha letto un messaggio straziante del giornalista gazawi Alhassan Selmi, in contatto con l’artista Marcella Brancaforte e il giornalista Raffaele Oriani. “Le madri a Gaza fingono di cucinare. Accendono fuochi e mescolano pentole vuote, per calmare i bambini affamati. È una cucina finta, un modo per farli addormentare nella speranza che arrivi un pasto che non arriverà mai. La fame è un’arma più potente delle bombe”. Parole dure come pietre.

il presidio

perini

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Poi Perini ha sentenziato: “Ogni giorno che passa constatiamo che la nostra presenza del sabato è insufficiente. Chiediamo che il Comune metta in atto le deliberazioni promesse. Ma ora dobbiamo agire noi. Scrivere lettere, contattare i parlamentari, chiamarli in causa. Non possiamo più limitarci alla testimonianza. Dobbiamo diventare pressione, presenza politica, anche scomoda”.

Come sempre, il primo a parlare è stato Pierangelo Monti, che ha aperto con una geografia della violenza: “Le guerre non sono mai cessate. Continuano in Ucraina, in Medio Oriente, in Africa, in Asia, in America Latina”.

Ha menzionato Haiti, dove nei primi tre mesi del 2025 sono stati registrati oltre 1.600 morti e 580 feriti, in un contesto di violenza diffusa e collasso istituzionale. Poi su Gaza.

“Ogni giorno – ha ricordato – decine di persone vengono uccise dai raid israeliani. È accaduto ieri, accade oggi. Accadrà domani”. Monti ha raccontato l’episodio dell’attacco a una nave della Freedom Flotilla, in acque internazionali vicino a Malta. Trent’anni di missioni umanitarie per rompere l’assedio su Gaza, sei viaggi mai giunti a destinazione. Questa volta a bordo c’erano anche Greta Thunberg e due italiani. Nessuna vittima, ma un messaggio chiaro: l’assedio non tollera testimoni. L’esercito israeliano – ha denunciato – sta preparando una nuova fase dell’offensiva: “Non solo Gaza, ma anche la Cisgiordania, il Libano, la Siria. Stanno richiamando decine di migliaia di riservisti. Ma c’è un dato nuovo: oltre 100 mila si rifiutano di rispondere”. Segno che, forse, la guerra inizia a incrinarsi anche dove viene prodotta.

Lo scorso 25 aprile – ha aggiunto – sono arrivati a Nevatim, da Washington, tre nuovi F-35I “Adir”. La flotta israeliana ne conta ormai 45. “Ma tra l’8 e il 9 maggio – ha proseguito – a Gerusalemme si terrà un evento che va nella direzione opposta: il People’s Peace Summit. Una coalizione di oltre 50 organizzazioni israeliane e palestinesi si riunirà per parlare di riconciliazione, ascolto, coesistenza”. Protagonisti saranno Aziz Abu Sarah e Maoz Inon, un palestinese e un israeliano uniti dal lutto – uno per la morte del fratello, l’altro dei genitori – ma anche dalla volontà di fermare il ciclo dell’odio.

Franco Giorgio ha letto un testo del giornalista Tareq Hajjaj: “Rafah non esiste più”. L’esercito israeliano ha raso al suolo la città, trasformandola in una zona cuscinetto permanente. Centinaia di migliaia di civili sfollati, interi quartieri cancellati, ambulanze colpite, soccorritori giustiziati. Le testimonianze raccolte parlano di tende incendiate, campi distrutti, tunnel bombardati. “L’obiettivo – scrive Hajjaj – è chiaro: rendere Gaza invivibile”. E la città che una volta era rifugio, oggi è solo un cratere.

È toccato poi a Matilde Lo Valvo leggere un testo scritto da Simonetta Valenti, che ha ripercorso la storia del presidio. “Ivrea è una città piccola, ma molto attiva. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina ci siamo ritrovati in piazza. Da allora non abbiamo mai smesso”. Valenti ha ricordato l’immagine di un vecchio partigiano che alla domanda “perché sei salito in montagna?” rispose: “Volevamo mandare via i fascisti e i tedeschi. Tutto qui”. È da quel “tutto qui” che nasce lo spirito del presidio: semplice, radicale, condiviso. Una comunità composita, che va da Rifondazione Comunista al Movimento per la Vita, un piccolo CLN moderno, capace di stare insieme senza rinunciare alle differenze.

Valenti si è poi concentrata sulla nascita di “Oltre il Presidio”, uno spazio di confronto e approfondimento, da cui sono nate numerose iniziative: serate pubbliche, workshop, cortei, presenze simboliche durante grandi eventi. “Ma – scrive – abbiamo imparato anche a gestire i conflitti interni. Perché non possiamo permetterci di frantumarci. Dopo tre anni, abbiamo capito che il rischio non è solo l’indifferenza del mondo, ma anche il rischio di essere una minoranza profetica. Per questo vogliamo diventare una rete di comunità generative, capaci di parlare anche alle nuove generazioni”.

A seguire, Livio Obert è tornato sui numeri. Le spese militari, i dati del SIPRI, la corsa al riarmo: “Nel 2024 la spesa globale ha raggiunto i 2.718 miliardi di dollari. Israele +65%, Russia +38%, Polonia +31%. E l’Italia? Saranno 33 miliardi nel 2025, 13 dei quali solo per gli armamenti”. Obert ha denunciato il cortocircuito dell’industria bellica: “Non dà lavoro sufficiente. Ma se produci armi, poi devi usarle. O venderle. La guerra è l’unico sbocco”.

Tra gli ultimi interventi, quello di Mariella Ottino, che ha affrontato il tema ucraino con un’analisi lucida e dura: “Putin ha ricostruito un esercito enorme. Gli USA vogliono la tregua, ma l’Europa vuole il riarmo. Francia e Inghilterra spingono per stabilire basi permanenti. Ma fino a quando combatteremo? Fino al 2028, come auspica l’UE?”. Ottino ha criticato la propaganda di guerra, i media schierati, la retorica dell’esportazione della democrazia: “Non ci abbiamo mai creduto. Nemmeno noi. I popoli non amano i missionari armati”.

Alla fine, come ogni sabato, la catena umana. Le mani che si stringono. Gli occhi bassi. I cartelli sollevati in silenzio. Ivrea continua. Resiste. Nonostante tutto. E mentre la piazza si svuota lentamente, resta una domanda che rimbalza in ognuno: “E adesso, cosa posso fare io?”

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