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03 Maggio 2025 - 18:53
“Mi chiedo a che cosa serva.” È questa la frase che sintetizza tutto.
Non è rabbia. È stanchezza. È disillusione. È la voce di Piera Paonessa, madre eporediese, cittadina qualunque e simbolo, ormai, di un disagio collettivo che a Ivrea nessuno riesce più a ignorare.
Ha fatto quello che una persona normale può fare. È andata a parlare con il sindaco Matteo Chiantore, ha chiesto risposte, soluzioni, impegni. Ha fatto di più. Ha ottenuto un incontro con il Prefetto di Torino, Donato Cafagna, portando con sé non un lamento, le foto, la sua storia. E non si è fermata. Ha fondato un comitato, Sicurezza al Centro, ha aperto una pagina Facebook, ha raccolto testimonianze, ha tenuto accesa l’attenzione. Ha fatto tutto ciò che le istituzioni si aspettano da una cittadina modello.
Eppure oggi, dopo settimane di riunioni, incontri, rassicurazioni, a suo dire, nulla è cambiato
“Il Prefetto ha istituito una zona di sicurezza. Lo ringrazio. Sta facendo molto, ma non basta - commenta Paonessa - I maranza si sono semplicemente spostati. Ora spacciano in Via Aldisio, Monte Stella, il parcheggio dell’ospedale, la Fiorana. È un elenco in crescita. Dove si bivacca, si scappa. Dove i cittadini camminano veloci, senza voltarsi..."
Chi conosce Ivrea, sa che non sta esagerando. È bastato un provvedimento, un'ordinanza, e il microspazio urbano attorno al Movicentro si è svuotato. Ma come acqua in una stanza inclinata, il fenomeno si è spostato da un'altra parte. Non è sparito. Non è stato risolto. Si è semplicemente riorganizzato.
“Con Telegram ci metto due secondi a dire dove sto spacciando”, insiste Paonessa.
E non è un’iperbole. È la realtà. È l’efficienza della criminalità al dettaglio, che conosce le tecnologie meglio di chi dovrebbe contrastarla. Che conosce i vuoti delle città. Che sa dove non arrivano le pattuglie.
E poi c’è il limite strutturale delle misure.
"Il Daspo urbano – previsto per chi delinque e non è residente – funziona solo per chi viene da fuori. Ma chi vive a Ivrea? Chi abita in città? Chi è minorenne? Chi ha fatto della piazza la sua seconda casa? Un conto è il Daspo per chi viene da Torino e non può mettere piede in città. Ma se uno abita qui, come faccio a impedirgli di continuare a girare? E allora la domanda vera è: dove sono i controlli? Dove sono le telecamere promesse, i vigili urbani, le luci accese sui marciapiedi dove si spaccia e si picchia? Abbiamo chiesto più illuminazione, più telecamere, più vigili urbani. Io continuo a non vederli. Solo quattro all’entrata e all’uscita dei bambini a scuola. E poi più nulla”.
E poi ancora: “Il Prefetto stesso mi ha detto che con l’ordinanza del sindaco, i vigili dovrebbero fare molto di più. Ma mi viene risposto che sono impegnati su altro, che non sono addestrati. Ma che risposte sono?”
Davanti a questo scenario, le parole pesano. Perché la voce che parla non è quella di un attivista professionista, non è un politico all’opposizione. È quella di una madre. Che ha paura. Che non vuole più vedere la rassegnazione negli occhi degli altri genitori, o la paura nei suoi figli.
Così è nato Sicurezza al Centro. Non una barricata, ma un presidio civile. Un gruppo di madri che ha scelto di usare le parole giuste, la forma corretta, il tono costruttivo. Ma che ora si sente tradito. Non ascoltato. Preso in giro.
“Anche i cittadini hanno il diritto di esprimersi e di presentare proposte”, commenta Paonessa. È una frase semplice.
Ma, oggi, a Ivrea, suona come una rivendicazione rivoluzionaria. Perché quando il cittadino smette di essere ascoltato, la democrazia si sfilaccia. Quando il cittadino è lasciato solo, il degrado avanza. Quando il cittadino diventa invisibile, chi ha qualcosa da nascondere si sente libero.
Ecco il paradosso: oggi i cittadini si sentono ospiti della loro città. E gli spacciatori si comportano da padroni.
Ivrea è stanca. Lo si percepisce nelle parole delle madri. Nei racconti dei commercianti. Nei silenzi degli anziani che non attraversano più certe piazze. Ma c’è chi ha deciso che no, non ci si può rassegnare.
E questa resistenza ha oggi un volto. Quello di Piera Paonessa.
Una donna qualunque, che ha avuto il coraggio di non voltarsi dall’altra parte. Che ha messo il suo nome, la sua faccia, le sue parole, al servizio di una città che si sente lasciata sola.
"Ho solo trovato un sostegno dal consigliere comunale Massimiliano De Stefano..." passa e chiude.
Di sottofondo una città che – forse – comincia a credere che per cambiare qualcosa, non serve avere potere. Serve avere coraggio.
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