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03 Maggio 2025 - 17:40
Gianni Alemanno dal carcere: una lettera che scuote il sistema penitenziario italiano
Una cella del Nuovo Complesso di Rebibbia, la sera del 30 aprile. È da qui che parte una lettera firmata da Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, oggi detenuto, condannato in via definitiva a un anno e dieci mesi. Una missiva scritta a quattro mani con Fabio Faldo, conosciuto tra le mura del carcere come “Lo Scrivano di Rebibbia”, e indirizzata al ministro della Giustizia Carlo Nordio. L’obiettivo è chiaro: accendere un faro sull’emergenza carceraria italiana, una crisi che si aggrava di giorno in giorno, nell’indifferenza generale.
Mentre il Paese si godeva il ponte del primo maggio, due nuove tragedie scuotevano il sistema penitenziario: un uomo si toglieva la vita a Terni, un altro veniva trovato morto nella sua cella a Gorizia. Non sono casi isolati: è il drammatico sfondo su cui si staglia la denuncia di Alemanno e Faldo, che parlano di una situazione “insostenibile e contraria ai principi costituzionali”.
La lettera, trasmessa anche al viceministro Francesco Paolo Sisto e ai sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, è un atto politico e umano. Un appello a nome di tutti quei detenuti che, nel silenzio, scontano la pena in condizioni che – denunciano – violano i diritti fondamentali della persona. Il primo nodo critico? Il sovraffollamento, che “mina il principio rieducativo della pena sancito dall’articolo 27 della Costituzione”. Un dato su tutti: in molte strutture italiane si tocca e supera il 150% di capienza.
I firmatari parlano poi di gravi carenze sanitarie, dovute sia alla scarsità di personale medico che alla mancanza di diagnosi e cure adeguate. “Non è accettabile che chi entra con problemi di salute venga abbandonato a se stesso o, peggio, peggiori il proprio stato fisico e mentale durante la detenzione”, scrivono.
Non solo sanità e sovraffollamento. La lettera punta il dito contro il diniego sistematico della detenzione domiciliare per gli ultra-settantenni, nonostante le condizioni fisiche spesso precarie. Si denunciano inoltre i numerosi permessi premio negati, anche in presenza di condotte esemplari, e un uso troppo disinvolto della custodia cautelare: oltre 1.180 i casi di ingiusta detenzione, con 27 milioni di euro spesi in risarcimenti dallo Stato.
C’è poi il nodo dei braccialetti elettronici, teoricamente disponibili per consentire forme alternative alla detenzione, ma largamente inutilizzati. Alemanno e Faldo non usano mezzi termini: “È tempo di riforme urgenti per sgravare la magistratura di sorveglianza e le strutture esterne, oggi al collasso”.
Tra le proposte concrete contenute nella missiva, spicca l’introduzione di una “liberazione anticipata speciale”, sull’esempio di quanto già fatto in passato, ed estendibile almeno fino al termine della pandemia. Una misura che, sottolineano, potrebbe alleggerire la pressione sul sistema carcerario in tempi rapidi. Ma si chiede anche una revisione più strutturale della liberazione ordinaria, in linea con i modelli degli altri Paesi europei.
“Le persone detenute sono parte vulnerabile della società”, scrivono i due. “Intervenire oggi non è un atto di debolezza, ma un segno di giustizia e civiltà”.
Il ministro Nordio ha replicato con toni rassicuranti, ricordando il recente protocollo siglato con il CNEL e il progetto “Recidiva Zero”, finalizzato a favorire il reinserimento sociale dei detenuti. “Stiamo lavorando – ha detto – per inserire i detenuti nella società con equa retribuzione. Vogliamo evitare che restino intrappolati nella cultura dello scarto di cui parla Papa Francesco”.
Tra le intenzioni del Ministero, anche la costruzione di nuove strutture e il potenziamento delle forme di detenzione alternativa, soprattutto per le persone tossicodipendenti, che secondo Nordio sono “più malati da curare che criminali da punire”.
Ma per Alemanno e Faldo – e per molti detenuti come loro – le intenzioni non bastano più. Il sistema, denunciano, è già imploso, e ogni giorno che passa senza un’azione concreta significa nuove sofferenze, nuove ingiustizie, nuove morti. La loro lettera, partita dal Reparto G8 di Rebibbia, non è solo una denuncia, ma anche un tentativo di restituire voce e dignità a una parte dimenticata del Paese.
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, ex ministro, volto storico della destra post-Missina, oggi è un detenuto. Recluso dal 31 dicembre scorso nel Nuovo Complesso di Rebibbia, sta scontando una condanna definitiva a un anno e dieci mesi per corruzione. Proprio da dietro le sbarre ha firmato, il 30 aprile, una lettera rivolta al ministro della Giustizia Carlo Nordio, insieme al compagno di detenzione Fabio Faldo, per denunciare le condizioni drammatiche del sistema carcerario italiano.
La parabola politica e umana di Alemanno è emblematica. Nato a Bari nel 1958, cresciuto a Roma, inizia la sua carriera politica nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. Dalla militanza neofascista sale rapidamente ai vertici della destra italiana. Con Alleanza Nazionale entra nel governo Berlusconi come ministro delle Politiche Agricole (2001-2006), dove si fa conoscere per un’attenzione retorica ai ceti popolari e al “patriottismo economico”.
Nel 2008 compie il grande balzo: viene eletto sindaco di Roma, primo esponente della destra post-fascista a conquistare il Campidoglio dal dopoguerra. Il suo mandato, durato fino al 2013, è segnato da forti tensioni e accuse di clientelismo, con ombre sempre più fitte su alcune scelte amministrative, come la gestione degli appalti e dei grandi eventi. Negli anni successivi il suo nome finisce accostato a Mafia Capitale, anche se viene prosciolto dalle accuse più gravi.
La condanna definitiva che lo ha portato in carcere riguarda una vicenda legata a tangenti e finanziamenti illeciti per la fondazione “Centro Studi Nuova Italia” e per l’organizzazione del vertice FAO del 2008. La giustizia ha parlato di uno scambio di denaro in cambio di appalti pubblici, e nel 2024 è arrivata la sentenza definitiva.
Oggi, a Rebibbia, Alemanno veste i panni di un detenuto che chiede giustizia per i detenuti. Nella lettera indirizzata a Nordio – e trasmessa anche al viceministro Francesco Paolo Sisto e ai sottosegretari Delmastro e Ostellari – denuncia il sovraffollamento carcerario, le carenze sanitarie, l’abuso della custodia cautelare, la mancata applicazione della detenzione domiciliare per gli ultra 70enni, e l’inutilizzo dei braccialetti elettronici. Propone, tra le altre cose, una liberazione anticipata speciale, come già avvenuto in passato, per alleggerire la pressione sul sistema.
Il documento, scritto con toni fermi ma istituzionali, arriva in un momento critico per il sistema penitenziario italiano: il primo maggio un detenuto si è tolto la vita a Terni, mentre a Gorizia un altro è stato trovato morto in cella. La lettera firmata da Alemanno non è solo una denuncia: è anche un atto politico, forse il primo vero gesto pubblico da quando è entrato a Rebibbia.
Che sia un tentativo di redenzione, un ritorno in scena o una sincera presa di coscienza, resta il fatto che Gianni Alemanno, simbolo della destra di governo per vent’anni, oggi parla da un altro angolo dell’Italia: quello delle celle sovraffollate e dimenticate. Dove la rieducazione promessa dall’articolo 27 della Costituzione, troppo spesso, resta solo un’illusione.
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