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Operazione "Mani pulite"

La Città della Salute celebra la Giornata Mondiale dell’Igiene con gadget, poster liceali e raggi UV, mentre nei reparti si combatte con i turni massacranti e le infezioni vere

Thomas Schael

Thomas Schael

Altro che Tangentopoli. Altro che Di Pietro, Borrelli, tribunali e faldoni giudiziari. A Torino, oggi, “Mani Pulite” è diventata una questione di igiene ospedaliera. E poco importa se l’accostamento sfiora il grottesco: l’operazione è tutta lì, dentro una circolare piena di buone intenzioni firmata dal Commissario Thomas Schael per la Giornata Mondiale dell’Igiene delle Mani. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’iniziativa? Torino risponde presente, con la solennità di una Procura della Repubblica, ma al posto dei PM ci sono gli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo. Al posto degli interrogatori, i tutorial per frizionarsi le dita.

Mani pulite, sì. Ma stavolta non si tratta di corruzione, ma di batteri. Non si lavano le coscienze, si lavano proprio le mani. Con il gel alcolico. Con il “box pedagogico” a raggi UV. Con i poster colorati realizzati da ignari studenti del Liceo Artistico, chiamati – pare – a salvare il Sistema Sanitario Nazionale con pennarelli e buonumore. E naturalmente con i gadget: gel formato borsetta, portachiavi col logo aziendale e brochure patinate. Perché la lotta ai germi non si fa più con il sapone: si fa col marketing.

La scena è surreale. All’ingresso dei quattro ospedali della Città della Salute, lo spazio allestito per la “prova di frizione” sembra più un corner promozionale da centro commerciale che un presidio sanitario. Si entra, si riceve il gel, si passano le mani sotto la lampada ultravioletta, si osservano le macchie come se fossero monete rare. Poi ci si complimenta con se stessi. L’igiene è fatta. Il resto, cioè la carenza di personale, le liste d’attesa, le infezioni ospedaliere vere, quelle da batteri multiresistenti che proliferano tra letti e corsie, può attendere. L’importante è mostrare che almeno su questo fronte, la sanità “ci tiene”.

E ci tiene davvero. Talmente tanto che ha affidato la campagna a una comunicazione visiva degna della Settimana Enigmistica: mani stilizzate, slogan accattivanti, immagini rassicuranti. C’è da chiedersi chi sia il vero target dell’operazione: i cittadini, i pazienti… o forse i dirigenti stessi, bisognosi di lavarsi le mani da un sistema che ogni giorno arranca? Perché in fondo, quella frizione simbolica con il gel sa tanto di autoassoluzione istituzionale.

Si celebra così, con l’aria di chi ha fatto il proprio dovere, una giornata nata per sensibilizzare sull’importanza dell’igiene, ma trasformata – almeno qui – nell’ennesimo rituale sterile, ben confezionato e social friendly. Una performance. Una parata. Una giornata dell’ovvio, dove ci si applaude per aver ricordato che lavarsi le mani serve.

Eppure, c’è qualcosa di tragicomico nel contrasto tra questa narrazione immacolata e ciò che accade quotidianamente dentro gli ospedali: corsie strapiene, personale in affanno, carrelli arrugginiti, stanze d’isolamento che isolano poco e niente. Mani pulite, ma reparti sporchi. Mani profumate al limone, ma piani operatori che cadono a pezzi. Mani lucide, ma coscienze opache.

E allora sì, viva “Mani Pulite”. Ma almeno diciamolo chiaramente: questa non è l’inchiesta che farà tremare i palazzi. È solo l’ennesima occasione per sembrare efficienti, per “fare qualcosa” senza davvero cambiare nulla. Una giornata per sentirsi virtuosi, mentre tutto intorno continua a infettarsi.

Insomma, laviamoci pure le mani. Ma per favore, non prendiamoci anche in giro.

P.S.
Non è colpa mia se, appena ho letto “Mani Pulite”, mi sono venuti in mente Antonio Di Pietro, Craxi sotto il Raphael e le monetine. Sarà deformazione professionale, o forse solo che in Italia, quando si parla di mani pulite, il pensiero corre subito a quelle sporche.

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