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Il Piano sociosanitario? Solo slide e aria fritta. E la Giunta Cirio si dà pure coraggio

Riboldi e Marrone annunciano un piano che non esiste, tra promesse estive e PowerPoint vuoti. A trent’anni da D’Ambrosio, la sanità piemontese resta senza guida. L’unico a parlare chiaro è il commissario Schael, che racconta i numeri drammatici della Città della Salute

Il Piano sociosanitario? Solo slide e aria fritta. E la Giunta Cirio si dà pure coraggio

Luigi Icardi, Federico Riboldi e Sarah Disabato

C’era una volta Antonio D’Ambrosio, assessore alla Sanità della Regione Piemonte negli anni ’90. Uno che la sanità la conosceva davvero, che ci metteva la testa e il cuore, e che lasciò in eredità l’ultimo vero Piano sociosanitario regionale. Un documento serio, strutturato, pensato per durare. E infatti è durato: non perché fosse eterno, ma perché nessuno, nei trent’anni successivi, ha mai avuto il coraggio, la competenza o la volontà politica per aggiornarlo.

Ora, dopo decenni di silenzio e tentativi abortiti, ecco che si affaccia sulla scena il nuovo duo del “rinnovamento”: Federico Riboldi, assessore alla Sanità, e Maurizio Marrone, assessore alle Politiche Sociali. Due che si autodefiniscono coraggiosi solo per aver aperto il PowerPoint. Due che annunciano in Commissione Sanità – presieduta dal solito Luigi Icardi – che il nuovo Piano sarà “pronto prima dell’estate”. E giù applausi (autoindotti), parole d’oro, concetti generali, nessuna data.

Il documento? Non c’è. O meglio: c’è una sintesi, una bozza embrionale, un collage di “principi generali” e riferimenti agli studi commissionati dalla Giunta regionale a enti esterni – Bocconi, CSI Piemonte, IRES, Agm – con costi da capogiro, immagazzinati in un file dal peso specifico inferiore a quello di una pubblicità su Instagram.

Eppure, con la solennità di chi ha appena firmato il trattato di Maastricht, Riboldi proclama: “Questo è un atto di coraggio. Un nuovo Piano sociosanitario che guiderà il Piemonte per i prossimi 20 anni”. Coraggio? Forse. Ma l’impressione è quella di chi si butta da un trampolino… senza piscina sotto.

Le opposizioni – Alice Ravinale (Avs), Monica Canalis, Daniele Valle, Mimmo Rossi, Domenico Ravetti, Gianna Pentenero (Pd), Sarah Disabato e Alberto Unia (M5S) – hanno provato a riportare il dibattito con i piedi per terra. Hanno chiesto dove sia la bozza vera. Dove siano gli obiettivi concreti. Dove sia la tabella di marcia. Risposta? Nessuna. Solo il presidente Icardi a ribadire, come se stesse leggendo il foglietto illustrativo di un integratore, che “quello presentato è un documento propedeutico con principi generali”. Traduzione: non c’è niente. Ancora. Dopo sei anni.

Antonio D'Ambrosio

Nel frattempo, fuori dalla bolla dei comunicati stampa e delle audizioni in streaming, la sanità piemontese arranca. Gli ospedali fanno i salti mortali per sopravvivere. Le liste d’attesa sono una condanna. Il personale sanitario è esausto. I gettonisti si moltiplicano come lieviti in una panetteria. E i progetti finanziati con il PNRR, come le Case della Comunità, gli Ospedali di Comunità, le Centrali Operative Territoriali, restano impantanati nei meandri della burocrazia.

Ma mentre la Giunta Cirio continua a galleggiare sulla politica degli annunci, un lampo di realtà – uno solo – attraversa la Commissione. A portarlo è Thomas Schael, il nuovo commissario della Città della Salute e della Scienza di Torino, in carica da appena due mesi.

Schael non ha bisogno di slide. Parla chiaro. E racconta una verità brutale. La Città della Salute è una gigantesca struttura con quattro presidi sanitari e 10mila dipendenti, di cui oltre un terzo sono amministrativi e tecnici. Un colosso ingessato che ha perso 200 milioni di euro nel 2023. Un ospedale che, pur essendo tra i maggiori d’Europa, fatica a informatizzarsi, a condividere le agende, a garantire efficienza e trasparenza.

Eppure, Schael non si lamenta. Non si nasconde dietro le parole. Si prende la responsabilità. E dice chiaramente che c’è da fare un lavoro immenso, ma possibile. Che si può e si deve cambiare rotta. Che la sanità non è una vetrina elettorale, ma una rete di servizi da salvare, da rafforzare, da rispettare.

Un contrasto imbarazzante, quello tra la concretezza del commissario e la fumosità delle promesse di Giunta. Da una parte c’è chi lavora in trincea, tra i padiglioni delle Molinette. Dall’altra chi si trastulla con la retorica delle “visioni a lungo termine”.

Intanto, si apre anche il dibattito sulla libera professione intramuraria, con la proposta di legge del consigliere Icardi e le consultazioni online aperte fino al 13 maggio. Perché in Piemonte funziona così: quando non si sa cosa fare, si fa un sondaggio. Quando non si sa dove andare, si chiede un parere. Quando si è in ritardo, si promette.

E mentre la Regione gioca a simulare la programmazione, le persone aspettano. Aspettano una sanità che funzioni. Aspettano medici che non siano costretti a migrare. Aspettano che la salute torni a essere un diritto, non una roulette.

Disabato, Unia e Coluccio del Movimento 5 Stelle lo hanno detto senza mezzi termini: “La Giunta Cirio continua a prendere in giro il Piemonte. Il Piano sociosanitario non esiste. Solo aria fritta”. E questa volta, la frittura non è nemmeno croccante. È stantia. E fa male.

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