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29 Aprile 2025 - 12:16
Un grande striscione bianco con la scritta nera, semplice e diretta, è apparso nella notte davanti a Palazzo di Città, sede del Comune di Torino. A firmarlo, il movimento Avanguardia Torino, che ha deciso di rispondere con un gesto simbolico alla rimozione di un manifesto commemorativo dedicato a Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della Gioventù, ucciso brutalmente a soli 18 anni, nel 1975, a Milano, da un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare.
"Potete rimuovere un manifesto, ma non il ricordo": con queste parole, i manifestanti hanno voluto ribadire che la memoria di Sergio Ramelli non può essere cancellata da un atto amministrativo, né da un gesto di censura. Un messaggio chiaro, che ha accompagnato anche l’affissione di centinaia di manifesti in diverse zone di Torino, raffiguranti il volto sorridente del giovane studente, diventato negli anni un simbolo nazionale della violenza politica degli anni di piombo.
In una nota ufficiale, Avanguardia Torino ha spiegato le ragioni della protesta: "In seguito alla notizia della rimozione, ordinata dal Comune attraverso un suo funzionario e senza alcuna spiegazione, del maxi manifesto affisso dal nostro movimento, abbiamo deciso di reagire. Non con atti di violenza, ma riaffermando con forza il diritto alla memoria". Una risposta che si riveste di toni ancora più indignati nel prosieguo della comunicazione, dove si definisce il gesto del Comune "deplorevole e vergognoso, privo di ogni giustificazione e ancor più grave perché compiuto alla vigilia del 29 aprile, anniversario della morte di Ramelli".
Sergio Ramelli era un ragazzo come tanti, cresciuto a Milano, studente all’Istituto tecnico Molinari. Un tema scolastico in cui condannava apertamente gli omicidi politici delle Brigate Rosse bastò a marchiarlo come "fascista" agli occhi di una parte della scuola e dei collettivi studenteschi. Bersagliato da mesi da minacce e violenze, fu costretto a cambiare istituto, ma la persecuzione non si fermò. La sera del 13 marzo 1975, mentre parcheggiava il suo motorino sotto casa, in via Paladini, fu aggredito con chiavi inglesi da un commando di Avanguardia Operaia. I colpi violenti alla testa gli causarono ferite gravissime: dopo 47 giorni di coma, Sergio Ramelli morì il 29 aprile.
Il processo, avviato solo dodici anni dopo i fatti, nel 1987, si concluse con la condanna di dieci imputati, anche se le pene furono sensibilmente ridotte rispetto alla gravità dei reati, e molti degli aggressori beneficiarono di misure alternative alla detenzione. Nonostante il tempo trascorso, il suo nome continua a evocare in Italia un dibattito acceso: per alcuni un simbolo della memoria negata, per altri una figura scomoda da dimenticare.
A Torino, la vicenda della rimozione del manifesto si inserisce in questo contesto mai del tutto superato. Nessuna comunicazione ufficiale è arrivata dal Comune, né una spiegazione sulla decisione di far rimuovere il manifesto, che – secondo gli organizzatori – era stato regolarmente affisso e non conteneva elementi offensivi o provocatori. Una scelta che, proprio per l'assenza di motivazioni chiare, viene interpretata come un atto politico, un tentativo di negare la memoria di una vittima solo perché associata a una parte politica.
"Ricordare Sergio Ramelli – affermano i portavoce di Avanguardia Torino – significa anche ricordare tutti quei giovani che, negli anni più bui della Repubblica, furono vittime della violenza politica, indipendentemente dalle loro idee. Sergio non ha imbracciato armi, non ha ucciso nessuno: è morto per ciò in cui credeva".
Il caso ha inevitabilmente sollevato reazioni anche al di fuori dei circoli militanti. Sui social network, diversi cittadini hanno espresso solidarietà per l'iniziativa, condannando la decisione dell'amministrazione comunale e invocando il rispetto della memoria storica, al di là delle appartenenze ideologiche.
Nel frattempo, a Milano e in molte altre città italiane, sono previste per il 29 aprile numerose commemorazioni ufficiali e spontanee. Tra queste, la posa di una corona di fiori in via Paladini, sotto la targa che ricorda il sacrificio di Ramelli, ma anche messe, dibattiti pubblici e iniziative di sensibilizzazione. Quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha voluto emettere un francobollo commemorativo dedicato a lui: un riconoscimento che per molti rappresenta un passo importante verso una memoria condivisa, lontana dagli odi che hanno insanguinato il passato.
La storia di Sergio Ramelli continua a interrogare l’Italia: un Paese che, a distanza di cinquant’anni, fatica ancora a fare i conti con le sue ferite più profonde. E anche il gesto silenzioso ma eloquente di uno striscione notturno davanti al Comune di Torino lo dimostra: la memoria non può essere rimossa con un ordine amministrativo. Resta lì, ostinata e viva, come il ricordo di quel giovane volto, strappato alla vita troppo presto.
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