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25 Aprile 2025 - 11:56
Enrico Toledo
C’è un posto, nella cintura nord di Torino, dove ogni giorno nascono un milione di pennarelli. Non è un sogno a colori, è Settimo Torinese, ed è qui che vive e produce Carioca, marchio storico della creatività italiana, sopravvissuto a crisi, delocalizzazioni, cambi di proprietà e che oggi — nel 2024 — registra una delle migliori performance economiche della sua storia. In un anno in cui il mercato della cartoleria in Europa ha continuato a soffrire per la riduzione del numero di studenti e l’erosione della domanda tradizionale, Carioca ha fatto il contrario: ha rilanciato, innovato, esportato e guadagnato. Tanto da chiudere il bilancio con un utile netto in crescita del 40%, pari a 2,5 milioni di euro, e un EBITDA superiore ai 5 milioni, in aumento del 18%. I ricavi complessivi, sebbene cresciuti “solo” dell’1%, hanno toccato quota 36,1 milioni di euro: un dato che, in un contesto simile, non è da sottovalutare ma da incorniciare.
Il dato è ancor più impressionante se si guarda alla storia recente dell’azienda. Nata nel 1956 con il nome di Continental, diventata poi Universal, Carioca deve il suo nome — assunto negli anni ’60 — al personaggio Disney José Carioca, pappagallo elegante e brasiliano che simboleggiava allegria e fantasia. Un marchio che negli anni '80 e '90 è diventato sinonimo di infanzia, scuola e creatività per milioni di italiani. Ma i colori, a un certo punto, hanno rischiato di spegnersi. Negli anni 2000, Carioca si è scontrata con la globalizzazione, la concorrenza asiatica, la saturazione del mercato. È andata in difficoltà, fino ad arrivare, nel 2016, alla liquidazione. A salvare l’azienda, in extremis, è stata la famiglia Toledo, attraverso la Zico Holding. Un atto d’amore imprenditoriale, prima ancora che un'operazione finanziaria. Il nuovo presidente e amministratore delegato, Enrico Toledo, ha ricostruito tutto: impianti, rete commerciale, marketing, prodotto. Ma soprattutto identità. Carioca è così rinata, più forte, più moderna, più sostenibile.
Oggi Carioca è un caso esemplare di rilancio industriale italiano. Produce tutto nello stabilimento di Settimo, con una capacità di oltre un milione di pennarelli al giorno. Impiega circa 110 persone, distribuite tra l’Italia e la consociata spagnola di Barcellona. I suoi prodotti — pennarelli, pastelli, matite, tempere, gessetti, penne cancellabili — raggiungono oltre 90 Paesi in cinque continenti. L’export copre il 70% della produzione. Un piccolo colosso colorato, insomma, che compete a livello mondiale. I dati del 2024 parlano chiaro: l’azienda è tornata a crescere anche grazie a un’attenta politica di espansione internazionale. Se alcuni mercati consolidati hanno confermato la loro solidità, come la Spagna (+1%), il Belgio (+9%) e la Turchia (+16%), il vero exploit è arrivato da mercati nuovi, in particolare il Nord Europa (+66%) e il Messico, che si è imposto come punta di diamante per la penetrazione nel mercato dell’America Centrale e Latina. "Stiamo continuando a investire nel continente americano – racconta Enrico Toledo – dove abbiamo già raccolto ottimi risultati soprattutto in Sud America e in Messico. Per il prossimo anno ci focalizzeremo sul nostro DNA rilanciando la gamma Pennarelli, con un nuovo inchiostro super-lavabile, e sul potenziamento della nostra linea Eco Family."
Il rilancio di Carioca si è basato su una visione molto chiara: ripensare il prodotto, ampliare il pubblico, abbracciare la sostenibilità. Nel 2024 sono andati benissimo i lanci più recenti, come la linea Carioca Plus, pensata per un pubblico più maturo — teenager e adulti creativi, non solo bambini. Le penne cancellabili hanno registrato un +23% rispetto al 2023. La consapevolezza che la creatività non è più solo cosa da bambini ha permesso di aprire nuovi canali di vendita, non solo scolastici ma anche artistici, professionali, decorativi. Dal 2021 Carioca ha avviato un processo di transizione ecologica. Ha lanciato la linea Eco Family, realizzata con materiali riciclati come l’EcoAllene, derivato da rifiuti plastici poliaccoppiati. L’utilizzo di questa plastica riciclata ha permesso all’azienda di risparmiare oltre 80 tonnellate di plastica fossile in pochi anni.
Il cuore pulsante di questo successo resta Settimo Torinese, un tempo città di fabbriche chimiche e oggi terra fertile di innovazione, dove le matite colorate e i pennarelli non sono solo un prodotto industriale ma un pezzo di identità locale. Carioca è una delle ultime grandi realtà manifatturiere del territorio a produrre interamente in Italia, scegliendo la qualità contro la delocalizzazione. "Il nostro obiettivo – spiega Giorgio Bertolo, direttore generale – è continuare a crescere, ma senza rinunciare all’identità. Innovazione, design, made in Italy e attenzione all’ambiente: sono questi gli ingredienti che ci permettono di competere nel mondo, anche in un settore in cambiamento come quello della cartoleria."
E così, mentre il mondo cambia, Carioca resta. E colora. Da quasi 70 anni, tra crisi superate e traguardi raggiunti, continua a portare nel mondo una certezza: che disegnare con un pennarello italiano può ancora essere un atto di bellezza, un gesto industriale e poetico insieme.
Un tempo c’erano più penne che abitanti. Sembrava quasi che ogni strada, ogni cortile, ogni magazzino, celasse un tornio, una pressa, una catena di montaggio. A Settimo Torinese, la scrittura era un mestiere: non quella dei poeti, ma quella di chi costruiva gli strumenti per poeti, segretarie, scolari, burocrati e studenti. La città era un laboratorio a cielo aperto. Oggi, molto è cambiato. Ma la capitale italiana delle penne – quelle che scrivono, non quelle d’oca – esiste ancora. E vive tra i capannoni silenziosi di via Cebrosa e le linee automatiche che ogni giorno sfornano milioni di pennarelli.
Il cuore di questo impero discreto pulsa ancora dietro un nome che è leggenda: CARIOCA. Conosciuta in tutto il mondo per i pennarelli colorati usati dai bambini, la Carioca è una delle ultime grandi superstiti del boom industriale settimese. Appartiene al gruppo Universal S.p.A., che produce anche le celebri penne Corvina, vanto di intere generazioni. Lo stabilimento è lì, tra l'autostrada e le tangenziali, dove i camion vanno e vengono portando in Europa le confezioni multicolore con l’omino che sorride. Ci lavorano ancora oltre 100 persone. La plastica entra da una parte, e dall’altra escono strumenti che vanno a disegnare, scrivere, sottolineare vite.
Ma non è solo la Carioca a tenere viva la tradizione. Poco distante, sulla stessa direttrice industriale, resistono altre realtà meno note al grande pubblico, ma non per questo meno importanti. C’è Lecce Pen Company, nome fuorviante per un’azienda che ha base operativa proprio a Settimo. Produce penne a sfera, stilografiche, matite tecniche, oggetti pubblicitari e componentistica di precisione. È un’altra figlia legittima di quella tradizione che cominciò nel 1912, quando Luigi Pagliero realizzava le sue prime penne in celluloide, artigianali, una per una, nella bottega di famiglia.
E ancora: Segno S.r.l., specializzata nella lavorazione e personalizzazione di articoli da scrittura; Jolly Plast, che assembla pennarelli e articoli promozionali; piccoli nomi che insieme formano un sistema, una mappa produttiva che ha cambiato pelle ma non vocazione. La scrittura non è più solo inchiostro: oggi è design, è marketing, è resistenza industriale. Ma a Settimo c’è ancora chi si ostina a far nascere le penne dalle macchine e dalle mani, e non solo dai computer.
Quella di Settimo Torinese non è nostalgia. È memoria viva e presente produttivo. È la città dove un tempo Ettore Frola produceva la leggendaria “penna a dieci colori”, capace di arrivare fino in Canada, e dove ancora oggi si progettano strumenti per l’ufficio e la scuola in grado di farsi strada tra i colossi asiatici. La globalizzazione ha ridotto i ranghi, chiuso stabilimenti, spento insegne storiche. Ma non ha cancellato l’ingegno. Non ha tolto la mano a chi sa ancora costruire, letteralmente, l’atto dello scrivere.
A Settimo non ci sono musei dedicati alla penna, eppure ogni strada racconta un pezzo di quella storia. Non c’è bisogno di targhe. Basta fermarsi un attimo, entrare in uno di quei capannoni apparentemente anonimi, e respirare l’odore della plastica calda, delle punte metalliche, della carta test. E capire che, in un mondo che scrive sempre più su schermi, c’è ancora qualcuno che fabbrica parole. Con una penna vera. E con orgoglio settimese.
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