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Miglio racconta Francesco. Quel giorno accesi la TV e scoprì di essere cardinale

I ricordi di Arrigo Miglio, l’arcivescovo emerito che scoprì di essere diventato cardinale accendendo la TV. Il legame con Francesco, tra pellegrinaggi, telefonate e parole che sanno ancora commuovere

Miglio racconta Francesco. Quel giorno accesi la TV e scoprì di essere cardinale

Arrigo Miglio

Non servono grandi cerimonie, né dichiarazioni solenni, per raccontare un legame autentico. A volte basta una risata, un pranzo tra amici, o una televisione accesa per caso durante l’Angelus. Così Arrigo Miglio, cardinale per volere di papa Francesco, ha rievocato pochi giorni fa in un’intervista al TGR Sardegna alcuni momenti indimenticabili che lo legano al Pontefice argentino.

Un uomo di campagna, nato a San Giorgio Canavese, con un cuore grande come la Sardegna che ha servito per anni da arcivescovo di Cagliari. Non cerca i riflettori, parla piano e con rispetto, ma quando racconta si sente tutta la gratitudine di chi ha vissuto da dentro una storia straordinaria, fatta di sguardi, gesti, chiamate che non ti aspetti.

«Eravamo a Roma, in udienza con un pellegrinaggio sardo – racconta – e all’improvviso, senza preavviso, Francesco annunciò la sua visita a Cagliari. Un fulmine a ciel sereno. Ci guardammo tutti, senza parole. Poi cominciammo a parlare della data, dell’organizzazione, ma fu quell’annuncio a colpirci nel profondo». E quella visita, nel 2013, resta oggi scolpita nella memoria di un’intera isola. Un abbraccio tra un Papa e la gente.

Ma se quella visita fu una sorpresa per una comunità intera, ce n’è un’altra che riguarda Miglio in prima persona. La nomina a cardinale, avvenuta il 27 agosto 2022, non fu anticipata da alcuna telefonata, nessun avviso, nessun indizio. «Quel giorno ero a pranzo da amici. Se non avessi acceso la tv per ascoltare l’Angelus, forse lo avrei saputo dai giornali. Non avevo ricevuto alcun segnale, nulla». Un momento che racconta meglio di mille biografie l’umiltà di un uomo che non ha mai cercato titoli, ma che si è visto riconoscere la dignità cardinalizia quando già aveva compiuto 80 anni, troppo tardi per partecipare al conclave, ma non troppo tardi per essere scelto come testimone di una Chiesa viva, credibile, evangelica.

E a chi gli chiede se ne avesse mai parlato direttamente con Francesco, Miglio sorride: «Una volta glielo chiesi, scherzando: ma cosa le è venuto in mente? Lui si fece una risata e cambiò discorso». Una risata. Come tra amici di lunga data, come tra pastori che condividono più di quanto dicano.

Papa Francesco

Ma il cuore delle sue parole si apre davvero quando parla dell’eredità di Francesco, con una commozione che non tradisce emozioni prefabbricate. «Ci lascia una grande eredità: quasi 12 anni di lavoro instancabile, documenti, viaggi, gesti profetici. Ma soprattutto due grandi domande: che tipo di Chiesa vogliamo essere? E quanto siamo disposti a lavorare per la pace?».

Domande che non valgono solo per cardinali o teologi, ma per ogni credente, ogni comunità, ogni essere umano. E il tono con cui Miglio le pronuncia non è quello di chi vuole insegnare, ma di chi ha ricevuto un dono e sente il bisogno di condividerlo.

Nell’eco della sua voce, nelle parole scelte con cura, c’è l’affetto di un uomo che ha camminato accanto a un Papa diverso, e ne porta addosso il segno. Non nella porpora, non nei titoli, ma nella semplicità di una telefonata, di un viaggio annunciato con un sorriso, di un’eredità che – più che ai cardinali – sembra destinata a tutti noi.

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