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Manganellate, insulti e bandiere negate: il 25 Aprile di Torino va in frantumi

Europeisti cacciati dal corteo, antagonisti sul palco, polizia che carica e “Bella Ciao” vietata altrove: la Liberazione trasformata in un campo di battaglia politico. Ma la piazza non si arrende

Manganellate, insulti e bandiere negate: il 25 Aprile di Torino va in frantumi

Manganellate, insulti e bandiere negate: il 25 Aprile di Torino va in frantumi

Il 25 Aprile a Torino inizia male e finisce peggio. La fiaccolata della vigilia, storicamente uno dei momenti più intensi della memoria antifascista cittadina, questa volta si è trasformata in un teatro di scontri, manganellate, simboli vietati e accuse incrociate. Una Liberazione sotto assedio, dove le differenze non si appianano, si esasperano.

Tutto comincia in piazza Arbarello, all’inizio del corteo. Si presenta un gruppo con le bandiere dell’Ucraina e dell’Unione Europea, guidato da Silvio Viale, consigliere comunale di Più Europa. Con lui militanti di AzioneItalia Viva, Associazione Radicale Adelaide Aglietta e Partito Liberaldemocratico. Ma non riescono nemmeno a muoversi: “Ci hanno sbarrato il passo. Io sono stato abbrancato da due soggetti sotto gli occhi della polizia che non è intervenuta”, denuncia Viale. Sul versante opposto, gli organizzatori affermano che “un membro del servizio d’ordine è stato colpito alla gola con l’asta di una bandiera”.

Fatto sta che quel gruppo viene escluso dal corteo. Respinto per le sue bandiere. Tra i cori ostili, si alza anche “Fuori la Nato dal corteo”. Lo scontro è ideologico, viscerale, perfino fisico. La risposta congiunta dei partiti è durissima: “Violenta aggressione da parte di facinorosi. È stato impedito l’esercizio di un diritto democratico. La nostra colpa? Portare simboli di libertà, democrazia e solidarietà”.

E ancora: “Chiediamo agli organizzatori di prendere le distanze da chi ha infangato lo spirito del 25 Aprile”. Senza l’intervento della polizia – aggiungono – “sarebbe potuto succedere il peggio”.

In serata il leader nazionale di Azione Carlo Calenda commenterà così: "Ieri sera a Torino ai militanti di Azione, +Europa e Italia Viva con bandiere ucraine ed europee è stato impedito di partecipare alla fiaccolata per la Liberazione. Ogni anno la sinistra cerca di appropriarsi di una festa nazionale escludendo a suo piacimento partecipanti che ritengono 'non allineati'. Una prassi fascista e contraria ai valori della libertà e della democrazia. Non ci riusciranno. Il 25 aprile è di tutti".

Ma non è l’unico fronte caldo. Al termine del corteo, in piazza Castello, esplodono nuove tensioni. Lo spezzone antagonista, composto da autonomi, collettivi studenteschi, movimenti filo-palestinesi, forza le transenne e sale sul palco. Espone uno striscione: “Resistenza contro guerra, riarmo e genocidio”. Ma è il bersaglio scelto a far scalpore: un fantoccio con le sembianze del sindaco Stefano Lo Russo, vestito in mimetica militare. La tensione con la polizia degenera: scattano le manganellate. Una “manovra di alleggerimento”, secondo la versione ufficiale. Ma le immagini raccontano altro.

Poco dopo, la manifestazione si sposta davanti al municipio, dove un centinaio di dimostranti inscena un’ulteriore protesta: il fantoccio del sindaco viene colpito con frutta marcia, “per denunciare che mentre i prezzi aumentano, la politica pensa al riarmo”. Gli slogan sono netti: “Lo Russo attento, ancora fischia il vento”, “Destra e sinistra: nessuna differenza. Ora e sempre Resistenza”. Vengono bruciati cartelli con i colori dell’Unione Europea, mentre sventolano bandiere palestinesi, No Tav, Potere al Popolo. Il clima è infuocato, e sempre più lontano da ogni parvenza di “unità antifascista”.

A rivendicare l’unico tentativo di coesione è il Fronte della Gioventù Comunista, che scrive: “Hanno provato a fermarci, ma non ci riescono. La polizia ha caricato una piazza entusiasta. Ma oggi a Torino è successo qualcosa di importante”. Quel qualcosa è il blocco unitario tra FIOM-CGIL, sezioni ANPI cittadine, FGC e Fronte Comunista, nato da un appello congiunto “contro la guerra e il riarmo europeo”. Una dimostrazione di forza politica alternativa, un messaggio diretto a Meloni, Musumeci e a tutti quelli che vorrebbero un 25 Aprile sobrio, pacificato e, se possibile, addomesticato.

In altre città italiane, intanto, arriva l'assurdo: vietato cantare “Bella Ciao”, vietato manifestare. A Torino, almeno, si canta. Si urla. Si resiste. Anche a costo di spaccarsi. Ma il paradosso resta: la Liberazione che divide, la piazza che accusa, lo Stato che carica, e le istituzioni locali – come il sindaco Lo Russo – che diventano bersaglio diretto.

Quella che doveva essere una marcia condivisa si è trasformata in uno specchio impietoso di un’Italia lacerata, dove anche la memoria è oggetto di contesa. Dove il passato serve da arma, e il presente è già una nuova trincea.

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