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24 Aprile 2025 - 11:28
Condomini fantasma divorati dai rovi: lo Stato non c’è, il cemento resta
A volte ritornano. E non parliamo di fantasmi, né di memorie dimenticate. Parliamo di cemento, di speculazioni immobiliari mai chiarite, di palazzoni senza anima che, incastonati in una montagna che non li ha mai voluti, si ergono ancora oggi come monumenti all’incapacità umana di pensare, prevedere e soprattutto rispettare. I condomini di Località Sistina, frazione del Comune di Monastero di Lanzo, sono lì, a oltre 1.100 metri di altitudine, come ferite aperte nel fianco della natura. Ed è la natura stessa, con la pazienza millenaria che la contraddistingue, a provare a rimarginarle, a riprendersi ciò che l’uomo ha tentato di strapparle.
Non è un caso se si torna a parlare di quei giganti abbandonati proprio adesso. In realtà loro non se ne sono mai andati. Sono rimasti lì per oltre cinquant’anni, come relitti arenati sul crinale di un sogno andato in frantumi. Sogno che prendeva la forma di un complesso turistico-residenziale che doveva portare sviluppo, benessere, villeggianti con gli scarponi ai piedi e l’assegno pronto per comprare casa in quota. Invece, il tempo si è incaricato di raccontare tutta un’altra storia.
I lavori cominciarono alla fine degli anni Sessanta, per poi trascinarsi stancamente fino ai primi Settanta. Sette condomini in tutto, mai finiti, lasciati allo stadio di scheletro in cemento armato. Altri, apparentemente ultimati, ma mai abitati davvero. Appartamenti venduti sulla carta, forse, ma mai completati. Poi il buio. Le imprese sparite, le carte perse nei meandri di scatole cinesi con sede a Lugano, i proprietari fantasmi. Un intero patrimonio edilizio congelato nel tempo, inaccessibile, inalienabile, invendibile. La montagna – che avrebbe dovuto ospitare famiglie, vacanzieri e magari anche una ripresa economica locale – si è trovata invece a convivere con un ecomostro multiplo, fatto di calcestruzzo, silenzi, degrado e disillusione.
A scatenare nuovamente la discussione su questo ennesimo scempio edilizio piemontese è stato qualche giorno fa Albyphoto Urbex, fotografo e appassionato di esplorazione urbana. Con pochi scatti pubblicati sui social, ha riacceso una miccia sopita, ma mai davvero spenta. Le immagini mostrano pareti sventrate, vegetazione che si arrampica sui balconi come per cercare di coprire la vergogna, interni spettrali, pavimenti divelti e travi corrose dal tempo. A guardarle si ha la sensazione di un’apocalisse silenziosa, non dichiarata ma evidente. E il pubblico, davanti a queste immagini, ha reagito come ci si aspetta: rabbia, incredulità, domande. Perché? Perché nessuno ha mai fatto nulla?
Domanda che si trascina da decenni e che ha accompagnato anche l’intera carriera amministrativa dell’ex sindaco Nicola Ferroglia. Dal 2004 al 2019 ha tentato, senza successo, di fare chiarezza, ma ogni tentativo si è infranto contro il muro della burocrazia e del caos societario.
“È difficile capire a chi sono intestati. Ci sono società fittizie, scatole cinesi, sedi a Lugano. Nel 2018 scoprii che almeno una parte era finita nelle mani di una congregazione religiosa – o pseudo tale – che voleva farne una residenza per anziani. Poi il silenzio. Spariti anche loro.”
Nonostante l’emergenza ambientale e il degrado visibile, il Comune non ha mai potuto procedere alla demolizione.
“Non si può abbattere ciò che non ti appartiene, e con le normative attuali sarebbe impensabile. E poi i costi…”
Ferroglia non è stato il primo a metterci la faccia. A rilasciare i permessi a costruire è stato il sindaco Piero Machetta nel 1974, a un imprenditore di Cuneo che poi è morto. Da quel giorno, e fino alla fine del suo mandato nel 2004, è stato un calvario. Le ordinanze di messa in sicurezza si sono succedute una dietro l’altra.
“Alcuni elementi delle strutture stavano diventando pericolosi, c’erano pezzi che minacciavano di crollare – racconta – Ma anche in quel caso: a chi notificare l’ordinanza? Le società costruttrici non esistevano più. Dopo mesi di ricerche, si riuscì a individuare un destinatario, si fece qualcosa, ma poco. Poi di nuovo il nulla. Nessuna manutenzione, nessun recupero, nessuna demolizione. Il tempo, intanto, ha continuato il suo lavoro di corrosione…”
L’attuale sindaco, Maurizio Togliatti, è nato dopo che quei condomini sono stati costruiti. Se li è trovati tra i piedi come si eredita una casa maledetta. “Negli anni, a quanto risulta, si sono avvicendati diversi proprietari, società fallite, aste giudiziarie…”
L’ultima, nel 2024, è andata deserta, come tutte le altre.
E sì, perché nel frattempo si è cercato di vendere quei ruderi: nel 2004, il Tribunale di Monza ha messo all’asta due dei condomini, 68 unità immobiliari, 4.000 metri quadrati, di proprietà della CCT Immobiliare srl.
Ma nessuno li ha voluti. Chi mai avrebbe investito in un simile inferno legale, oltre che edilizio?
Insomma quei condomini sono ancora lì. Oggi più che mai rappresentano il simbolo di ciò che l’Italia è stata e continua ad essere: un Paese in cui è più facile costruire che demolire, dove gli abusi edilizi diventano paesaggio, dove le responsabilità si perdono in un labirinto di timbri, verbali e cartelle catastali. Un Paese in cui l’ambiente può essere sacrificato senza remore, in cambio di promesse di sviluppo che non arrivano mai.
Località Sistina è diventata un caso di studio, ma anche un monito. Un luogo dove l’urbanistica si è fermata all’utopia e la montagna ha fatto il resto. E ora che la natura, metro dopo metro, si riprende spazi, balconi, mura e fondamenta, è quasi ironico pensare che l’unico vero “intervento” di riqualificazione lo stia facendo il muschio.
Lì, dove qualcuno sognava sciatori e ristoranti panoramici, oggi regnano i rovi. Dove si immaginavano famiglie e villeggianti, si trovano muri scrostati e finestre senza vetri. I racconti di investitori e religiosi in cerca di case di riposo sono ormai materiale da leggenda. Ma la ferita è reale, e ancora sanguina. Non ci sarà nessuna macchina del tempo a riportarci al 1975 per fermare quella colata di cemento prima che cominciasse. L’unico viaggio possibile è quello nella memoria, per evitare che tutto questo accada ancora.
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