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23 Aprile 2025 - 22:08
Giovanni De Sandre
Si sono tenuti oggi i funerali di Giovanni De Sandre, ingegnere e innovatore, spirato a 89 anni lo scorso 18 aprile. Nella chiesa di San Paolo Apostolo a Brugherio si è radunato chi ha conosciuto la sua intelligenza riservata, chi ha lavorato con lui e chi ha avuto la fortuna di incrociare la sua strada. A molti il suo nome potrà dire poco, ma per chi conosce davvero la storia della tecnologia italiana, Giovanni De Sandre è un gigante. Uno di quelli silenziosi, che non cercano il podio ma lo costruiscono per altri.
Nato a Sacile nel 1935, si laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano nel 1959. È giovane, brillante, curioso. Entra in Olivetti nel 1960, in quella stagione irripetibile in cui la storica azienda di Ivrea non produceva solo macchine da scrivere ma idee, futuro, cultura tecnica. Insieme a Pier Giorgio Perotto, viene coinvolto in uno dei progetti più ambiziosi e visionari dell’epoca: creare un calcolatore elettronico da scrivania, accessibile, compatto, umano. Un’idea che nel 1965 prende forma concreta: la Programma 101, il primo “personal computer” al mondo.
È una macchina straordinaria. Funziona con transistor e cartoline magnetiche, ha una stampante incorporata, occupa lo spazio di una macchina da scrivere. Ne vengono venduti oltre 44 mila esemplari nel mondo. Ma soprattutto, la NASA ne acquista alcuni per usarli nei calcoli delle missioni spaziali. Anche nell’Apollo 11, quella che ha portato l’uomo sulla Luna, la Programma 101 ha fatto la sua parte.
“La nostra piccola macchina nello spazio”, diceva De Sandre. Rideva. Non cercava l’applauso. Ma sotto sotto, sapeva di aver partecipato a qualcosa di epocale.
C’è un aneddoto che amava raccontare. Una volta, dagli Stati Uniti, arrivò una richiesta bizzarra: serviva una versione speciale della cartolina magnetica, più resistente. “Scoprimmo solo dopo”, raccontava, “che l’avrebbero usata sulla Luna. E noi che pensavamo servisse solo per ambienti industriali difficili.”
Quel tono, tra il tecnico e l’incredulo, era tipico di lui. Non dava mai nulla per scontato, nemmeno il fatto che la sua invenzione fosse diventata leggenda.
Dopo Olivetti, continuò a lavorare in ambito tecnologico, evitando i riflettori. Negli ultimi anni aveva collaborato con l’Università di Cassino per ricreare digitalmente la Programma 101, in modo che anche le generazioni future potessero toccare con mano quel pezzo di storia. Lo faceva con passione e pazienza.
Diceva: “Il problema è che i ragazzi oggi usano i computer senza sapere che qualcuno li ha sognati. Bisogna restituire memoria a questi oggetti.”
Lo diceva con tono dolce, quasi da insegnante di bottega.
Era così: mite, profondo, curioso. Un uomo di poche parole, ma di pensieri vasti. Chi lo ha conosciuto racconta che era capace di restare in silenzio per ore davanti a uno schema elettrico, e poi proporre una soluzione brillante come se fosse la cosa più naturale del mondo. Aveva un amore per i dettagli che oggi sembra quasi fuori moda. Amava il lavoro ben fatto, la precisione, il rispetto per gli altri. Mai un gesto fuori posto. Mai un’affermazione sopra le righe.
Oggi, a Brugherio, nessun discorso roboante. Solo sguardi. Ricordi. Qualcuno stringeva in mano una cartolina magnetica, altri avevano appunti ingialliti con circuiti stampati a mano. Un collega più giovane ha detto: “Ha lavorato con il silicio come altri con la poesia. Ha creato bellezza in bit e transistor.”
E forse è proprio questo che ci lascia Giovanni De Sandre: la consapevolezza che anche la tecnologia può essere un atto d’amore. Un gesto discreto. Un’eredità immensa.
Il suo nome non compare nei libri di testo quanto dovrebbe. Nessuna piazza porta il suo nome. Ma ogni volta che accendiamo un computer, dovremmo ricordarci che qualcuno, un giorno, ha immaginato che fosse possibile. E quel qualcuno, molto probabilmente, sedeva in un laboratorio Olivetti con in mano un saldatore e negli occhi il futuro.
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