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“E dopo il 25 aprile dove andiamo?”. Gli ospiti del “Santo Bambino” temono di finire per strada.

Il consigliere De Stefano punta il dito contro la vicesindaca e suggerisce al sindaco di assegnare le deleghe a Colosso

“E dopo il 25 aprile dove andiamo?”. Gli ospiti del “Santo Bambino” temono di finire per strada.

L'assessora Patrizia Dal Santo e il consigliere comunale Massimiliano De Stefano

“A parte la lettera di sfratto con l’ultimatum, non abbiamo parlato con nessuno. Non abbiamo visto nessuno. Ci sentiamo abbandonati. Chiediamo più tempo…”

Non urla, Mattia. Parla piano, seduto sul bordo di quel letto che, per pochi giorni ancora, può chiamare casa. Un letto nella Residenza collettiva autogestita “Santo Bambino” di via Varmondo Arborio 18, a Ivrea, nata per accogliere chi non aveva più nulla. Ora destinata alla chiusura.

Mattia ha passato i sessanta, gli occhi velati da una malinconia che non lascia scampo. Il Covid gli ha portato via tutto: lavoro, sicurezza, speranza. E quella vita che per molti è ripartita, per lui si è congelata, lasciandolo in un limbo. “Sto cercando un appartamento, ma servono garanzie che non ho. Non possiamo essere trattati come pacchi postali. Non siamo dei senzatetto. Ho delle cose da portare via con me: il pc… i miei effetti…”

Come lui, cioè lasciati in un limbo, ce ne sarebbero almeno una decina. Di ospiti ce ne sono molto di più, ma quanti siano davvero, nessuno lo sa. C’è chi dice 25, chi 30, chi persino 50. Nessun elenco ufficiale, nessun piano alternativo. Solo una fredda comunicazione firmata il 14 febbraio da don Arnaldo Bigio, presidente dell’associazione L’Orizzonte. Una lettera che ordina lo sgombero entro il 25 aprile per “improrogabili lavori di ristrutturazione e riorganizzazione dell’accoglienza”.

Una formula burocratica. Che però, per chi vive lì, suona come una sentenza. Perché alla “Santo Bambino” non vivono numeri, ma persone. Italiani in difficoltà, migranti, uomini e donne soli. Vite fragili, ignorate da un welfare che si è arreso. Lì avevano trovato un rifugio, una comunità. Ora sono di nuovo davanti al vuoto.

A farsi carico del loro grido è il consigliere comunale Massimiliano De Stefano, che interviene con una dichiarazione durissima. Nel mirino c’è Patrizia Dal Santo, vicesindaca e assessora alle politiche sociali, accusata di aver ignorato per settimane  la lettera di sfratto.

“L’operato di un assessore richiede responsabilità e competenza, specialmente quando si tratta di gestire le risorse pubbliche. Un assessore che non segnala tempestivamente in Regione e al Consorzio In.Re.Te i problemi urgenti rischia di far gravare su tutta la comunità costi come i 30 mila euro richiesti all’assessorato al Bilancio – costi che potevano essere evitati con una gestione più accorta. La situazione attuale, con decine di persone ancora in attesa di una soluzione, evidenzia una totale mancanza di programmazione e di attenzione ai bisogni dei più vulnerabili.”

Poi l’affondo: “Non è accettabile stabilire priorità tra chi ha più diritto a un aiuto. Le conseguenze di sfratti improvvisi generano disagio generalizzato. Richiedere fondi al proprio Comune, quando si aveva tutto il tempo per cercare soluzioni alternative, è una mancanza di rispetto verso l’istituzione e verso il sindaco stesso, che oggi si trova costretto ad affrontare problemi causati da una gestione approssimativa.”

E infine, l’invito politico: “Per queste ragioni sarebbe opportuno che il sindaco valutasse la funzionalità della sua giunta, piuttosto che gli equilibri politici, e assegnasse la delega alle Politiche Sociali a Gabriella Colosso, probabilmente l’unica nell’attuale compagine in grado di gestirle in modo corretto.”

Di tutt'altro avviso Dal Santo. Il suo film è completamente diverso.

“Il Comune ha messo a disposizione delle risorse per pagare qualcuno che presidi le strutture - ci aveva spiegato - Abbiamo recuperato 21 posti letto e risolto il problema della famiglia con minori. Alcuni hanno già trovato una sistemazione …”

Al tavolo dell’Osservatorio Casa si sono seduti in tanti: Comune, Consorzio In.rete, Caritas, Fondazione Ruffini, Pollicino, Circoli Virtuosi, Cisv di Albiano, Mastropietro.

"Tutti gli ospiti che erano registrati, o stavano seguendo un percorso con i servizi sociali, sono stati contattati o verranno contattati nelle prossime ore  - aggiunge oggi Dal Santo - Restano fuori due persone senza permesso di soggiorno e chi una casa già ce l'ha ... La verità è che molti utilizzavano la struttura solo per dormire e per loro si cercherà di far fronte con il dormitorio della Caritas che è stato riaperto da pochi giorni. Allo stato attuale però non conosciamo i loro nomi...".

 

La “Santo Bambino” era nata nel 2014 da un sogno condiviso da don Bigio e don Silvio Faga (oggi vescovo di Biella): accoglienza solidale, partecipazione, autogestione. Dodici posti, quattro nuclei abitativi, cucine comuni, vita di comunità. Poi, nel tempo, è cresciuta fino ad accogliere trenta persone. O forse di più. Ma quel modello, nel tempo, è stato lasciato andare. Nessuno l’ha rinnovato. Nessuno ha provato davvero a salvarlo.

Ora, cala il sipario. Si chiude. Punto.
Senza alternative vere. Senza ascolto. Senza rispetto.

Insomma, si può continuare a discutere di tavoli, numeri, disponibilità. Ma quando un uomo dice “ci sentiamo abbandonati”, la politica dovrebbe smettere di contare e iniziare a capire.

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