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18 Aprile 2025 - 23:22
Per troppo tempo sono rimasti lì, nascosti dietro le mura del castello, come un segreto che nessuno ha più voluto svelare. I ricetti di Pavone Canavese, tra i più antichi esempi di architettura difensiva rurale del Piemonte, hanno assistito al passare dei secoli come sentinelle silenziose del passato. Ed è difficile capire se, negli ultimi vent’anni, siano stati più le amministrazioni comunali a dimenticarsi di loro o i cittadini stessi, assuefatti a convivere con quel tesoro invisibile, ormai dato per scontato.
Eppure, dietro quelle porte sbarrate, sotto quei tetti spioventi e tra quelle pietre scure che raccontano di un’altra epoca, si nasconde una storia millenaria. I ricetti, per chi non lo sapesse, non sono semplici case vecchie: sono l’anima fortificata dei paesi medievali del Canavese. Un tempo erano rifugi collettivi, costruiti dalle comunità contadine per proteggere persone, animali e scorte alimentari dalle incursioni e dai saccheggi. Ogni villaggio ne aveva uno: una sorta di “cassaforte urbana”, chiusa da mura e spesso sormontata da torri, dove l’intera popolazione si ritirava in caso di pericolo. Piccole cittadelle autonome, fatte di cantine, granai e alloggi temporanei, tutte addossate l’una all’altra, a formare un unico blocco difensivo.
A Pavone, quel ricetto esiste ancora. Si snoda ai piedi del castello lungo un circuito di circa un chilometro, una corona di pietra fatta di viottoli, archi, passaggi coperti e tetti a punta, che conserva intatto il fascino di un’epoca perduta. Ma oggi quella corona si è spezzata. Solo una dozzina di ricetti è stata ristrutturata e riconvertita in abitazioni private, ancora abitate. Il resto? È in degrado, fatiscente, con muri che cedono, intonaci che si sgretolano, solai pericolanti. Alcuni edifici sono diventati vere e proprie trappole per chi vi si avvicina. E il tempo, come un nemico silenzioso, continua a fare il suo lavoro.
Ora, però, qualcosa si muove. L’amministrazione comunale di Pavone, guidata dal sindaco Endro Bevolo, ha deciso di provare a invertire la rotta. Non si tratta ancora di un vero e proprio piano operativo, ma di un tentativo serio di riavviare il discorso sul recupero dei ricetti, a partire da uno studio del Politecnico di Torino realizzato nel 2011, basato a sua volta su un censimento dei beni architettonici locali del 2001. Quel documento, rimasto chiuso in un cassetto per oltre un decennio, è stato riesumato, digitalizzato e aggiornato. E oggi è alla base di un progetto embrionale che punta alla riqualificazione e valorizzazione del ricetto, con un occhio al turismo e uno allo sviluppo economico.
L’idea è semplice, ma ambiziosa: trasformare quei locali storici in enoteche, caffè-librerie, wine bar, botteghe artigiane, ristoranti, ostelli e spazi per workshop, proprio come è accaduto con successo ai Balmetti di Borgofranco d’Ivrea, oggi meta ambita per visitatori e buongustai. Pavone potrebbe diventare il prossimo esempio virtuoso di rigenerazione del patrimonio medievale, unendo la suggestione storica all’impresa locale. Ma per farlo, serve coinvolgere i proprietari dei ricetti, che sono quasi tutti privati, e cercare di attrarre investimenti pubblici e privati, oltre che finanziamenti regionali ed europei.
Nei mesi scorsi si è svolto un primo incontro esplorativo con i proprietari, e intanto l’amministrazione ha messo mano al lavoro di mappatura: rilievi fotografici, associazione delle particelle catastali, individuazione delle aree potenzialmente edificabili, valutazioni statiche degli edifici. È stato anche realizzato un “kit documentale”, uno strumento utile per la condivisione con investitori e cittadini. E, come gesto simbolico ma concreto, è stata emessa un’ordinanza per imporre interventi su un immobile in condizioni di pericolo. Piccoli passi, che indicano però una direzione.
Va ricordato che il nome “ricetti”, oggi usato al plurale, in realtà indica un solo complesso fortificato. Ma la memoria collettiva li chiama ancora così, “li recetti”, o nella forma dialettale “i ruset”. Forse perché ognuno di quei vani, di quelle cantine e di quei corridoi racconta una storia diversa, un microcosmo dentro l’altro, una stratificazione di vite e mestieri. E fino a pochi anni fa, durante le celebrazioni delle Ferie Medievali, quei ricetti si animavano: luci soffuse, bancarelle, artigiani, sfilate in costume, musiche antiche. Un gioco storico, certo, ma anche un modo per far respirare di nuovo quelle pietre, per restituire vita a un borgo che rischia altrimenti di spegnersi nell’indifferenza.
Il dossier completo delle attività degli ultimi mesi è consultabile sul sito del Comune. Ma più dei documenti, oggi, contano le scelte. I ricetti possono essere il simbolo di un nuovo modo di guardare al passato: non come qualcosa da imbalsamare, ma come un patrimonio vivo, da rigenerare con intelligenza e rispetto. Serve una visione, servono risorse, serve un’amministrazione che sappia rischiare. Ma soprattutto serve una comunità che torni a credere nelle proprie radici. Perché non si costruisce nulla senza partire da lì.
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