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Pavone riscopre i suoi ricetti: il Medioevo chiama, il presente risponde?

Dopo vent’anni di silenzio, il Comune riapre il dossier sul ricetto medievale: tra degrado, sogni di rilancio turistico e il modello Balmetti, si prova a dare nuova vita a un tesoro dimenticato sotto il castello

Pavone riscopre i suoi ricetti: il Medioevo chiama, il presente risponde?

Per troppo tempo sono rimasti lì, nascosti dietro le mura del castello, come un segreto che nessuno ha più voluto svelare. I ricetti di Pavone Canavese, tra i più antichi esempi di architettura difensiva rurale del Piemonte, hanno assistito al passare dei secoli come sentinelle silenziose del passato. Ed è difficile capire se, negli ultimi vent’anni, siano stati più le amministrazioni comunali a dimenticarsi di loro o i cittadini stessi, assuefatti a convivere con quel tesoro invisibile, ormai dato per scontato.

Eppure, dietro quelle porte sbarrate, sotto quei tetti spioventi e tra quelle pietre scure che raccontano di un’altra epoca, si nasconde una storia millenaria. I ricetti, per chi non lo sapesse, non sono semplici case vecchie: sono l’anima fortificata dei paesi medievali del Canavese. Un tempo erano rifugi collettivi, costruiti dalle comunità contadine per proteggere persone, animali e scorte alimentari dalle incursioni e dai saccheggi. Ogni villaggio ne aveva uno: una sorta di “cassaforte urbana”, chiusa da mura e spesso sormontata da torri, dove l’intera popolazione si ritirava in caso di pericolo. Piccole cittadelle autonome, fatte di cantine, granai e alloggi temporanei, tutte addossate l’una all’altra, a formare un unico blocco difensivo.

A Pavone, quel ricetto esiste ancora. Si snoda ai piedi del castello lungo un circuito di circa un chilometro, una corona di pietra fatta di viottoli, archi, passaggi coperti e tetti a punta, che conserva intatto il fascino di un’epoca perduta. Ma oggi quella corona si è spezzata. Solo una dozzina di ricetti è stata ristrutturata e riconvertita in abitazioni private, ancora abitate. Il resto? È in degrado, fatiscente, con muri che cedono, intonaci che si sgretolano, solai pericolanti. Alcuni edifici sono diventati vere e proprie trappole per chi vi si avvicina. E il tempo, come un nemico silenzioso, continua a fare il suo lavoro.

Ora, però, qualcosa si muove. L’amministrazione comunale di Pavone, guidata dal sindaco Endro Bevolo, ha deciso di provare a invertire la rotta. Non si tratta ancora di un vero e proprio piano operativo, ma di un tentativo serio di riavviare il discorso sul recupero dei ricetti, a partire da uno studio del Politecnico di Torino realizzato nel 2011, basato a sua volta su un censimento dei beni architettonici locali del 2001. Quel documento, rimasto chiuso in un cassetto per oltre un decennio, è stato riesumato, digitalizzato e aggiornato. E oggi è alla base di un progetto embrionale che punta alla riqualificazione e valorizzazione del ricetto, con un occhio al turismo e uno allo sviluppo economico.

L’idea è semplice, ma ambiziosa: trasformare quei locali storici in enoteche, caffè-librerie, wine bar, botteghe artigiane, ristoranti, ostelli e spazi per workshop, proprio come è accaduto con successo ai Balmetti di Borgofranco d’Ivrea, oggi meta ambita per visitatori e buongustai. Pavone potrebbe diventare il prossimo esempio virtuoso di rigenerazione del patrimonio medievale, unendo la suggestione storica all’impresa locale. Ma per farlo, serve coinvolgere i proprietari dei ricetti, che sono quasi tutti privati, e cercare di attrarre investimenti pubblici e privati, oltre che finanziamenti regionali ed europei.

Nei mesi scorsi si è svolto un primo incontro esplorativo con i proprietari, e intanto l’amministrazione ha messo mano al lavoro di mappatura: rilievi fotografici, associazione delle particelle catastali, individuazione delle aree potenzialmente edificabili, valutazioni statiche degli edifici. È stato anche realizzato un “kit documentale”, uno strumento utile per la condivisione con investitori e cittadini. E, come gesto simbolico ma concreto, è stata emessa un’ordinanza per imporre interventi su un immobile in condizioni di pericolo. Piccoli passi, che indicano però una direzione.

ricetti

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Va ricordato che il nome “ricetti”, oggi usato al plurale, in realtà indica un solo complesso fortificato. Ma la memoria collettiva li chiama ancora così, “li recetti”, o nella forma dialettale “i ruset”. Forse perché ognuno di quei vani, di quelle cantine e di quei corridoi racconta una storia diversa, un microcosmo dentro l’altro, una stratificazione di vite e mestieri. E fino a pochi anni fa, durante le celebrazioni delle Ferie Medievali, quei ricetti si animavano: luci soffuse, bancarelle, artigiani, sfilate in costume, musiche antiche. Un gioco storico, certo, ma anche un modo per far respirare di nuovo quelle pietre, per restituire vita a un borgo che rischia altrimenti di spegnersi nell’indifferenza.

Il dossier completo delle attività degli ultimi mesi è consultabile sul sito del Comune. Ma più dei documenti, oggi, contano le scelte. I ricetti possono essere il simbolo di un nuovo modo di guardare al passato: non come qualcosa da imbalsamare, ma come un patrimonio vivo, da rigenerare con intelligenza e rispetto. Serve una visione, servono risorse, serve un’amministrazione che sappia rischiare. Ma soprattutto serve una comunità che torni a credere nelle proprie radici. Perché non si costruisce nulla senza partire da lì.

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