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Don Luigi Vesco, il parroco che sfidò il buio

Strambino lo ricorda con un bollettino speciale che fa vibrare la memoria

Una foto del 1951, in occasione della posa della prima pietra per la costruzione dell’oratorio

Una foto del 1951, in occasione della posa della prima pietra per la costruzione dell’oratorio

Ci sono persone che non smettono mai di vivere. Che continuano a camminare tra le vie del paese, anche quando le loro scarpe hanno smesso di lasciare impronte. Persone che si fanno pietra, voce, racconto. A don Luigi Vesco questo miracolo è riuscito. A settant’anni dalla sua morte, avvenuta l’11 dicembre 1954, il suo nome è ancora ovunque. È nella piazza principale del paese, che porta il suo nome. È nel cuore antico della comunità, tra le mura barocche della Chiesa dei Santi Michele e Solutore. È negli occhi di chi lo ha conosciuto, ma anche di chi, pur non avendolo mai incontrato, ne custodisce il ricordo come un’eredità preziosa.

Per celebrare questo anniversario, un numero straordinario del Bollettino parrocchiale è stato pubblicato con amore e dedizione, su iniziativa dell’attuale parroco don Maurizio Morella e dell’Associazione Salvaguardia Chiese Strambino. Un gesto che non è solo memoria, ma atto di gratitudine verso chi, in tempi oscuri, ha scelto la luce senza clamore, con fermezza, con fede incrollabile e una forza d’animo che oggi lascia commossi.

Piazza Don Luigi Vesco

Piazza Don Luigi Vesco

Don Luigi Vesco nacque nel 1877 a Mercenasco, piccolo centro del Canavese. Era il tempo in cui l’Italia era ancora giovane e fragile, in cerca della propria identità, e la fede, spesso, era l’unico appiglio per non cedere allo sconforto. Quando giunse a Strambino nel 1910 come parroco, aveva poco più di trent’anni. Nessuno sapeva ancora che quel giovane sacerdote avrebbe attraversato due guerre mondiali, una dittatura e una Resistenza, senza mai smettere di essere ciò che aveva promesso a Dio e alla sua comunità: un pastore, non un burocrate. Un uomo tra la gente, non sopra la gente.

Per quarantaquattro anni don Vesco visse e respirò Strambino. Ne conosceva ogni vicolo, ogni anima, ogni ferita. Non era il prete dei grandi discorsi, ma quello delle visite alle famiglie, della carezza data al bambino che piange, della benedizione sussurrata con rispetto. Amava la verità, anche quando faceva male. E la verità, nei terribili anni del fascismo, diventava ogni giorno più scomoda da pronunciare.

Ma lui non tacque. Rifiutò di consegnare l’asilo Bonafide al regime, come gli veniva imposto. Difese fino all’ultimo i circoli dell’Azione Cattolica, accusati di fomentare l’opposizione. E soprattutto non trasformò mai la sua chiesa in una cassa di risonanza per la propaganda. Al contrario, il suo bollettino parrocchiale divenne uno strumento di resistenza culturale, con articoli che parlavano di pace, giustizia, verità. Parole semplici, ma potentissime. Tanto potenti da suscitare l’ira del regime.

Si racconta che i fascisti lo temessero, più che per ciò che faceva, per ciò che rappresentava. Perché don Vesco non era un rivoluzionario: era un uomo che credeva. E chi crede davvero è molto più pericoloso di chi urla.

Il momento più delicato arrivò con l’8 settembre 1943. L’Italia spaccata in due, i tedeschi che occupano il paese, i partigiani in montagna, i fascisti a presidiare le città. In quel caos tragico, don Luigi fu il ponte. La voce che cercava il dialogo, la pace. Riuscì, con diplomazia e fede, a evitare fucilazioni, arresti, rappresaglie. Persino la distruzione del paese. Lo fece in silenzio, appuntando tutto in un Diario che oggi rappresenta un documento straordinario, redatto tra il 1943 e il 1945, inviato al vescovo di Ivrea. Una cronaca della resistenza fatta senza armi, solo con la forza della parola e della misericordia.

Don Luigi non cercò mai applausi. Quando morì, l’11 dicembre del 1954, a 77 anni, lo fece con la discrezione che lo aveva sempre accompagnato. Ma il paese lo pianse come si piange un padre. Un amico. Un santo senza aureola.

Oggi, a settant’anni di distanza, quel dolore si è trasformato in rispetto. In memoria attiva. Il bollettino speciale, curato con passione da don Morella e dall’Associazione Salvaguardia Chiese Strambino, non è solo un ricordo. È una chiamata all’identità. Racconta di quell’uomo semplice e incorruttibile. Riporta alla luce aneddoti teneri e umani: come quando don Vesco portava pane e zucchero ai bambini dell’asilo, o quando, durante la guerra, passava le notti a pregare per i figli del paese al fronte, uno per uno, citandoli per nome.

Tra le pagine, ritroviamo il suo volto, serio ma buono. Le sue omelie, annotate a mano. Le lettere scritte ai fedeli. E persino qualche battuta scherzosa riportata da chi lo ha conosciuto: “Se il Signore mi manda ancora un po’ di forza – diceva – vi toccherà sopportarmi un altro po’…”. Una risata, poi di nuovo il silenzio della fede.

Chi era, dunque, don Luigi Vesco? Era un uomo che ha preso sul serio il Vangelo. Che ha scelto la parte difficile. Che ha camminato con il suo popolo, senza mai giudicarlo dall’alto. Che ha detto di no quando tutti dicevano sì. Che ha amato il suo paese fino all’ultimo respiro.

E oggi Strambino lo sa. E lo dice forte. Non con statue, ma con gesti. Con un bollettino, con una piazza, con una chiesa che continua a portare la sua voce.

Perché, come si legge nell’ultima pagina del numero speciale: “Ci sono preti che passano. E ci sono preti che restano. Don Luigi è rimasto. Resterà.”

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