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Bufera su Cirio. Gli alpini in Russia morirono per la nostra libertà?

Bufera politica dopo le dichiarazioni del Presidente del Piemonte Alberto Cirio sulla campagna di Russia. Le opposizioni: "Offesa alla memoria storica, atto di revisionismo inaccettabile".

Bufera su Cirio. Gli alpini in Russia morirono per la nostra libertà?

Alberto Cirio

Le parole hanno un peso. E quando a pronunciarle è un Presidente di Regione, quel peso si fa enorme, perché si porta dietro la responsabilità istituzionale e, ancor più, quella storica. Lo sa bene — o forse no — il Presidente del Piemonte, Alberto Cirio, finito al centro di una violenta polemica per aver affermato, in riferimento alla campagna di Russia, che “gli Alpini morirono per la nostra libertà”.

Una frase, pronunciata ai microfoni della TGR Piemonte durante la presentazione della 96ª Adunata degli Alpini, che ha sollevato una valanga di reazioni indignate. A partire dal Partito Democratico del Consiglio Regionale del Piemonte, che ha diffuso un comunicato durissimo accusando Cirio di revisionismo storico e di "oltraggio alla verità e alla memoria".

“Gravi, sbagliate e offensive” — così vengono definite le parole del Presidente. Parole che, secondo i consiglieri PD, travolgono anni di studi, testimonianze, racconti di sopravvissuti e storici, tra cui spicca il nome di Nuto Revelli, reduce della stessa campagna, poi partigiano e autore di pagine indelebili sulla follia di quella guerra. “Chi come Revelli ha vissuto l’inferno russo ha speso la vita per spiegare che fu una tragedia senza senso, causata dal delirio fascista e dall’alleanza criminale con Hitler”.

Una tragedia colossale. L’ARMIR, l’esercito italiano in Russia, fu annientato: oltre 85.000 perdite, tra caduti, dispersi e congelati. Una disfatta militare e umana, figlia della decisione di Mussolini di partecipare all’invasione dell’URSS al fianco di Hitler. Altro che libertà. “Fu una guerra di aggressione, un massacro evitabile, frutto della cieca obbedienza a un regime criminale”, scrive ancora il PD.

E non è tutto. Ad alzare il tono è anche Alice Ravinale, capogruppo regionale di Alleanza Verdi Sinistra, che accusa Cirio di essersi inserito consapevolmente nel "puzzle revisionista della destra". “Gravissimo che un Presidente di una Regione medaglia d’oro per la Resistenza affermi una falsità storica simile alla vigilia del 25 aprile”, scrive Ravinale, che ricorda come gli Alpini che davvero combatterono per la libertà lo fecero dopo l’8 settembre 1943, unendosi alla Resistenza.

“Cirio onori quelli, a partire da Nuto Revelli, e non si presti a una propaganda bellicista che arriva a considerare eroica la disastrosa ritirata dell’ARMIR”. Parole nette che riportano al centro una verità storica troppo spesso deformata.

Durissimo anche il commento del capogruppo regionale del Movimento 5 Stelle, Sarah Disabato, che invita Cirio a ripassare la Seconda guerra mondiale, e lo accusa di mancare di rispetto verso “chi è morto per scelte scellerate del regime fascista”.

Non meno diretto è Silvio Viale, consigliere comunale di +Europa a Torino: “Cirio bocciato in storia. Gli Alpini in Russia non morirono per la libertà ma per volere di Hitler e Mussolini. I sopravvissuti, quelli che davvero lottarono per la libertà, lo fecero nella Resistenza”.

Il sospetto, nemmeno troppo velato, è che Cirio abbia scelto le sue parole con una certa consapevolezza, a pochi giorni dall’Adunata di Biella (9-11 maggio). Un evento che ogni anno porta in Piemonte decine di migliaia di penne nere, un popolo affezionato, patriottico, spesso utilizzato come sfondo retorico da una parte politica. Ma proprio per rispetto di quel popolo, scrivono i consiglieri PD, “serve verità, non propaganda”.

“Siamo con gli Alpini, oggi come ieri”, ribadiscono. “Siamo con chi è caduto nelle guerre, con chi ha aiutato le popolazioni colpite dalle catastrofi, con chi ha portato solidarietà nelle missioni umanitarie. Ma proprio per questo motivo non possiamo accettare che il loro sacrificio venga strumentalizzato in chiave retorica”.

“Non è la prima volta che Cirio cade in simili ambiguità. Un Presidente che si commuove il 25 aprile alla presenza del Capo dello Stato dovrebbe anche ricordare cosa significa quella data. Dovrebbe sapere che la libertà è arrivata il 25 aprile 1945, con la fine del fascismo e dell’occupazione nazista. C’è bisogno di ricordarlo? Speriamo di no. Ma se serve, lo faremo”.

Una polemica destinata a lasciare il segno. Perché in Italia la memoria è ancora un campo di battaglia. E perché — ancora una volta — ci si trova a dover difendere la storia dalla politica.

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CAMPAGNA DI RUSSIA: COSA ACCADDE DAVVERO AGLI ALPINI

Tra il 1941 e il 1943, oltre 230.000 soldati italiani furono inviati sul fronte orientale per affiancare l’alleato nazista nell’invasione dell’Unione Sovietica. Il contingente italiano, noto come ARMIR (8ª Armata), comprendeva anche il Corpo d’Armata Alpino, formato dalle divisioni “Julia”, “Tridentina” e “Cuneense”.

Nel dicembre 1942, l’Operazione Piccolo Saturno lanciata dall’Armata Rossa accerchiò le truppe dell’Asse lungo il fiume Don. Il 16 gennaio 1943 iniziò la ritirata in condizioni estreme, con temperature tra i -30°C e i -40°C. Molte colonne furono annientate. Il 26 gennaio, nella battaglia di Nikolaevka, la “Tridentina” riuscì a rompere l’accerchiamento e a permettere la fuga di migliaia di superstiti.

Dei circa 61.000 Alpini presenti all’inizio della ritirata, solo 13.420 tornarono in Italia. I sopravvissuti furono trasportati su treni oscurati per non mostrare al Paese le conseguenze disumane di quella disfatta.

Non fu una guerra per la libertà, ma per le ambizioni imperialiste del fascismo. Una tragedia trasformata, da alcuni, in mito. Una memoria che oggi più che mai richiede rispetto e verità.

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