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Costume e Società
16 Aprile 2025 - 10:26
Gabriel Garko
“Se avessi saputo che era gay non lo avrei guardato. Fa schifo.”
Eccolo, il solito vomito dell’intolleranza. La frase che nel 2025 sembra uscita da un secolo fa, ma che invece compare lì, fresca e tossica, sotto il profilo Instagram di Gabriel Garko. Un commento che non ha nulla da dire, se non la pochezza di chi lo ha scritto. Un commento che offende, non tanto per la rozzezza linguistica (e quella c’è, pure parecchia), ma per l’arroganza di voler decidere chi può piacere, chi può lavorare, chi può esistere, in base a chi ama.
Ma Gabriel Garko non cancella. Non blocca. Non risponde con rabbia. Fa di meglio. Fa di più. Espone.
Prende lo schifo e lo mette in vetrina, affinché tutti lo vedano. Lo pubblica nelle sue storie e scrive con una calma glaciale:
“Nonostante siamo giunti nel 2025.”
Poi affonda il colpo, con un’ironia tagliente come un bisturi: “Peccato per l’italiano.”
Bastano due righe. Non serve altro. Nessun insulto, nessuna predica. Solo un’eleganza che uccide l’odio sul nascere, lasciandolo lì, nudo, ridicolo, fuori tempo massimo. Perché il problema non è Garko. Il problema è che nel 2025 c’è ancora chi pensa che l’identità sessuale di un attore possa intaccare il valore della sua arte. C’è ancora chi pensa che essere gay sia qualcosa di cui vergognarsi. Chi pensa che basti scrivere una frase come quella per cancellare vent’anni di carriera, di ruoli iconici, di scene rimaste nella memoria collettiva.
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E invece no. Invece Garko resta. Resta in piedi. Resta forte. Resta libero.
Libero come il sorriso che mostra nel video postato poco prima. Un reel che è un tuffo nel tempo, un viaggio tra le fiction che hanno fatto di Gabriel Garko una delle presenze più popolari – e desiderate – del piccolo schermo. Non è autocelebrazione. È un gioco. Un’operazione nostalgia condita di autoironia e tenerezza. Scene di fuoco, amori impossibili, sguardi intensi e recitazione a tratti teatrale, sopra le righe, volutamente esagerata. È il suo passato, e lui lo guarda senza più vergogna.
“Mai fatto un rewatch nella mia vita. La verità è che non amo rivedermi”, scrive. Ma stavolta lo fa. E si diverte. Sorride. Si prende in giro. E ci regala un momento vero, sincero, raro.
Perché Garko è stato, per anni, il volto del maschio alfa italiano: bello, tenebroso, passionale. Il protagonista di amori travolgenti, vendette feroci, drammi famigliari al limite del grottesco. Le fiction come L’onore e il rispetto o Il peccato e la vergogna erano romanzi popolari, e lui era il loro eroe tormentato. Il corpo perfetto, il volto scolpito, la voce grave. Una presenza ingombrante e magnetica, tanto da oscurare tutto il resto.
Ma dietro quel ruolo c’era un uomo. E quell’uomo, nel 2020, ha scelto di spogliarsi davvero. Di dire la verità. Di fare coming out. Un gesto potente, in un Paese in cui la televisione generalista ancora balbetta davanti alle parole omosessualità e identità. Una scelta che non era solo personale. Era politica. Culturale. Un grido di liberazione.
“Se lo avessi fatto prima, forse non avrei più lavorato”, disse. E la paura era fondata. Perché in Italia, per troppo tempo, essere sé stessi è stato un rischio.
Ma oggi, cinque anni dopo, Gabriel Garko può dire un’altra cosa, e lo fa con la semplicità di chi ha finalmente trovato pace: “Non so dire se è un tabù superato. Posso parlare per esperienza personale. A me non ha cambiato assolutamente nulla, anzi ha migliorato tante cose. Penso di essere in una fase diversa della mia vita. Sto bene, sono sereno.”
Sereno. In equilibrio. Capace di guardarsi indietro senza rancore. Di prendere un insulto e trasformarlo in una lezione. Di usare l’ironia come scudo e come spada. Di essere un esempio, non per forza militante, ma profondamente umano.
E a chi ancora pensa che basti una frase piena di odio per cancellare un percorso di verità, Garko risponde così: con un video. Con un sorriso. Con due parole scritte bene, che pesano più di mille urlate sgrammaticate.
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