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Cannabis light? Il centrodestra la fuma male. E la Giunta Cirio si gira dall’altra parte

Disabato (M5S) all’attacco: “Una crociata ideologica fatta di ignoranza e propaganda”

Cannabis light? Il centrodestra la fuma male. E la Giunta Cirio si gira dall’altra parte

La consigliera regionale Sarah Disabato

Avanti, tutti contro la cannabis light. È partita la crociata moralista del centrodestra, armata non di dati scientifici ma di slogan da comizio e pregiudizi da bar. E il Piemonte, che dovrebbe difendere il lavoro e l’innovazione agricola, cosa fa? Si accoda in silenzio. Peggio: fa finta di nulla, mentre una filiera intera rischia di sparire, insieme a centinaia di posti di lavoro.

Lo ha denunciato in Aula la capogruppo regionale del Movimento 5 Stelle Sarah Disabato, che oggi a Palazzo Lascaris ha presentato un question time per chiedere alla Giunta Cirio se intenda – almeno stavolta – fare qualcosa di concreto per difendere le imprese piemontesi che operano nella cannabis legale. Ma la risposta è stata quella di sempre: un bla bla istituzionale condito da minimizzazione e indifferenza.

Già, perché Gianluca Vignale, l’assessore mandato in trincea per difendere l’indifendibile, ha pensato bene di liquidare il tema come un non-problema. Peccato che il Piemonte rappresenti da solo il 10% del comparto italiano della cannabis light, e che con l’entrata in vigore del nuovo Decreto Sicurezza si rischi un disastro annunciato. Ma Vignale, impassibile, ha preferito tappare le orecchie al grido d’allarme che arriva dalle aziende agricole, dai negozianti, dagli operatori del settore.

“Un attacco frontale, indiscriminato, ideologico”, ha detto Disabato, puntando il dito su un decreto che più che mettere in sicurezza, mette a rischio il futuro di migliaia di lavoratori. E mentre l’Unione Europea ha chiarito – nero su bianco – che non si possono vietare la coltivazione indoor o la vendita delle infiorescenze senza prove scientifiche concrete, l’Italia – e con essa il Piemonte – imbocca con entusiasmo la strada del proibizionismo medievale.

Un tempo la destra difendeva le imprese. Ora, invece, le colpisce. Un tempo si diceva vicina agli agricoltori. Ora, se coltivano cannabis light, diventano improvvisamente persone scomode. Il tutto in nome di una morale d’accatto, utile solo a galvanizzare la pancia dell’elettorato e zittire ogni spiraglio di modernità.

E Alberto Cirio? Il presidente sempre pronto a presenziare a ogni taglio di nastro tra un salame e una toma, stavolta si smarca, lascia parlare Vignale e si rifugia nel silenzio. Sarà che la cannabis light non è abbastanza fotogenica per finire sul suo profilo social?

Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle promette battaglia: audizione urgente delle associazioni di settore, atto di indirizzo in Consiglio regionale, e pressing politico perché questa vicenda non venga insabbiata come tante altre. “Parliamo di imprese vere, di persone che lavorano, di famiglie che rischiano di perdere tutto. Servono risposte, non propaganda”, insiste Disabato.

Ma la verità è che il centrodestra preferisce il fumo del sospetto alla trasparenza dei dati, e pur di guadagnare due voti tra i nostalgici del Ventennio, è pronto a mandare in rovina chi ha investito, rischiato, costruito.

Insomma, una guerra contro un fantasma, combattuta con l’ignoranza e alimentata dal pregiudizio. Con un’unica certezza: a pagare il conto, come sempre, saranno gli ultimi della fila.

canapa

Canapa made in Piemonte

In Piemonte, la canapa è protagonista. Non quella da fumare, ma quella da mangiare, da spalmare, da indossare. Una pianta antica, messa ai margini per decenni e oggi riscoperta come simbolo di agricoltura sostenibile, multifunzionale e a filiera corta. Nel solo 2021 sono state 146 le aziende agricole che hanno scelto di investire nella canapa sativa, coltivando circa 198 ettari di terreno. E dietro ai numeri, ci sono volti, storie, imprese che fanno della pianta dalle mille virtù un’opportunità concreta per il futuro.

Tra le realtà più attive e strutturate c’è Il Borgo della Canapa, azienda agricola piemontese che ha scelto un approccio scientifico e certificato (GACP) per coltivare e trasformare la canapa sativa. I suoi prodotti spaziano dagli alimentari ai cosmetici, fino alle infiorescenze ricche di CBD, puntando su una filiera integrata che valorizza il territorio e riduce l’impatto ambientale. Non solo coltivazione, ma anche trasformazione e commercializzazione: un modello virtuoso che unisce benessere, qualità e sostenibilità.

Accanto al Borgo, si distingue Le Canapaie, realtà agricola che ha puntato sulla biodiversità e sull’innovazione alimentare. Qui la canapa diventa ingrediente per birre artigianali, olio e farina, con metodi di coltivazione rigorosamente naturali. Il messaggio è chiaro: si può fare agricoltura moderna, redditizia e rispettosa della terra, anche partendo da una pianta troppo a lungo demonizzata.

A Giaglione, in provincia di Torino, lavora invece l’Azienda Agricola Monica Gagliardi, che affianca alla produzione di canapa sativa legale anche zafferano, erbe officinali e prodotti trasformati come marmellate e liquori. Una proposta ampia e raffinata che guarda al mercato locale e al turismo esperienziale, unendo tradizione e nuove esigenze dei consumatori.

Ma la forza della canapa piemontese sta anche nel gioco di squadra. A Carmagnola ha sede Assocanapa Group, che coordina una rete di oltre 40 aziende attraverso la Cooperativa Produttori Canapa Italiana (PROCAIT SCA), con l’obiettivo di creare una filiera completa, dal seme al prodotto finito. Una sfida ambiziosa che coinvolge agricoltori, trasformatori e artigiani.

Anche le istituzioni iniziano a crederci. Il progetto "GO Canapa Piemonte", finanziato dalla Regione, punta a sviluppare tecnologie innovative per la raccolta e la lavorazione della canapa, coinvolgendo non solo le aziende agricole ma anche il comparto meccanico e tecnico-industriale. Un’alleanza trasversale che potrebbe rendere il Piemonte un punto di riferimento nazionale ed europeo.

Chi vuole orientarsi meglio in questo mondo può affidarsi a Federcanapa, la federazione italiana del settore, o al Consorzio Con.CanapaTu.Val.I., che tutela la canapa sativa della tradizione italiana. Due risorse preziose per chi cerca informazioni, reti, contatti e formazione.

Insomma, il Piemonte della canapa non è più un esperimento, ma un ecosistema agricolo in crescita, fatto di qualità, innovazione, rispetto dell’ambiente e nuovi mercati. Un’economia della terra che guarda avanti, puntando su una pianta capace di dare risposte concrete ai bisogni di salute, nutrizione, lavoro e territorio.

Canapa in Canavese: una storia antica che oggi si finge di non conoscere

Pochi lo sanno, ma il nome Canavese deriva proprio da canapa. Sì, canapa. Quella stessa pianta oggi finita nel mirino di una politica miope e ideologica, che sembra ignorare non solo l’economia, ma perfino la storia. Il toponimo affonda le radici nel latino cannapicium o cannavetum, a indicare una zona dove la coltivazione della canapa era diffusa e strutturale. La canapa era il cuore agricolo di questa terra, molto prima che qualcuno iniziasse a criminalizzarla per ignoranza o per calcolo elettorale.

Nel Basso Canavese, da Caluso a Montanaro, da San Benigno a Chivasso, la canapa ha rappresentato per secoli reddito, lavoro, artigianato, cultura materiale. Cresceva rigogliosa nei campi, alimentata dalle acque dell’Orco e del Malone, raccolta e lavorata a mano da famiglie intere. Le fibre servivano per corde, tessuti grezzi, sacchi, vele, i semi per olio, saponi e mangimi. La parte legnosa diventava combustibile o materiale da costruzione. Una pianta totale, che non lasciava scarti, in perfetta sintonia con un mondo rurale che oggi viene liquidato come “non al passo coi tempi” solo perché produceva senza inquinare.

Poi arrivarono il boom economico, la plastica, le fibre sintetiche e soprattutto la grande ondata proibizionista americana, importata in Italia con zelo cieco. La canapa finì sotto accusa, confusa volutamente con la marijuana, rimossa dai campi, cancellata dai programmi scolastici, spazzata via da una propaganda che ancora oggi lascia macerie legislative e culturali.

Eppure in Canavese nessuno, fino a cinquant’anni fa, avrebbe mai immaginato che quella pianta diventasse un tabù. Era naturale, necessaria, quotidiana. C’era nei cortili, nei racconti, nei vestiti. Era identità. Non una pianta qualunque, ma la pianta che dava il nome a tutto un territorio.

Negli ultimi anni, grazie alle normative europee più razionali, alcune aziende giovani e coraggiose hanno cercato di riscoprirla. Hanno puntato su infiorescenze legali, cosmetici, alimenti naturali, materiali sostenibili. Ma ora, con il nuovo Decreto Sicurezza e la crociata del centrodestra, rischiano di vedersi portare via tutto. Di nuovo. Per ignoranza o per propaganda. O per entrambe.

Perché in fondo colpire la cannabis light oggi significa colpire anche il Canavese di ieri, quello contadino, artigiano, resistente. Un territorio che ha fatto della canapa la sua forza, il suo nome, la sua economia. Ma tutto questo non lo troverete nei comunicati del Ministero o nei post indignati degli assessori: lì si parla solo di “droga” e “sicurezza”, come se bastasse un decreto per riscrivere i secoli.

E invece no. La canapa fa parte del DNA del Canavese. Negarlo, oggi, non è solo ingiusto. È un insulto alla memoria, al lavoro e all’intelligenza di un intero territorio.

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