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11 Aprile 2025 - 00:44
riunione Pd
Una città attraversata da paure reali e percezioni amplificate, da tensioni crescenti e da un senso di insicurezza che, pur senza esplodere nei numeri ufficiali, agita il dibattito pubblico e alimenta la retorica politica.
In questo clima teso e polarizzato, il circolo del Partito Democratico di Ivrea ha scelto di aprire le porte agli iscritti per un confronto pubblico sul tema della sicurezza.
Nella sede di via Peretti, ieri sera, si sono alternati interventi politici, riflessioni tecniche e racconti di esperienze dal territorio, in una discussione che alla lunga vorrebbe porre le basi per ricucire un rapporto tra cittadinanza e istituzioni, tra percezione e realtà, tra allarme e prevenzione.
A rompere il ghiaccio è stato il presidente del circolo Maurizio Perinetti, che ha subito posto la questione su un piano strutturale.
“Parliamo di disagio giovanile, di persone che arrivano nel nostro Paese, spesso minorenni. Se non c’è un programma di assistenza e accompagnamento, il rischio è che inizino a delinquere. Ma questo non può giustificare risposte repressive”.
Una posizione che prende chiaramente le distanze dalla linea del Governo: “Il diritto penale dovrebbe servire a rispondere a un problema sociale. L’ultimo decreto sicurezza del governo Meloni non cerca soluzioni, inasprisce le pene. Ma così si agisce sulle conseguenze, non sulle cause. È un cortocircuito politico e culturale”.
Francesco Giglio, segretario cittadino e consigliere comunale, ha spostato il focus sulla narrazione del fenomeno sicurezza, denunciando il ruolo distorsivo della comunicazione.
“Sui giornali e sui social si parla tanto di sicurezza - ha stigmatizzato -. Alcuni episodi gravi ci sono, ma vengono ingigantiti. E così si crea una percezione alterata, che alcuni partiti cavalcano per guadagnare consenso. Eppure i dati ci dicono che gli omicidi in Italia sono in calo da decenni. Nonostante questo, sembra di vivere in un Paese sull’orlo del collasso”.
Il bersaglio è chiaro: “Accusano il sindaco di non fare nulla. Ma in un Paese democratico, il sindaco non è uno sceriffo. Può installare telecamere o aumentare l’illuminazione, ma non può combattere la criminalità da solo. E chi dice il contrario sta mentendo ai cittadini”.
Giglio, peraltro, fa anche un paio di ragionamenti sui social (citando illustri pensatori) e sui luoghi. Con il primo, invitando il presidente del consiglio Luca Spitale a non interagire sui social con chi sta ragionando con la "pancia", con il secondo tirando in ballo quei servizi sulle fragilità che richiamano disagio nei luoghi del disagio.
Un messaggio che il sindaco Matteo Chiantore conosce bene, e che ha provato a spiegare con calma e determinazione.
“Il cittadino si rivolge a me e chiede: ‘Fai qualcosa, manda i vigili!’ Ma i vigili non sono agenti armati. Spesso sono ex bibliotecari o amministrativi. Non sono addestrati per affrontare situazioni critiche. Lo metti in strada e lo metti in pericolo”.
Poi l’affondo sui numeri, quelli forniti dalla Prefettura: “Nel 2024 a Ivrea si sono registrati 1185 delitti. Di questi, 855 contro il patrimonio, 295 furti, 13 rapine. Zero omicidi. Zero tentati omicidi. Sono dati che non dovrebbero allarmare. Eppure la preoccupazione cresce. Perché? Perché oggi contano più le percezioni che i numeri”.
Vero è che il sindaco non si è limitato alla difesa.
“Il coltellino in tasca non è reato, ma crea insicurezza - ha spiegato - . Un ragazzino che lo estrae per un nonnulla non è un criminale, ma va seguito. Serve prevenzione. Servono educatori. Serve attenzione sociale, non solo repressione. Il disagio sociale non è ancora criminalità, ma può diventarlo”.
Da qui l’annuncio: fondi raddoppiati per la videosorveglianza, da 20 a 50 mila euro, e la volontà di recuperare spazi inutilizzati, come quelli della vecchia stazione ferroviaria, per destinarli a un presidio interforze. Ma con un’avvertenza: “No al presidio al Movicentro, dove vanno i bambini a fare i compiti. Serve equilibrio, serve buon senso”.
Tra i partecipanti alla serata, Ellade Peller, presidente del consorzio In.rete, ha ricordato come nel 2016 si gestirono 487 persone tra Ivrea e Borgiallo con il sistema SPRAR.
“Poi è arrivato il decreto Salvini - ha più o meno osservato - I fondi sono scesi da 35 a 21 euro al giorno. E con 21 euro si fa solo albergo, non accoglienza. Non si costruisce integrazione, si parcheggia disperazione”.
Attilio Marzola, dal pubblico, ha messo in guardia da facili allarmismi: “Tutto è partito da quella famosa riunione al bar della stazione. Si parla alla pancia delle persone. Ma non ci sono bande a Ivrea. Esistono comportamenti problematici tra i giovani, certo. Ma non si tratta di delinquenza organizzata”.
E se l’assessora Gabriella Colosso, seguendo il ragionamento di Francesco Giglio, medita di riportare in centro città i servizi sulle fragilità oggi attivi al Movicentro e ha invitato tutti a spostare l’attenzione verso “solidarietà e patti di collaborazione nei luoghi dove il disagio si manifesta”, Barbara Manucci, consigliera comunale e volontaria Caritas ha affondato il dito nella piaga del dormitorio della Caritas chiuso e che ha generato un problema per molti senzatetto.
“Dopo il Covid, le povertà sono esplose - ha stigmatizzato - Anche le tossicodipendenze. Finiti i progetti, sono finiti i fondi. Servono risorse vere, non spot mediatici”.
In chiusura Perinetti, dimostrando di essere l'unico vero politico della serata,ha rilanciato tre priorità operative: “Costante monitoraggio con la Prefettura. Comunicazione trasparente su ciò che l’Amministrazione sta facendo. Coinvolgimento delle opposizioni: la sicurezza non è un tema di destra o di sinistra. È una sfida collettiva”.
Peccato che Giglio, con una punta di disillusione, ha frenato ogni entusiasmo.
“Coinvolgere la minoranza? Magari. Ma oggi usano questo tema come clava politica. Alla comunicazione di pancia non si può rispondere con la testa. O almeno, non basta più”.
A chiudere il cerchio il consigliere Emanuele Longheu, con una riflessione amara ma lucida: “Oggi la gente cerca solo quello che vuole sentirsi dire, non quello che è vero. Non ci si parla più, non ci si ascolta. E allora resta solo la percezione. Ma quando la percezione diventa realtà, come si ricostruisce la fiducia?”
Gran finale con un applauso al sindaco. Un applauso trattenuto, riflessivo. Non liberatorio. Un gesto che non celebra soluzioni, ma riconosce almeno l’inizio di un confronto. Perché la sicurezza, a Ivrea come altrove, non si costruisce in una sera, né con un decreto, né con un tweet. Ma cominciare a parlarne senza slogan e senza paura, forse, è già qualcosa.
Postilla
Ci permettiamo di aggiungere alcune osservazioni.
A Ivrea – dicono le forze dell’ordine – ci sono spacciatori tunisini di seconda generazione che arrivano ogni giorno in treno da Torino, presidiano piazze e locali e organizzano lo smercio. Non a caso i problemi maggiori (e questo lo ha detto anche il sindaco) si registrano tra la stazione e le scuole. La droga c’è, il consumo cresce. Gli spacciatori sono microcriminalità e se c'è la microcriminalità c'è anche la criminalità, solitamente è 'ndrangheta. Sul fenomeno consigliamo alla classe politica una lettura delle relazioni parlamentari sul fenomeno mafioso. Poi è vero che c'è anche il tossico e chi si ubriaca. Ci sono i senzatetto. Ecco tutto il resto è disagio.
La seconda riguarda il ruolo dell’informazione. I giornali raccontano quello che vedono, che sentono, che viene denunciato. Le dichiarazioni – quando ci sono – meritano attenzione, non silenzio. Tenerle chiuse in un cassetto non è prudenza, è omissione. E chi lo fa, non fa un buon servizio ai lettori. Né alla democrazia.
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