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11 Aprile 2025 - 02:05
Oddio. Le scale mobili. Ancora loro. Sempre loro. È il 10 aprile 2025 e, come in un incubo che si ripete da anni, basta mettere piede a Torino Porta Susa per ritrovarsi catapultati nella solita scena: scale ferme, gente che sbuffa, valigie da trascinare, ginocchia a pezzi. E questa volta l’esperienza è arricchita da una chicca: i cartelli affissi da GTTcon cui si scusa per il disagio. Ci scusiamo per il disagio, scrivono. E lo fanno con una certa poesia, come se a forza di ripeterlo, quel disagio potesse diventare una carezza.
Disagio. Un modo elegante per dire che sei scale mobili – sei, non una, non due, sei – erano fuori uso. Sei ascensioni negate. Sei livelli di discesa all’inferno da affrontare coi muscoli delle gambe. Sei monumenti all’inettitudine, al fatalismo infrastrutturale, alla progettazione da catalogo con lo sconto.
La stazione è “nuova”, dicono. E lo è davvero, se pensiamo che ha appena compiuto dodici anni. Una ragazzina, in termini architettonici. Ma già stanca, già dolorante. Invecchiata male. Forse perché nata con troppe promesse e troppi tagli di nastro. Era il 14 gennaio 2013 quando Mario Monti, Mauro Moretti, Roberto Cota e Piero Fassino si presentarono per l’inaugurazione, tra flash, pacche sulle spalle e discorsi pieni di retorica. Un nuovo modo di viaggiare, dissero. Il futuro della mobilità, dissero.
Ecco il futuro: una scala mobile ferma con un cartello scritto male appiccicato sopra con lo scotch.
I cartelli firmati GTT sono quasi degli oggetti di culto. Li si trova ovunque, come reliquie laiche: “Ci scusiamo per il disagio”, ripetuto con la stessa convinzione con cui si dice “ci vediamo presto” dopo un funerale. Ma di scuse, sinceramente, la gente è stanca. Anche perché non è ben chiaro di chi sia il disagio: loro lo comunicano, ma chi lo subisce siamo noi.
C’è chi dice che Trenitalia risparmi sulla manutenzione. C’è chi dice che la ditta venga pagata “a chiamata”, cioè: finché nessuno urla, tutto resta com’è. C’è chi sospetta che gli impianti siano stati scelti con la logica della spesa minima e dell’effetto massimo in conferenza stampa. Nessuno sa con certezza dove stia il problema, ma tutti – e sottolineo tutti – sanno che le scale mobili non funzionano mai.
Non è una novità. È un classico italiano. Le scale mobili qui sono un'opera concettuale: ci sono, ma non servono. Le vedi, pensi forse oggi funziona, e invece no. Il miracolo non accade. Sono lì, mute, ferme, solenni come sarcofagi tecnologici. Quando partono, cigolano, tremano, ti fanno venir voglia di scendere a piedi comunque.
Nel mondo, altrove, funzionano. Nei luoghi dove il trasporto pubblico è una cosa seria – Parigi, Londra, Madrid, perfino New York – le scale mobili portano le persone da un punto A a un punto B. Da noi, servono a ricordarti che sei in Italia. Che il progresso si annuncia ma non si realizza mai davvero.
E pensare che Porta Susa era un gioiello architettonico. Firmata da Jean-Marie Duthilleul, Etienne Tricaud, Silvio d’Ascia e Agostino Magnaghi, tutta vetro e acciaio, lunga 385 metri, alta fino a 19. Doveva sfruttare la luce naturale, doveva produrre l’80% dell’energia da sola grazie ai pannelli fotovoltaici. Doveva... doveva.
Ma ora la realtà è un’altra. Lo “scivolo” da piazza XVIII Dicembre, inaugurato nel 2014, è più utile come pista da slittino che come accesso fluido. Il parcheggio multipiano aperto nel 2016 è comodissimo, se riesci a raggiungere il piano dei binari senza una mezza slogatura.
Nel 2025, la stazione dell’alta velocità di Torino è una metafora perfetta del Paese: bellissima da vedere, fotogenica, premiata. Ma poi ti tocca farti tre rampe a piedi con due trolley e il passeggino in braccio. E se ti lamenti, ti rispondono con un cartello stampato in corpo 16: Ci scusiamo per il disagio.
UN VIDEO DI QUALCHE ANNO FA...
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