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Costume e società

"Altro che bombe, la Littizzetto lancia battute: l’Esercito risponde col Codice Penale"

Da Bosconero con furore, la comica che fa più paura di un'invasione aliena. A ogni letterina, un’esplosione. E stavolta non è solo satira: è guerra aperta

"Altro che bombe, la Littizzetto lancia battute: l’Esercito risponde col Codice Penale"

Luciana Littizzetto

Luciana Littizzetto ha un superpotere. Non vola, non sposta montagne, non solleva carri armati. No: fa battute. E nel farlo, scatena crisi istituzionali. In un Paese dove un conduttore può dire che Mussolini “ha fatto anche cose buone” e poi finire a condurre Sanremo, una comica che osa prendere in giro l’Esercito finisce invece nel mirino di colonnelli indignati, avvocati agguerriti e osservatori del Dovere con la D maiuscola.

Il casus belli? Una letterina. Proprio così. Quelle che da piccola scriveva a Babbo Natale, oggi le indirizza all’Esercito Italiano. Il contenuto, come sempre, è ironico, irriverente, graffiante:
“Facciamo cagarissimo a combattere, da Caporetto alla campagna di Russia: sono più le volte che abbiamo perso.”

Una frase che, se fosse uscita dalla bocca di uno storico militare, magari con barba bianca e cattedra a La Sapienza, avrebbe provocato al massimo qualche borbottio tra accademici. Ma siccome l’ha pronunciata “Lucianina”, quella che parla di pipì, mestruazioni, suore in menopausa e altre porcherie umane, allora giù querele, comunicati ufficiali e il Codice Penale sguainato come una sciabola.

littizzetto

A guidare la carica c’è Gianfranco Paglia, ex parlamentare, medaglia d’oro al valor militare, oggi colonnello visibilmente irritato. Ha denunciato la comica per aver mancato di rispetto ai nostri caduti, invocando l'articolo 290 del Codice Penale: vilipendio delle Forze Armate. A ruota, arriva l’avvocato Francesco Catania, che deposita un esposto formale alla Procura. E infine, l’Osservatorio Vittime del Dovere, che annuncia addirittura una class action. Come se la Littizzetto avesse venduto vaccini scaduti, e non pronunciato una battuta su una rete televisiva privata, in uno show di satira.

E lei? Niente. Nessun comunicato, nessuna lacrima in diretta, nessuna genuflessione sul tricolore. Niente ghostwriter alla Bruno Vespa. Semplicemente, passa oltre. Perché Luciana è fatta così: sa quando un polverone merita attenzione e quando invece è solo il frutto di un Paese che non sa più distinguere la satira dall’eversione.

La settimana successiva, sempre a Che tempo che fa, torna con un’altra letterina. Il tema è completamente diverso: le adozioni per i single. E qui non ci sono risate, né ironie. Solo empatia e verità. Con tono pacato ma deciso, spiega che “la famiglia è quella dove c’è amore”, punto. Frase da bacio Perugina? Forse. Ma anche da sentenza della Corte Costituzionale, che ha appena dichiarato illegittimo il divieto imposto ai single di adottare minori stranieri. Luciana quella battaglia l’ha già vinta nella vita: due figli li ha adottati davvero. E se ne parla con una tale naturalezza che nemmeno ti accorgi di quanto sia rivoluzionaria.

Questa è Littizzetto. Alterna stoccate feroci a momenti di commozione autentica. Sa quando far ridere e quando far pensare. Lo fa da una vita. Nata a Torino, originaria di Bosconero, Canavese profondo, Piemonte vero. È cresciuta nel quartiere San Donato, dove mamma Antonietta – ex camiciaia – aprì una latteria che diventò per anni il suo punto di osservazione privilegiato sulla realtà.  Lì ha imparato che le verità si possono dire in faccia, senza tanti giri di parole. Che l’ironia è uno scudo, ma anche una lama. E che per sopravvivere al ridicolo della realtà italiana, bisogna riderci sopra, forte. Il papà Pietro, operaio Fiat, le ha insegnato che la dignità non ha bisogno di mostrine. 

Il suo viaggio comico comincia con “Minchia Sabbrì”, personaggio cult degli anni Novanta. Da lì, è un’ascesa: la radio, il cinema, la TV, i libri, le conferenze. Sempre con quella voce da papera un po’ incazzata, e quella faccia da zia che non ti lascia scampo. A differenza di altri, Luciana non fa satira per mestiere. La fa per esigenza. È la comica che dice le cose che nessuno osa dire. E le dice male, magari. Ma vere.

Perché diciamocelo: ha pure ragione. L’Italia in guerra ha dato il peggio di sé, spesso per colpa di chi la comandava. Caporetto è sinonimo di disfatta proprio grazie al nostro talento nel caos. I soldati mandati in Russia con le scarpe di cartone sono un fatto, non una gag. Ma se lo dice una comica, è subito vilipendio. Perché qui l’umorismo è tollerato solo se fa ridere senza disturbare.

Eppure, Littizzetto non si arrende. Non si autocensura. Non si smussa. Continua a fare quello che fa meglio: parlare chiaro, con ironia, con rabbia, con dolcezza, a seconda dei casi. E continua a farlo accanto a Fabio Fazio, fedele spalla silenziosa, nel salotto dove ogni domenica si celebrano verità scomode travestite da show.

Insomma, la comica di Bosconero fa paura. Non perché ha l’elmetto, ma perché ha la parola. Non perché marcia in parata, ma perché mette in fila le frasi con la stessa precisione con cui un generale schiera i carri armati. Ed è proprio questo, in fondo, il vero pericolo: in un Paese che si prende terribilmente sul serio, ridere è l’atto più sovversivo che ci sia.

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