AGGIORNAMENTI
Cerca
Pagine di storia
04 Aprile 2025 - 22:08
È stato un pomeriggio che profumava di memoria e di cinema, quello vissuto, l'altro ieri, all’Unitre di Cuorgnè, dove la docente Graziella Cortese, affiancata da Corrado Deri al computer, ha condotto il pubblico in un viaggio appassionante tra le pieghe di una vita straordinaria: quella di Tullio Pinelli, figlio del Canavese e protagonista indiscusso del grande schermo italiano.
Nato a Torino il 24 giugno 1908, Pinelli non ha mai dimenticato le sue radici familiari, profondamente legate a Cuorgnè, al punto che oggi il teatro comunale della città porta il suo nome. Una dedica che è più di un tributo: è il segno concreto di un’eredità che continua a vibrare tra le colline del Canavese.
Ma per comprendere appieno la forza di questo uomo di cinema, bisogna partire da lontano. Dalle sue origini illustri. Nella genealogia di Tullio scorrono storie di battaglie e istituzioni: Ferdinando Augusto, uno dei suoi avi, fu generale dell’esercito e senatore del Regno, alla guida delle truppe che assediarono l’ultima roccaforte borbonica a Civitella del Tronto. Alessandro Pinelli, fratello di Ferdinando, fu presidente di classe della Corte d’appello di Torino e anch’egli senatore. Ma forse il più noto fu Pier Dionigi Pinelli, deputato di Cuorgnè dal 1848, due volte Ministro dell’Interno e presidente della Camera dei Deputati. Una famiglia, quella dei Pinelli, in cui l’impegno pubblico e culturale scorre come un fiume carsico, fino a riemergere con Tullio in una forma nuova: quella della creazione artistica.
La sua carriera comincia in punta di penna. Dopo la laurea in giurisprudenza e un breve periodo da avvocato, Pinelli scopre la passione per il teatro. Gli anni Trenta lo vedono emergere come drammaturgo. Opere come La pulce d’oro(1935) e Lo stilita (1937) rivelano una vena spirituale, un’attenzione per il simbolismo religioso che anticipa, in qualche modo, la profondità delle sue future sceneggiature.
Nel 1942, la svolta: si trasferisce a Roma e viene assunto dalla Lux Film come sceneggiatore. L’esordio sul grande schermo arriva con In cerca di felicità (1944), per la regia di Giacomo Gentilomo. Da lì, un crescendo di collaborazioni prestigiose. Lavora con Alberto Lattuada in pellicole vicine al neorealismo come Il bandito (1946) e Senza pietà(1948), e intanto si cimenta con la radio, scrivendo drammi radiofonici che gli consentono di esplorare nuove forme narrative.
Ma è un incontro casuale che cambierà tutto. Davanti a un’edicola romana, due uomini leggono lo stesso articolo affisso in vetrina. Si guardano. Si parlano. Uno è Federico Fellini, l’altro è Tullio Pinelli. Da quel frammento di quotidianità nasce una delle collaborazioni più feconde della storia del cinema.
Il primo frutto è I vitelloni (1953): cinque giovani uomini sospesi tra l’adolescenza e la vita adulta, in una piccola città di provincia. Un affresco dolceamaro, umano, profondamente italiano. Poi arriva La strada (1954), un capolavoro che nasce da un’ispirazione raccolta per caso, lungo una strada sterrata della Toscana, mentre Pinelli si dirigeva verso Torino. Zampanò e Gelsomina diventano icone, simboli di un’umanità fragile e disperata. Il film racconta la povertà, l’emarginazione, la durezza della vita di chi non ha una casa, ma ha ancora una speranza.
E ancora: Le notti di Cabiria (1957), con la sua protagonista candida e ostinata che attraversa la notte romana in cerca di amore e riscatto. La dolce vita (1960), il film scandalo, il ritratto spietato e affascinante di una società in decadenza, dove Marcello Mastroianni – alter ego di Fellini – incarna la figura dell’uomo alla deriva nel mare della modernità.
Nel 1963 arriva un altro capolavoro, Otto e mezzo, la pellicola che più di ogni altra riflette l’interiorità tormentata del regista. Pinelli ne è l’architetto narrativo. Guido, il protagonista, è un uomo stanco, incapace di amare, incapace di creare. E in questa crisi, c’è anche qualcosa dell’autore, del suo tormento e della sua ricerca.
Durante la lezione, Graziella Cortese ha raccontato anche un aneddoto curioso su Claudia Cardinale, la protagonista di Otto e mezzo, costretta a fare avanti e indietro da Roma a Palermo dove girava Il Gattopardo. Due personaggi, due film, due mondi: e due colori di capelli da rispettare per esigenze di scena. Il cinema, ha spiegato la docente, è anche questo: un insieme di dettagli, fatiche, ritmi frenetici, che solo la forza della passione riesce a tenere insieme.
La sceneggiatura, ha ricordato Cortese, è il cuore nascosto del cinema. È lo scheletro, la mappa, l’anima. “È la più preziosa di tutte le arti cinematografiche, anche se spesso non lo è, ma dovrebbe esserlo”, ha affermato con convinzione. Perché ogni grande film nasce da una grande scrittura, e Tullio Pinelli è stato uno degli architetti invisibili della nostra immaginazione collettiva.
Tra il pubblico, anche Paola Ghigo, regista dell’opera teatrale dedicata alla vita di Pinelli, e Simona Quilico, motore pulsante dell’associazione culturale Lo Zodiaco, che ha promosso e allestito lo spettacolo. Presenze che confermano quanto ancora oggi la figura di Tullio Pinelli continui a ispirare, emozionare, far sognare.
Tullio Pinelli non ha solo scritto storie. Ha scritto sogni. E chi scrive sogni, non muore mai.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.