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02 Aprile 2025 - 17:09
Giorgio Vercelli
Immaginate un ragazzo che a 22 anni comincia a vendere piccoli accessori in plastica per l’edilizia. Sempre gli stessi, per tutta la vita. Nessuna start-up da copertina, nessun salto nel digitale, solo plastica, stampi, sudore e silenziosa caparbietà. Oggi di anni ne ha 63, e non ha mai mollato. Nemmeno quando il destino gli ha tolto tutto, quando il futuro sembrava un vicolo cieco e le porte si chiudevano una dopo l’altra.
Quel ragazzo si chiama Giorgio Vercelli ed è di Ciriè.
Comincia come agente per una storica azienda italiana, ma il sogno industriale crolla quando la ditta viene inghiottita da una multinazionale straniera che non guarda in faccia nessuno: chiude, licenzia, cancella. Niente più commesse, niente più prodotti da vendere. Il sipario, per molti, sarebbe calato lì.
Ma Vercelli non è tipo da inchinarsi alla sorte.
Si fa costruire degli stampi, si affida a terzisti, riparte da solo. Tra i fornitori c’è anche la Consulplast di Mezzi Po, a Settimo Torinese, ma anche lì la malasorte ha il volto della crisi dei clienti: prima fallisce Bertone, poi Eurolight, e Consulplast cade sotto il peso delle crisi altrui. È l’ennesima porta sbattuta in faccia.
E allora? Vercelli rischia. Affitta l’azienda per 14 mesi, giusto il tempo per capire se quella follia può avere un futuro. Alla fine la compra. E inizia la rivoluzione.
I vecchi macchinari? Rottamati. Ogni vite, ogni bullone sostituito. Ogni bando, ogni incentivo, ogni spiraglio di finanziamento viene sfruttato: Industria 4.0, Transizione 4.1, sostenibilità, riciclo. In pochi anni investe 12 milioni di euro e nel 2020 rinasce come Plastypiemonte Srl, azienda che oggi, nel suo settore, è la più moderna d’Europa.
Produce distanziatori in plastica per ferri d’armatura, utilizzando solo plastica riciclata da post consumo. Un'eccellenza piemontese che oggi conta 28 dipendenti diretti e 50 con l’indotto, con clienti in tutta Europa e un sistema produttivo automatizzato che fa scuola.
Nel 2019, quando lui la rileva, l’azienda è fallita. Ci lavoravano in quattro. Oggi è un simbolo di rinascita industriale. E proprio da qui nasce la proposta che sta spaccando in due il paese: un campo fotovoltaico da 2 megawatt su un terreno agricolo di 50 mila metri quadrati.
“Siamo energivori”, ci racconta. “Le nostre macchine hanno bisogno di tanta energia elettrica. Per questo abbiamo già coperto tutti i tetti con pannelli fotovoltaici. Ma non basta più. Se vogliamo continuare a crescere e rimanere competitivi servono energia e spazi.”
Da qui l’idea di convertire quel campo incolto, abbandonato da anni dopo che l’affittuario, Roberto Racca, ha lasciato per l’affitto troppo alto. Giorgio Vercelli prende il telefono e chiama amici storici: Sergio Canalis, da cui affitta un capannone, e Celestino Rosso della cooperativa agricola di Mezzi Po.
“Io ho bisogno di energia elettrica – spiega –. Magari possiamo fare qualcosa insieme. Compriamo il terreno, lo coltiviamo – magari zucche – e ci mettiamo sopra un impianto agrivoltaico da 2 mega. Lavoriamo insieme. Non voglio rubare niente a nessuno. Voglio creare valore.”
Una parte dell’energia verrebbe utilizzata dalla sua azienda, il resto venduto o offerto a prezzi calmierati agli agricoltori del comprensorio. “Potremmo addirittura regalarla. Basta solo la volontà di fare le cose per bene.”
Ma non tutti la vedono così.
Roberto Moncalvo, ex presidente nazionale di Coldiretti e oggi alla guida della sezione settimese, lancia l’allarme: “A Mezzi Po ci sono almeno 35 aziende agricole attive, molte gestite da giovani. Se parte la corsa al fotovoltaico, spariranno. E con loro un’intera economia locale.”
Centinaia di firme, raccolte in pochi giorni, denunciano il rischio di un “sacco del territorio” mascherato da transizione ecologica. Coldiretti chiede un blocco immediato alla trasformazione urbanistica dei terreni agricoli più fertili.
Vercelli non ci sta. “Io faccio l’imprenditore, non il politico. Se una cosa è bianca, la vedo bianca, se è nera la vedo nera. Non faccio giochetti. La mia azienda è un fiore all’occhiello per Settimo, per il Piemonte. Se chiudiamo, non perdiamo solo una fabbrica: perdiamo famiglie, futuro, dignità.”
E sui social, in un lungo post indirizzato alla sindaca Elena Piastra, scrive: “Noi teniamo alto il nome di Settimo in Europa. Ma vedo una politica cieca e cittadini che si oppongono senza sapere. Se aziende come la mia saranno costrette ad andarsene, il nostro territorio sarà ancora più povero, senza giovani e senza futuro.”
Alla sindaca, peraltro, aveva già mandato una email di presentazione due anni fa....
"Non mi ha mai risposto.." ci racconta.
Nei giorni scorsi anche Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, ha visitato Plastypiemonte.
“Mai si sarebbe aspettato un’azienda così moderna”, commenta Vercelli. E poi rilancia: “Invito la sindaca e tutti i cittadini di Mezzi Po a visitare la nostra impresa. Tutti abbiamo a cuore il territorio. Ma di aria e parole non si vive. Servono energia, lavoro, visione.”
Vercelli lo sa: la legge nazionale permette impianti fotovoltaici entro 500 metri da aree industriali. E a Settimo questa condizione è quasi ovunque rispettata.
Oggi Plastypiemonte produce mezzo megawatt solo dai tetti. Con l’impianto a terra, aggiungerebbe 2 mega.
“Due mega sono tanti – dice – ma voglio usarli bene. La corrente si potrebbe regalare, o rivendere a chi coltiva il territorio. È un progetto pulito, che unisce agricoltura, energia e impresa.”
E poi, conclude con la voce rotta dall’amarezza:
“Prima di parlare di danno ambientale, consideriamo che oggi quasi tutta l’energia elettrica che consumiamo arriva da fonti che inquinano. Io non voglio speculare. Voglio solo rendere la mia azienda più forte, più pulita e più giusta. Il campo è incolto, non per colpa mia. Parliamoci. Conosciamoci. Fermare tutto in nome della paura non è la soluzione. Fermare chi crea lavoro è un danno che nessuno potrà riparare.”
Intanto, Giorgio Vercelli va avanti. Con la sua energia. Letteralmente.
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