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Anche Rivoira fa il pane con 52 mila euro pubblici: la farsa della farina antimafia

Doveva essere un progetto educativo contro la mafia, ma è diventato un costosissimo spot per la campagna elettorale del dopo Piastra. E i poveri? A bocca asciutta

Farina del nostro sacco e sperpero di denaro pubblico... Non 25 ma 52 mila euro... Scandaloso!

E ci vien voglia di piangere, se non ci scappasse da ridere. Il presidente del Consiglio comunale di Settimo Torinese, Luca Rivoira, si sveglia sui social e scopre la magia della farina antimafia. Estasiato come un influencer in gita a Eataly, scrive: “Il progetto ‘Farina del nostro sacco’ ha un meraviglioso gusto di Legalità. Farina prodotta dalla coltivazione di un campo sottratto alla mafia e distribuita alle famiglie più fragili. I progetti che fanno bene al nostro futuro lontano dalla malavita!”

Meraviglioso, sì. Come i 52.000 euro di soldi pubblici investiti per produrre 18 quintali di farina.

Facciamo due conti? 2.888 euro al quintale, altro che “gusto di legalità”: qui siamo oltre il tartufo bianco d’Alba, in zona caviale iraniano. Ma di iraniano, purtroppo, non c’è nemmeno il rigore.

L’entusiasmo con cui Rivoira si accoda alla narrativa già messa in scena mesi fa dalla sindaca Elena Piastra è quasi commovente. Ma più che “presidente del Consiglio”, qui pare già in campagna elettorale, con un piede nel mulino e l’altro in municipio. Tutto torna. E torna soprattutto quella sensazione di presa in giro che ci aveva spinti a denunciare questo progetto già mesi fa come operazione di marketing travestita da solidarietà

Peccato che, ieri come oggi, con i conti alla mano, il travestimento sia saltato. Chiaro a tutti che si tratti di uno sperpero di denaro pubblico vergognoso....

La verità è che il campo coltivato a Mezzi Po – 3.500 metri confiscati alla ‘ndrangheta – ha prodotto una quantità di grano “bandiera” che, trasformato in farina, voleva essere il pretesto per un carosello autocelebrativo. Altro che lotta alla mafia. Altro che “La Casa nella Prateria” in versione social-dem.

E mentre Rivoira si emoziona nel raccontare il “grano liberato”, noi ci chiediamo se abbia letto la determina comunale che stanzia esattamente 52.520 euro per il progetto. Cifra che – per inciso – basterebbe a comprare oltre 2.000 quintali di farina già pronta, da distribuire da subito, senza bisogno di seminare, aspettare, sperare, macinare, confezionare, fotografare e postare.

Si sa, la concretezza non fa notizia. La retorica sì. E allora eccolo lì, il post di Rivoira: zuccheroso come un bacio Perugina, confezionato per raccogliere consensi tra chi si accontenta degli slogan e non va a leggere le determine.

“Farina del nostro sacco” suona bene, è vero. Sembra una bella storia. Ma quando ci metti sopra la lente d’ingrandimento, vedi che sotto la crosta c’è solo l’ennesimo esempio di passerella istituzionale, buona per Facebook, meno per combattere davvero la povertà e, soprattutto, la mafia.

Ma ciò che più colpisce è l’incapacità, o forse la non volontà, di cogliere il senso profondo delle parole che si usano.

Quando si parla di mafia, non basta distribuire sacchetti di farina per dirsi “contro”.

La lotta alla criminalità organizzata richiede cultura, studio, competenza. E soprattutto la capacità di riconoscere la cosiddetta “zona grigia”, quella terra di mezzo dove istituzioni e malaffare si sfiorano, si tollerano, si legittimano.

Non servono pale e trattori, serve coscienza politica.

Ci permettiamo allora una domanda, presidente Rivoira: ma lei, che adesso si commuove con la farina antimafia, ha mai letto i rapporti della Procura e delle Commissioni parlamentari antimafia? Lo sa che cosa è la “zona grigia”?

Perché se non ne ha mai sentito parlare, glielo spieghiamo noi: è quel posto dove la politica fa finta di non vedere, non sapere, non conoscere.

E mentre si coltiva il grano “liberato”, magari ci si dimentica di fare una cosa banalissima: verificare chi si candida nelle liste.

“Farina del nostro sacco”? Sì, ma anche “campagna elettorale con i soldi dei cittadini”.

Il problema, però, è che non si combatte la mafia a colpi di storytelling.

E non si aiutano le famiglie a colpi di etichette. La povertà alimentare non si risolve con 20 quintali di farina “etica” da 2.500 euro l’uno.

Anzi, è un insulto a chi la povertà la vive davvero, ogni giorno, senza la possibilità di coltivare un post autocelebrativo. Insomma, caro Rivoira, se la farina vi è venuta un po’ grumosa, forse è perché ci avete messo troppa retorica e poca concretezza.

Sarebbe bastato guardarsi intorno: a Settimo, di bisogni veri ce ne sono a quintali. Altro che grano “bandiera”.

Un consiglio. Se è vero che vuole candidarsi a sindaco dopo Elena Piastra cominci a scrivere sui social solo "cose furbe" e intelligenti, se è capace...

Che poi, con tutta l’erba alta che cresce in città, bisognava proprio concentrarsi su quella di Mezzi Po? Non bastava un cartello con su scritto “Questa è un’erba cattiva, ma libera dalla mafia”? Avrebbe sicuramente fatto più effetto.

 

determina

settimo torinese

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