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28 Marzo 2025 - 00:07
Un treno Rock
Un’altra riunione, un’altra lista di buone intenzioni, un’altra corsa (manco a dirlo, virtuale) verso il miglioramento della famigerata linea SFM1 Pont Canavese–Chieri. Martedì 18 marzo, su invito dell’onorevole Alessandro Giglio Vigna, i rappresentanti del Comitato “Quelli della Canavesana” hanno incontrato i vertici di RFI.
Presenti il presidente Marco Marcon, la vicepresidente Roberta Crosa, Daniela Roccia e Patrizia Ciochetti, che hanno portato sul tavolo mesi di disservizi, ritardi e pazienza ormai ridotta all’osso.
L’amministratore ferroviario ha fatto il compitino: ha elencato i lavori già fatti – l’installazione del sistema SCMT, qualche sistemazione ai binari, la sostituzione di apparati ai passaggi a livello – e poi ha dato la colpa a “elementi collaterali” come i cavi e i segnali.
Ma tranquilli, hanno promesso un cronoprogramma: entro l’estate 2025, pare, qualcosa dovrebbe migliorare. E a fine anno magari ci saranno anche annunci e monitor funzionanti nelle stazioni. Un lusso, per chi fino ad oggi è stato lasciato senza nemmeno un avviso di soppressione.
Peccato che, mentre si parla di futuro, il presente sia un disastro su rotaie. La Canavesana attraversa il Canavese servendo comuni come Cuorgnè, Rivarolo, Feletto, Bosconero, Volpiano e Settimo Torinese, per poi entrare a Torino e proseguire verso Chieri. Ma la tratta tra Rivarolo e Pont Canavese non è ancora elettrificata: si va avanti con gli autobus sostitutivi, quando passano, e con i pendolari costretti ogni giorno a fare i conti con coincidenze saltate e tempi di percorrenza degni di un altro secolo.
E poi ci sono le stazioni minori, quelle di cui si parla solo quando piove dentro o quando i marciapiedi diventano trappole. RFI ha ammesso che lì non c’è nulla da fare, almeno per ora: mancano i fondi, servono interventi regionali, insomma, bisogna aspettare. Ancora. Come se chi prende quel treno tutti i giorni avesse tempo da perdere.
Dal canto suo, il Comitato dei Pendolari si dice soddisfatto dell’incontro, o quantomeno della volontà di ascolto. Ma in attesa di vedere se alle parole seguiranno i fatti, la realtà resta quella di sempre: una linea dimenticata, utenti esasperati, promesse da verificare. E un sistema ferroviario locale che continua a deragliare, ogni giorno, nell’indifferenza generale.
In principio fu un sogno di progresso, una visione concreta di sviluppo economico per il Canavese. Oggi è una linea ferroviaria a metà servizio, in parte chiusa, in parte elettrificata, in parte dimenticata. La ferrovia Canavesana, nata come ippovia e trasformata in un’infrastruttura moderna (si fa per dire) attraverso un secolo e mezzo di storia, è oggi il simbolo di una politica ferroviaria che insegue se stessa, inciampa, e poi promette di rialzarsi. Forse. Un giorno.
A gestirla, dal 1° gennaio 2024, è Rete Ferroviaria Italiana (RFI), subentrata a GTT, che per decenni ha rappresentato l’anima (e a volte la croce) del servizio. Ma prima ancora, tra passaggi di proprietà e fusioni aziendali, la Canavesana ha cambiato pelle più volte. C’è stato l’ingegner Cappuccio, poi Reinfeld, la Società Anonima per la Strada Ferrata e le Tranvie del Canavese, la Ferrovia Centrale del Canavese, la SATTI e via dicendo, in un carosello gestionale degno di un romanzo industriale ottocentesco.
E pensare che tutto era nato nel 1856, quando un gruppo di notabili – tra cui il medico rivarolese Carlo Demaria, il sindaco Giuseppe Recrosio, il notaio Antonio Vallero, e altri imprenditori del territorio – firmarono l’atto costitutivo della Società Anonima della Strada Ferrata del Canavese, con l’obiettivo di collegare le aree produttive e agricole della zona a Settimo Torinese, snodo strategico già interessato dalla Torino-Milano. La prima tratta, lunga 16 km e a trazione animale, fu completata nel 1866. Poi venne il vapore, poi l’elettricità. E infine i problemi.
Dagli anni Ottanta in poi, complice una sempre meno lungimirante politica dei trasporti, la Canavesana ha iniziato il suo lento declino. Nel 1985 chiude la diramazione Rivarolo-Castellamonte, giudicata “pericolosa” dalla Motorizzazione Civile per la vicinanza con la strada provinciale. A inizio Duemila si prova a invertire la rotta: l’elettrificazione fino a Rivarolo viene attivata nel 2002, mentre la tratta Cuorgnè-Pont Canavese, chiusa per alluvione nel 2000, riapre nel 2004. Ma è solo un’illusione.
Nel novembre 2020, l’ennesimo stop: la tratta Rivarolo-Pont Canavese viene chiusa per permettere i lavori di elettrificazione e potenziamento. Dovevano durare poco. Sono ancora in corso. I treni sono stati sostituiti da autobus, come se bastasse un pullman per rimediare a decenni di trascuratezza. Il servizio ferroviario, nel frattempo, è passato a Trenitalia (dal 2021), e si sono visti anche i primi treni Pop – una nota di colore in una rete scolorita.
Secondo i piani della Regione, i lavori dovrebbero concludersi nel giugno 2026, ma anche qui, ogni promessa è un’ipotesi. Intanto i passeggeri continuano a cambiare mezzo a Rivarolo per salire su un bus verso Pont Canavese, come se il tempo si fosse fermato, non nel futuro, ma nel passato.
Eppure questa ferrovia ha contribuito per decenni allo sviluppo del Canavese, trasportando merci, persone, speranze. Ha resistito alle guerre, ai fallimenti aziendali, persino a un’alluvione. Quel che sembra non riuscire a superare è l’indifferenza delle istituzioni e la gestione a colpi di slogan.
Oggi la Canavesana è elettrificata solo a metà, serve comuni densamente popolati eppure resta ai margini dell’attenzione politica. Le stazioni cadono a pezzi, i treni si fermano a Rivarolo, le promesse di rilancio si perdono nei comunicati. È il paradosso di un’infrastruttura necessaria, strategica, ma trattata come un soprammobile rotto: troppo utile per buttarlo, troppo scomodo per ripararlo.
Questa è la storia – gloriosa e decadente – della Canavesana. Una ferrovia nata per unire il territorio al futuro, oggi bloccata nel presente, tra un cantiere aperto e un autobus in ritardo.
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