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Banda Cavallero, sangue e rivoluzione: il ricordo dell’assalto alle banche di Rivarolo

Quattro anni fa moriva Sante Notarnicola, il bandito-poeta e braccio destro di Cavallero. Il Giovedì Santo del 1966 il duplice colpo che sconvolse il Canavese: undici minuti tra ostaggi, sparatorie e un bottino da 5 milioni

Banda Cavallero, sangue e rivoluzione: il ricordo dell’assalto alle banche di Rivarolo

Banda Cavallero, sangue e rivoluzione: il ricordo dell’assalto alle banche di Rivarolo

All’età di 82 anni, il 24 marzo di quattro anni fa, è morto Sante Notarnicola, l’ultimo componente della banda Cavallero che il 7 aprile del 1966, Giovedì Santo, mise a segno uno spettacolare duplice assalto alla Banca Popolare di Novara e alla Cassa di Risparmio di Rivarolo Canavese.

  

Il nucleo storico della banda era guidato da Pietro Cavallero (deceduto nel 1997), Notarnicola, il bandito-poeta, era il suo braccio destro, mentre Adriano Rovoletto (morto nel 2015) faceva da autista.

  

Notarnicola venne arrestato nel 1967 in seguito ad una sanguinosa rapina in centro a Milano: i carabinieri lo trovarono insieme a Cavallero, nascosto in un casello ferroviario abbandonato vicino a Valenza, nel’Alessandrino.

  

Quel Giovedì Santo del 1966 erano da poco passate le 15 quando i rapinatori entrarono nella sede della Banca Popolare di Novara, in corso Torino a Rivarolo. Con il volto coperto da passamontagna, armi in pugno, sequestrarono 14 impiegati che si trovavano nel salone.

  

Due impiegati in ostaggio

 

I banditi presero in ostaggio il cassiere, Giovanni Merlo per tutti “Nanni”, allora 38enne. Pochi minuti dopo il primo colpo, Cavallero e complici attraversarono corso Torino e fecero irruzione nella filiale della Cassa di Risparmio di Torino, ospitata allora nei locali dove oggi si trova la macelleria Bonino. In pochi minuti riuscirono a farsi consegnare il denaro contenuto nelle casse. Per coprirsi la fuga, la banda costrinse l’impiegata Graziella Gava (deceduta nel luglio 2020), allora 28enne, a fare da scudo all’uscita  dalla banca.

 

Nel frattempo il personale della Banca di Novara era riuscito ad avvisare i carabinieri che, a piedi dalla vicina caserma, raggiunsero la banca. Il comandante, maresciallo Mario Gamba, non esitò a fare irruzione negli uffici mentre il carabiniere Alberto Rau, riuscì a sparare verso uno dei banditi senza però impedirne la fuga. I due assalti durarono undici minuti e fruttarono poco più di 5 milioni: per la banda Cavallero un colpo spettacolare destinato ad alimentare la leggenda intorno a questi rapinatori.

  

Banca CRT dopo la rapina

Banca CRT dopo la rapina

Il Maresciallo Gamba

Il Maresciallo Gamba

Fra politica e sparatorie

La banda Cavallero operò tra la provincia di Torino e  Milano in una serie di rapine compiute negli anni Sessanta.

      

Era composta da Pietro Cavallero, capobanda, detto il Piero (1929-1997), torinese, del quartiere della Barriera Milano figlio di un falegname, ex attivista comunista, senza lavoro fisso, carismatico e di media cultura; Donato Lopez, detto Tuccio (1950-2010), di 17 anni, uno dei sei figli di un operaio, famiglia emigrata da Taranto a Torino; già falegname impiegato per il padre di Cavallero, poi disoccupato; Adriano Pasqualino Rovoletto (1935-2015), partigiano, di origini venete, figlio di un operaio, apprendista falegname, abitante nelle Case SNIA di Corso Vercelli; Sante Notarnicola (1938-2021), di origine pugliese, diploma di quinta elementare, ex segretario della FGCI di Biella, ex venditore ambulante di fiori, ex facchino; e Danilo Crepaldi morto in un misterioso incidente aereo nel 1966. 

  

Nel bar di corso Vercelli

La banda di rapinatori si formò a Torino in un bar di Corso Vercelli, nel quartiere periferico Barriera di Milano. Non era certo la fame il problema di quegli anni, ma - secondo quanto reso nelle deposizioni, specialmente da Pietro Cavallero, il capo della banda - il desiderio di giustizia sociale, reso ancor più sentito dall'immigrazione. La banda Cavallero, fortemente politicizzata, simpatizzava per Lenin, ma guardava più propriamente all'anarchia nichilista, a Gaetano Bresci e a Ravachol.

  

Le rapine rivoluzionarie del gruppo, dopo qualche anno di scacco alla polizia, si trasformarono in violente scorribande. Nel pomeriggio del 25 settembre 1967, dopo aver svaligiato l'agenzia 11 del Banco di Napoli in largo Zandonai a Milano, i quattro seminarono per trenta minuti, lungo le vie cittadine, il terrore e la morte, fuggendo a bordo di una Fiat 1100 D rubata.

  

Nella fuga la banda ebbe ripetuti scontri a fuoco con le auto della polizia, che la inseguiva, e sparava anche su passanti inermi. Sull'asfalto restarono tre morti: Virgilio Odoni, fattorino di una cartiera; Giorgio Grossi, studente di soli 17 anni; Franco De Rosa, un napoletano emigrato, colpito mentre era a bordo della sua 600 multipla.

  

Alle 16, quando il pomeriggio di fuoco ebbe fine, oltre ai morti si contarono una dozzina di feriti tra i passanti, automobilisti e agenti, alcuni molto gravi, come il piccolo Maurizio Taddei e il maresciallo Giacomo Siffredi. Un paio di giorni dopo la sparatoria morì anche Rolando Piva, un invalido di guerra malato di cuore, che durante il tragico pomeriggio aveva aiutato gli agenti a catturare Rovoletto.

  

Al processo che si tenne in assise a Milano, nove mesi dopo la cattura della banda, Lopez fu condannato, per la sua giovane età, a 12 anni e 7 mesi di reclusione; gli altri tre ebbero l'ergastolo. I tre rapinatori, alla lettura della sentenza, intonarono la canzone "Figli dell'officina".

  

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