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26 Marzo 2025 - 10:10
Una vecchia foto
E poi vedi una vecchia foto di Settimo Torinese, con la bealera che correva in centro città, limpida o melmosa – non importa – ma viva, presente, reale. E ti viene voglia di piangere. Quel corso d’acqua non c’è più. Coperto dal cemento. Intubato. Nascosto sotto strade, parcheggi e tombini.
Ti chiedi da chi era amministrata quella città. Forse da un sindaco che tutti applaudivano, perché finalmente stava dando un nuovo volto al paese, alla città del futuro. Perché serviva il “decoro”, perché la modernizzazione era diventata un mantra. E ieri, come oggi, al diavolo la manutenzione. Al diavolo la cura. Si sarebbe dovuta pulire quella bealera, sistemarla, ripensarne l’uso. E invece no. Troppo complicato. Troppo lento. Troppo faticoso. Meglio coprirla. Meglio farla sparire.
È vero. Settimo Torinese è cresciuta in fretta, troppo in fretta.
Negli anni Sessanta e Settanta è esplosa demograficamente, passando da circa 13.000 abitanti nel dopoguerra a oltre 30.000 nel giro di due decenni, travolta da un’ondata migratoria proveniente dal Polesine e dal Sud Italia.
Una città agricola che diventa industriale senza sviluppare una coscienza urbana. E così, quella bealera che per secoli aveva irrigato campi, alimentato mulini e lavatoi, e accompagnato la vita quotidiana dei settimesi, si trasforma in un fastidio.
Il canale – un ramo derivato dalla Stura di Lanzo – attraversava il centro, toccava le case, rifletteva il cielo. Ma nei decenni del boom economico era ormai diventato una fogna a cielo aperto, invasa da scarichi domestici, rifiuti industriali, sporcizia. Serviva manutenzione, interventi di bonifica, una visione. Non arrivarono. Al loro posto arrivò la copertura: il cemento, le tubature, l’interramento.
Non sappiamo con esattezza (lo chiederemo al nostro Silvio Bertotto) in quale delibera comunale fu sancita la condanna definitiva della bealera, ma è certo che avvenne tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta.
In quegli anni, a guidare l’amministrazione comunale c'erano sindaci del PCI, partito egemone a Settimo: Antonio De Francisco, Tommaso Cravero, Teobaldo Fenoglio. Forse la decisione venne presa proprio da uno di loro. Forse, anzi, fu celebrata come un segno di modernità. Come l’uscita da un passato rurale e sporco verso un futuro fatto di cemento, asfalto e parcheggi.
E così la bealera fu intubata. Il suo percorso sepolto. I vecchi ponticelli eliminati. La città ci passò sopra, letteralmente. Oggi in pochi ricordano dove scorresse. Pochi anziani possono ancora raccontarla. E chi prova a recuperare la sua memoria si scontra con l’amnesia generale. Nessuna targa. Nessuna segnaletica. Nessuna valorizzazione.
Ogni città ha un fiume segreto. Settimo ha il suo. Scorre ancora, in silenzio, sotto le ruote delle auto. Un’acqua viva, nascosta, negata. Ma presente.
Si poteva scegliere un’altra strada. La manutenzione. La pulizia. La salvaguardia. La trasformazione della bealera in elemento identitario. Invece si scelse il silenzio. E oggi, nella città del Festival dell’Innovazione e della Scienza, delle biblioteche e degli eventi, non c’è nemmeno un pannello che racconti che lì, proprio lì, scorreva una bealera. Non la vedi. Non la senti. Non la immagini. Eppure c’è.
E allora sì, ti viene voglia di piangere. Perché non è stato solo un canale d’acqua a essere sepolto. È stata una parte della città. Della sua storia. E chi cancella il passato, prima o poi, si ritrova a vivere su un terreno che non capisce più.
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