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Un uomo, un cane, un’ingiustizia. Renato e Nerone "sfrattati" e sbattuti in strada

Un uomo e il suo cane, un legame che nessuno vuole vedere. Renato ha perso tutto, ma non rinuncerà mai a Nerone. Lavorava al gruppo L'Oréal

Un uomo, un cane, un’ingiustizia. Renato e Nerone condannati alla strada

(foto archivio)

C’è un uomo che sta per perdere tutto. E c’è un cane che, senza di lui, perderà tutto. Un legame indissolubile che per il sistema non esiste, non è previsto, non è contemplato. O l’uno o l’altro. O una cuccia d’asilo per esseri umani, con regole e limitazioni da accettare senza discutere, o la strada. Renato Lecca non ha dubbi: tra una branda in un dormitorio e il suo cane Nerone, sceglie Nerone.

E il 19 marzo, con questa scelta, finirà per strada, a Rivoli, la città in cui ha provato a ricostruire la sua vita. Lo sa da tempo, da quando i servizi sociali gli hanno proposto sistemazioni temporanee che escludono gli animali. "Le regole sono queste", si sente dire.

E lui prova a spiegare, a raccontare, a far capire che per lui Nerone non è solo un animale da compagnia, ma l’unica ancora che lo tiene legato alla vita. Non c’è nulla da fare. Di fronte a lui, solo il silenzio delle istituzioni, la freddezza della burocrazia, l’indifferenza di chi, in questo sistema, si è assuefatto alla logica del "questo è quello che possiamo offrire".

Renato non ha sempre vissuto così. Aveva una vita normale, un lavoro, una casa, una prospettiva. Il marketing e la comunicazione erano il suo mondo, con un’attività in proprio e tre dipendenti. Poi gli eventi hanno stravolto tutto. La crisi economica, la pandemia, la chiusura della sua impresa, la depressione che è arrivata a stringergli il respiro. Il vuoto. Periodi in cui l’ombra della fine sembrava l’unica via d’uscita. E infine il fondo, quello più duro, fatto di ricoveri in psichiatria e della paura di non farcela.

E pensare che Renato aveva persino lavorato con il Gruppo L’Oréal di Settimo Torinese, prima che la chiusura dell’ufficio di Corso Valdocco a Torino lo costringesse a trasferirsi a Milano per seguire le commesse. Poi, la crisi, il crollo.

Il colpo di scena, quello che in un film cambierebbe la trama: un cucciolo di cane corso, affidatogli in stallo quando aveva cinque mesi. Un impegno enorme, eppure l’unica cosa che lo ha salvato. Con Nerone accanto, Renato ha ritrovato la voglia di esistere. Gli ha dato un motivo per alzarsi, un motivo per continuare, un motivo per lottare. E da quella necessità di accudirlo è nato anche un lavoro, quello di dog sitter, che lo ha aiutato a ricostruire un briciolo di indipendenza economica.

Ma la vita, quando prende di mira qualcuno, non si ferma. La casa in cui viveva in affitto aveva un contratto non registrato dal proprietario, che quando Renato ha cercato di regolarizzare la sua posizione ha reagito con minacce e aggressioni.

Ci sono denunce, c’è un processo in corso. Poi, la richiesta di sfratto, a cui lui ha resistito finché ha potuto. Ma quando sei solo, senza una rete familiare su cui contare, senza un lavoro stabile che ti permetta di pagare un nuovo affitto, quando il mondo intorno si stringe sempre di più, c’è un punto in cui non puoi più opporre resistenza.

A dicembre, disperato, senza una casa, ha fatto quello che chiunque nella sua situazione potrebbe arrivare a fare: è entrato in un alloggio comunale rimasto vuoto dopo la morte di un amico. Aveva le chiavi, ha trovato un riparo, un’ultima possibilità prima della strada.

Oggi sa che è stato un errore, eppure non si è mai sentito un abusivo. Non ha mai tolto nulla a nessuno, non ha mai chiesto nulla che non fosse solo il minimo indispensabile per vivere con dignità.

Eppure, da quel momento, l’amministrazione comunale di Rivoli ha smesso di ascoltarlo. Il 16 gennaio, durante un incontro con i servizi sociali e la polizia municipale, gli è stato detto chiaramente che il 20 febbraio avrebbe dovuto lasciare l’alloggio.

Nessuna proroga, nessuna soluzione alternativa. Gli è stato detto di rivolgersi ad amici o parenti, ma non ha nessuno. Gli è stato suggerito di andare in una pensione a pagamento, ma con quali soldi? Gli è stato ripetuto più volte di separarsi dal suo cane, ma come si fa a lasciare indietro l’unico essere che ti ha tenuto in piedi quando tutto il resto è crollato?

Non ha mai smesso di cercare una soluzione. Ha scritto, ha chiesto incontri, ha documentato tutto. Ha provato a spiegare, a far capire che non chiede carità, che vuole lavorare, che vuole solo un’opportunità per rimettersi in piedi senza dover rinunciare al suo cane e a quel poco di stabilità che è riuscito a costruire con il suo lavoro di dog sitter. Nessuna risposta. L’assistente sociale non ha mai risposto alle sue richieste di incontro. Gli uffici si sono chiusi dietro le loro procedure, dietro il solito mantra del "non possiamo fare eccezioni".

Ora, Renato sa che non c’è più nulla da fare. Il 19 marzo sarà fuori, senza un tetto, senza certezze, senza aiuti. Con Nerone accanto, perché quello è l’unico punto fermo della sua vita.

Lui e il suo cane, seduti su un marciapiede con le poche cose che riuscirà a portarsi dietro. Sospesi tra la disperazione e la rabbia, tra la voglia di urlare e il bisogno di non arrendersi. Il suo grido d’aiuto è rimasto inascoltato per mesi, rimbalza tra un ufficio e l’altro senza trovare accoglienza.

Eppure, dietro questa storia, non c’è solo il fallimento di un uomo.

C’è il fallimento di un sistema che considera la fragilità un problema da gestire con regole rigide, senza la minima elasticità, senza un briciolo di umanità. C’è la freddezza delle istituzioni che si voltano dall’altra parte, che non sono in grado di dare una risposta concreta a chi, come Renato, ha perso tutto ma ha ancora voglia di lottare. C’è l’indifferenza di chi si barrica dietro la burocrazia e dimentica che le persone non sono numeri su un modulo da compilare.

Il 19 marzo, Renato e Nerone saranno in strada. Ma se nessuno ha voluto ascoltarlo prima, chi lo farà quando sarà troppo tardi?

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