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Storia
16 Marzo 2025 - 18:26
Mulini, pane, famiglia e tradizione: siamo abituati a vedere questi concetti accostati in pubblicità, quasi fossero immagini stereotipate di un passato mitizzato. Ma, a volte, la realtà supera l'immaginazione, facendoci immergere in una storia autentica, fatta di lotte, speranze e un senso di appartenenza che resiste alle tempeste della storia. Ed è proprio questa la storia del mulino di Rodallo, una piccola frazione di Caluso, che per secoli ha rappresentato molto più di un semplice luogo di lavoro: è stato simbolo di indipendenza, di comunità e di resistenza. Un luogo conteso, difeso e, infine, restaurato con amore per restituirgli il ruolo che merita.
“Finora avevano dovuto portare le loro granaglie a macinare al molino del feudatario, avendo il monopolio della macinazione fino a quando una recente legge abolì il diritto feudale. Finalmente, il momento è stato propizio per mettere su un proprio mulino: l'acqua ne avevano in abbondanza, perciò bisognava trovarne un edificio e le macine. L'idea attecchì rapidamente e tutti furono d'accordo”, racconta l'ultimo erede della famiglia Actis Caporale, la cui storia si intreccia indissolubilmente con quella di questa struttura secolare.
La fondazione del mulino di Rodallo fu un'epopea di fatica e solidarietà. Prima dell'intervento napoleonico, l'opera richiese un impegno collettivo senza precedenti: la manodopera gratuita degli abitanti, i finanziamenti di tre influenti proprietari terrieri - Stefano Actis Grosso, Giovanni Actis, detto Rosset, e Giuseppe Actis Dato - e la forza instancabile delle donne e degli uomini della frazione. Quando le risorse scarseggiavano, il suono delle campane chiamava tutti a raccolta per continuare la costruzione. Si lavorava al lume delle lanterne, tra mattoni, calce e sabbia, con il sogno comune di un mulino che sarebbe appartenuto a tutti.
Compiuta l'opera e pagate le spese del mulino, secondo i patti dei tre finanziatori, la proprietà dello stesso doveva rimanere in comune. Due su tre riuscirono a riprendersi dalle enormi cifre spese e mantenere la proprietà sul mulino, mentre Rosset dovette abbandonare il progetto vista la difficoltà di gestire al meglio la macinazione e il suo patrimonio.
Il 9 novembre 1799, il generale Napoleone Bonaparte, rientrato dall'Egitto in Francia, fu nominato Primo Console, capo del Governo Francese, e iniziò la sua discesa in Italia. Attraverso un nuovo esercito, passò dalla Valle d'Aosta con l'intento di conquista. Vinti gli Austriaci in una breve battaglia presso Strambino, nota con il nome di Battaglia del Chiusella, si impadronì rapidamente di Torino, Chivasso, Vercelli e, dopo la famosa Battaglia di Marengo, di tutta l'Italia. In brevissimo tempo, la controrivoluzione fu domata e il nostro paese diventò francese.
Dalla Francia arrivò una ventata di novità: dalle riforme amministrative alla spartizione delle terre italiche in dipartimenti, fino alla traduzione in francese dei ruoli politici (prefetti rispetto a intendenti, maire piuttosto che sindaci). Cambiarono persino i nomi dei mesi nel calendario rivoluzionario: nevaio, ventoso e piovoso invece di gennaio, febbraio e marzo. Arrivarono anche nuove imposte e aumenti di quelle esistenti per finanziare le guerre.
Tra conquiste militari e riforme amministrative, Napoleone mise mano anche al secolare mulino di Rodallo. Nel 1810, il maire di Caluso, Gioanetti, su ordine del prefetto Jubé del dipartimento della Dora, richiese agli amministratori del mulino di rivederne la gestione e di portare in Municipio i conti. Questo scatenò la protesta di otto coraggiosi cittadini, contrari all'ingerenza delle autorità comunali in un'azienda considerata esclusiva proprietà dei rodallesi. Il timore era che il mulino venisse tassato pesantemente.
La proprietà del mulino negli anni '50 insieme a suor Lucia, al secolo Actis Caporale Carlotta, un punto di riferimento contro la lotta nazi-fascista per Rodallo
Il mulino oggi
Eventi al mulino, zona esterna
La zona interna al mulino
L'erede Alessandro Actis Grosso insieme al video-blogger Fabio Notario a destra e la coppia di amici chiamati i Valsusa Stregata, a caccia del mistero nei posti che hanno fatto la storia, durante un'intervista per il mulino
Nel tentativo di evitare il controllo amministrativo e giudiziale dell'ormai impero francese, i cittadini proposero di donare il mulino al Municipio di Caluso, che accettò. Il mulino venne quindi affittato a Domenico Querio di Foglizzo per nove anni, con rinnovo ogni tre anni alla scadenza del contratto.
Sembrava una soluzione definitiva, ma con la caduta di Napoleone e il ritorno del Re Vittorio Emanuele I, i diritti feudali vennero ripristinati. Il Conte della Trinità reclamò il mulino, sostenendo che la sua donazione fosse avvenuta senza licenza. Per evitare ulteriori complicazioni, il Municipio tolse gli ordigni, lasciandolo in stato di abbandono. Questo portò a un acceso conflitto durato due anni, finché il 2 agosto 1817 una sentenza interlocutoria portò a un accordo.
Nel frattempo, Domenico Querio richiese un rimborso per le spese urgenti sostenute nel 1813 e per i danni dovuti all'interruzione della macinazione. Il Municipio incaricò Carlo Ubertini, importante proprietario terriero di Rodallo, di verificare le sue richieste. Per risolvere definitivamente la questione, il mulino venne ceduto al Conte Carlo Alfieri, erede del marchese Cesare Costa di Trinità, per 2600 lire, con rinuncia ai danni. Successivamente, il mulino passò all'ingegnere Pietro Spurgazzi nel 1869, e nel 1901 divenne proprietà della famiglia Actis Caporale, che ancora oggi lo possiede.
“Il restauro del mulino è stata una scelta naturale per la mia famiglia”, racconta Alessandro Actis Caporale, trisnipote di Luigi Actis Caporale, che acquistò il mulino. “Questo non è un semplice luogo, ma un legame indissolubile che da oltre cinque generazioni unisce la nostra famiglia. Non abbiamo mai immaginato di vivere senza di lui.”
Oggi, grazie a un nuovo progetto di valorizzazione, il mulino di Rodallo ha trovato una seconda vita: non più solo grano e farine, ma cultura e comunità. “Dove prima nutriva gli stomaci delle persone, oggi nutre le menti con le nostre iniziative culturali”, conclude Alessandro.
E così, in un piccolo borgo del Canavese, la storia continua. Il mulino di Rodallo resta un simbolo di resistenza, tradizione e passione per la propria terra. Un monito per le generazioni future, un pezzo di memoria che non può essere dimenticato. Grazie a chi lo ha difeso nei secoli, continuerà a raccontare la sua storia.
Nel tentativo di evitare il controllo amministrativo e giudiziale dell'ormai impero francese, i cittadini proposero di donare il mulino al Municipio di Caluso, che accettò. Il mulino venne quindi affittato a Domenico Querio di Foglizzo per nove anni, con rinnovo ogni tre anni alla scadenza del contratto.
Sembrava una soluzione definitiva, ma con la caduta di Napoleone e il ritorno del Re Vittorio Emanuele I, i diritti feudali vennero ripristinati. Il Conte della Trinità reclamò il mulino, sostenendo che la sua donazione fosse avvenuta senza licenza. Per evitare ulteriori complicazioni, il Municipio tolse gli ordigni, lasciandolo in stato di abbandono. Questo portò a un acceso conflitto durato due anni, finché il 2 agosto 1817 una sentenza interlocutoria portò a un accordo.
Nel frattempo, Domenico Querio richiese un rimborso per le spese urgenti sostenute nel 1813 e per i danni dovuti all'interruzione della macinazione. Il Municipio incaricò Carlo Ubertini, importante proprietario terriero di Rodallo, di verificare le sue richieste. Per risolvere definitivamente la questione, il mulino venne ceduto al Conte Carlo Alfieri, erede del marchese Cesare Costa di Trinità, per 2600 lire, con rinuncia ai danni. Successivamente, il mulino passò all'ingegnere Pietro Spurgazzi nel 1869, e nel 1901 divenne proprietà della famiglia Actis Caporale, che ancora oggi lo possiede.
“Il restauro del mulino è stata una scelta naturale per la mia famiglia”, racconta Alessandro Actis Caporale, trisnipote di Luigi Actis Caporale, che acquistò il mulino. “Questo non è un semplice luogo, ma un legame indissolubile che da oltre cinque generazioni unisce la nostra famiglia. Non abbiamo mai immaginato di vivere senza di lui.”
Oggi, grazie a un nuovo progetto di valorizzazione, il mulino di Rodallo ha trovato una seconda vita: non più solo grano e farine, ma cultura e comunità. “Dove prima nutriva gli stomaci delle persone, oggi nutre le menti con le nostre iniziative culturali”, conclude Alessandro.
E così, in un piccolo borgo del Canavese, la storia continua. Il mulino di Rodallo resta un simbolo di resistenza, tradizione e passione per la propria terra. Un monito per le generazioni future, un pezzo di memoria che non può essere dimenticato. Grazie a chi lo ha difeso nei secoli, continuerà a raccontare la sua storia.
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