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Sanità e donne: il dolore ignorato, le cure negate, la lotta che continua

Endometriosi, prevenzione, disparità nelle cure e violenza di genere. La serata di Brandizzo svela le ingiustizie di un sistema sanitario che continua a lasciare le donne in secondo piano

medicina di genere

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Il 7 marzo, nella sala consiliare di Brandizzo, si è tenuta una serata dedicata alla salute di genere, organizzata in occasione della Giornata Internazionale della Donna. L’evento, promosso dall’associazione Donne Diritti, ha acceso i riflettori sulle disuguaglianze di genere in ambito sanitario, evidenziando come la ricerca, la diagnosi e le cure siano ancora calibrate su parametri maschili, con conseguenze pesanti sulla salute delle donne.

A introdurre la serata è stata Virginia Miceli, presidente della neonata associazione Donne Diritti, che ha sottolineato come la scienza medica abbia per anni ignorato le specificità femminili, anche nelle patologie che colpiscono le donne in misura uguale o maggiore rispetto agli uomini. Ha poi preso la parola la sindaca Monica Durante, con un breve intervento istituzionale.

A moderare il dibattito è stato Oscar Bertetto, oncologo in pensione, che ha guidato il confronto tra le relatrici e il pubblico, mettendo in evidenza le gravi lacune del sistema sanitario nell’integrare una visione di genere nella medicina. Tra le ospiti, Marina Spanu, dietista ed esperta di medicina di genere, e Deborah Di Bin, tutor referente per il Piemonte dell’associazione La voce di una è la voce di tutte, impegnata nella sensibilizzazione sull’endometriosi.

Marina Spanu ha spiegato la differenza tra prevenzione e promozione della salute: se la prevenzione mira a ridurre il rischio di malattie con strumenti specifici, la promozione della salute interviene su fattori sociali, economici e ambientali che incidono sul benessere delle persone. Ha ricordato come la Conferenza Mondiale sulle Donne di Pechino del 1995abbia riconosciuto il diritto alla salute come presupposto fondamentale per la piena partecipazione delle donne nella società.

Il racconto di Deborah Di Bin ha scosso la platea. Ha descritto il suo calvario con l’endometriosi, una malattia che colpisce circa il 10% delle donne e che, nonostante i forti impatti sulla qualità della vita, continua a essere sottovalutata, diagnosticata con anni di ritardo e spesso trattata con sufficienza dai medici. Ha ricordato i dolori insopportabili, le emorragie debilitanti, le difficoltà nei rapporti sessuali e la costante stanchezza che l’hanno accompagnata per anni, fino all’intervento di isterectomia totale nel 2020, che l’ha privata della possibilità di avere figli.

Non si tratta di un caso isolato. Ha citato storie come quella di Tania, licenziata a causa delle troppe assenze per malattia, o di Alessia, costretta a subire otto interventi e a vivere con un sacchetto per l’urina impiantato nella schiena a causa del deterioramento dell’uretere. Ha denunciato il muro di silenzio e ignoranza che circonda l’endometriosi, al punto che molte donne, oltre a combattere la malattia, devono anche affrontare il pregiudizio di chi le accusa di esagerare. Persino altre donne minimizzano il problema con frasi come “Anche io ho le mestruazioni, ma non faccio tutte queste storie”.



Con l’associazione La voce di una è la voce di tutte, nata nel 2021 a Vercelli, Deborah Di Bin e altre attiviste offrono supporto alle donne affette da endometriosi, anche attraverso il Numero Giallo (800 189 411) e le Panchine Gialle con QR code informativi sulla malattia. La loro battaglia si estende anche alle scuole, affinché pediatri e giovani ragazze possano imparare a riconoscere i primi segnali della malattia.

Le disuguaglianze di genere nel sistema sanitario, però, vanno ben oltre l’endometriosi. Durante la serata è stato affrontato il problema dell’accesso disomogeneo alle cure in Italia: la sopravvivenza a cinque anni per il tumore al seno, ad esempio, varia fino al 14% tra le regioni, a causa di differenze nei programmi di screening e nelle risorse disponibili. La ricerca clinica è ancora orientata sugli uomini, con effetti collaterali devastanti per le donne: alcuni farmaci chemioterapici risultano più tossici per il loro organismo, mentre antidolorifici comunemente prescritti si rivelano meno efficaci. La pillola anticoncezionale, per esempio, fu inizialmente testata in Mesoamerica con dosaggi esagerati e senza alcun consenso informato.

Altro tema centrale è stato l’impatto della violenza di genere sulla salute. Le donne vittime di violenza fisica, psicologica o sessuale hanno un’incidenza più alta di disturbi gastrointestinali, problemi ginecologici, difficoltà nell’uso della contraccezione e aborti, oltre a una maggiore esposizione a stati ansiosi e depressivi.

Un’altra criticità emersa riguarda il peso sproporzionato del lavoro di cura non retribuito che grava sulle donne, spesso costrette a prendersi cura di figli e anziani, sacrificando la propria salute. Patologie croniche come il diabete o le malattie cardiovascolari vengono trascurate fino a raggiungere livelli critici.

Preoccupa anche la scarsa adesione alla vaccinazione contro il Papilloma Virus (HPV), fondamentale nella prevenzione di tumori ginecologici. Un’altra categoria a rischio è quella delle persone transgender, molte delle quali smettono di sottoporsi agli screening ginecologici dopo la transizione, aumentando il pericolo di diagnosi tardive.

È stata evidenziata la crisi dei consultori, che dagli anni ’70 a oggi hanno subito un drastico ridimensionamento, passando in Piemonte da 20 a 7. Un tempo spazi di confronto su salute riproduttiva e contraccezione, oggi sono ridotti a centri di assistenza minimale, frequentati soprattutto da donne migranti. La loro progressiva chiusura ha lasciato un vuoto informativo, colmato spesso da Internet e social media, con il rischio di diffusione di fake news pericolose sulla salute femminile.

Il dibattito si è concluso con un appello alla necessità di integrare la medicina di genere nei percorsi formativi di medici e operatori sanitari, affinché le specificità femminili vengano finalmente considerate nella prevenzione, nella diagnosi e nelle terapie. Anche una condizione diffusa come la menopausa è ancora trattata con superficialità dal Servizio Sanitario Nazionale, che offre poche risorse e servizi mirati.

Le scuole, secondo gli esperti, potrebbero avere un ruolo chiave nel contrastare problemi di salute pubblica come i disturbi alimentari, in aumento tra le ragazze, ma servirebbero più formazione e strumenti adeguati.

L’incontro ha lasciato una certezza: la sanità pubblica sta attraversando un declino pericoloso, con meno fondi per la prevenzione e una crescente privatizzazione che rischia di trasformare il diritto alla salute in un lusso per pochi. Servono investimenti mirati, formazione per i professionisti sanitari e un rafforzamento dei servizi territoriali. Senza un cambio di rotta culturale e politico, le donne continueranno a pagare il prezzo più alto.

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