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14 Marzo 2025 - 10:51
Emanuele Barale
Mercoledì 12 marzo, all'Università della terza età di Cuorgnè, il professore Emanuele Barale ha tenuto una conferenza sui Giochi della IV Olimpiade, meglio noti come Londra 1908, che si svolsero nella capitale britannica dal 27 aprile al 31 ottobre di quell’anno. Tuttavia, pochi sanno che, in origine, questa edizione dei Giochi era stata assegnata a Roma, salvo poi essere dirottata su Londra a causa delle difficoltà economiche dell’Italia.
L’idea di portare le Olimpiadi nel Belpaese era nata da Eugenio Brunetta d’Usseaux, un conte di origini piemontesi, grande sostenitore del movimento olimpico. La candidatura italiana fu sostenuta anche da Pierre de Coubertin, fondatore dei Giochi moderni, che si attivò personalmente per ottenerne l’assegnazione, facendo tappa in Vaticano, a Casa Savoia e presso il sindaco di Roma. Ma l'entusiasmo si scontrò con una realtà ben diversa: il Governo e il Comune di Roma non avevano alcuna intenzione di accollarsi i costi dell’evento, e in Parlamento si parlava apertamente di denaro sciupato per una manifestazione ritenuta fuori dalla portata degli italiani. Si temeva addirittura una figuraccia internazionale, con gli atleti azzurri relegati agli ultimi posti.
Il Vesuvio “salva” l'Italia dalle Olimpiadi
La rinuncia italiana ai Giochi fu ufficializzata nel 1906, con una motivazione apparentemente nobile: il disastroso terremoto e la conseguente eruzione del Vesuvio misero in ginocchio Napoli, e il Governo dichiarò di voler destinare i fondi dell’Olimpiade alla ricostruzione della città. Un gesto encomiabile, se non fosse che, in realtà, l’Italia non aveva mai accantonato alcun fondo per l’evento. Le casse statali erano già prosciugate da altri progetti, tra cui il tunnel del Sempione e l’Acquedotto Pugliese.
A quel punto, Brunetta d’Usseaux si rivolse all’amico lord William Henry Grenfell, barone Desborough di Taplow e presidente della British Olympic Association, per salvare l’edizione del 1908. Fu così che Londra, in tempi record, prese in mano l'organizzazione, garantendo la riuscita dell’evento.
Il White City Stadium e la rinascita dei Giochi
Il problema più grande per gli inglesi era la mancanza di uno stadio adeguato. Così, approfittando dell’Expo franco-britannica del 1908, venne costruito il White City Stadium, il primo impianto polifunzionale della storia, dotato di pista d’atletica, velodromo, piscina olimpica, piattaforme per ginnastica e lotta, e perfino un campo per calcio, hockey e rugby. Un modello di impianto che sarebbe stato poi adottato da Berlino per le Olimpiadi del 1916 (mai disputate a causa della Prima Guerra Mondiale).
Londra 1908 fu la prima edizione a segnare una vera e propria rinascita dei Giochi dopo i fallimenti di Parigi 1900 e St. Louis 1904, soffocate dalle Esposizioni Universali. Il programma fu strutturato in modo più organizzato e la competizione si affermò definitivamente a livello mondiale.
Rivalità, scontri e leggende olimpiche
L’edizione del 1908 fu segnata da forti tensioni tra Gran Bretagna e Stati Uniti, che sfociarono in veri e propri scontri diplomatici.
Dorando Pietri e la maratona più famosa della storia
Ma il momento più epico di Londra 1908 fu senza dubbio la maratona, destinata a cambiare per sempre la storia di questa disciplina.
Fu in quell’edizione che venne stabilita la distanza ufficiale di 42,195 km, non per motivi tecnici, ma per soddisfare un capriccio reale: la famiglia della principessa di Galles chiese che la partenza avvenisse esattamente di fronte al Castello di Windsor, affinché i piccoli principi potessero assistere alla gara dalla finestra.
Quel 24 luglio, sotto un caldo torrido, il garzone di Carpi Dorando Pietri si trovò in testa all’ultimo miglio. Sfinito, entrò nello stadio barcollando e cadde più volte, fino a crollare a terra pochi metri prima del traguardo. Fu sollevato da un giudice di gara e tagliò il traguardo per primo, ma la giuria – su ricorso degli USA – lo squalificò per assistenza esterna.
A rendere leggendaria la vicenda fu Arthur Conan Doyle, il celebre autore di Sherlock Holmes, che scrisse un articolo epico sul Daily Mail, paragonando Pietri a un gladiatore romano sconfitto ma glorioso. Doyle lanciò anche una colletta per lo sfortunato atleta, raccogliendo una cifra considerevole.
Dorando Pietri, pur perdendo l’oro, divenne il simbolo stesso della maratona e fu celebrato come un eroe. Come disse lui stesso anni dopo: “Io sono colui che ha vinto e ha perso la vittoria”.
L’eredità di Londra 1908
Quella fu un’Olimpiade di svolta: per la prima volta lo sport fu messo al centro dell’evento, senza essere soffocato dalle Esposizioni Universali, come avvenuto nelle edizioni precedenti.
Furono 2.008 gli atleti partecipanti, tra cui 37 donne, in rappresentanza di 22 nazioni. L’Italia schierò 67 atleti, vincendo due ori con Alberto Braglia (ginnastica) ed Enrico Porro (lotta).
Londra 1908 ebbe anche il merito di lasciare in eredità alle Olimpiadi una massima che ancora oggi risuona nei cuori di tutti gli sportivi. Fu pronunciata dal vescovo di Saint Paul, che, nel suo sermone, disse:
“L’importante non è vincere, ma partecipare”.
Parole che Pierre de Coubertin fece sue e che sono diventate il motto olimpico per eccellenza.
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