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Celestina, la guaritrice di Sant’Anna Boschi, ed il dono tramandato in famiglia

Celestina era una nonna dal cuore buono e dallo spirito sempre positivo che aveva il dono di guarire le persone affette dal Fuoco di Sant’Antonio e lo faceva per la sola voglia di fare del bene al prossimo

Canavese, Celestina Rabagliati, guaritrice, Fuoco di Sant'Antonio

Celestina Rabagliati

Si chiamava Celestina Rabagliati e si diceva fosse una delle ultime guaritrici abitante nell’Alto Canavese, aveva il dono di guarire le persone affette dal Fuoco di Sant’Antonio e questo lo faceva per passione e per la voglia di fare del bene al prossimo, senza mai chiedere nulla in cambio.

Il suo cuore ha smesso di battere nell’ottobre del 2015, all’età di 91 anni, nella sua umile dimora sita in Sant’Anna Boschi, una frazione situata fra le colline di Castellamonte. Ma il caro ricordo di lei vive ancora nei cuori di tutti coloro che l’hanno conosciuta e nello sguardo sincero dei suoi familiari, tra cui quello della nipote Cristina Orsato, che ricorda la nonna con amore e piena di ammirazione per la donna che era.

«Mia nonna era una persona straordinaria! - afferma Cristina ricordandola con affetto - La mia infanzia è girata intorno a lei e ho tanti bei ricordi. Era una brava donna, dal cuore buono, amorevole, sempre disponibile... Apriva la sua porta di casa a tutti e instaurava legami di amicizia con chiunque avesse a che fare. Le volevano tutti bene.»

 

Celestina Rabagliati nacque nel 1923 a Occimiano, un borgo che sorge ai piedi delle prime colline del Monferrato, in provincia di Alessandria.

La donna crebbe in una famiglia di contadini con i genitori ed i suoi quattro fratelli: Maria, Maddalena, Benilde e Camillo ed una volta adulta, nel 1945, si trasferì a Sant’Anna Boschi, dove ricominciò da zero e si fece una nuova vita assieme al marito Luigi Ronchetto, di origine canavesana.

Erano una coppia di coltivatori diretti e Luigi, inoltre, svolgeva il mestiere di muratore. Così, tra le mansioni che occupavano le loro giornate tra la vigna, le mucche, il fieno e molte altre, rimboccandosi le maniche si sono costruiti poco a poco la loro casetta, dove vi hanno abitato per tutta la vita. E dove Celestina cominciò ad aiutare le persone affette dal Fuoco di Sant’Antonio, grazie anche al sostegno del marito, che le costruì la “Casetta del Fuoco” - un piccolo capanno posto in giardino, a fianco dell’abitazione - in maniera tale che la donna avesse a disposizione un suo spazio da dedicare a chiunque si recasse da lei in cerca di aiuto.

Fu una zia del Monferrato a tramandare il dono in famiglia e, per la precisione, questo venne ereditato sia da Celestina che da suo fratello Camillo. Ma, mentre quest’ultimo restò a vivere e ad aiutare le persone nel suo paese natìo, Celestina portò questa tradizione nelle terre del Canavese, passando poi il testimone - in una notte di Natale, come impone l’usanza - ad una delle sue figlie, Marina Ronchetto, e ad una delle sue nipoti, Cristina Orsato. Le quali, tutt’oggi, mettono a disposizione il proprio dono aiutando le persone che si recano da loro per guarire dal Fuoco di Sant’Antonio.

Il Fuoco di Sant’Antonio

Ai tempi, Celestina spiegava che con questo dono si era in grado di curare le malattie erpetiche: Herpes Simplex (di cui si può guarire, ma vi possono essere delle ricadute) e Herpes Zoster (noto come “Fuoco di Sant’Antonio”).

L’Herpes Zoster è una malattia asintomatica della pelle, che il più delle volte si presenta perché si hanno le difese immunitarie basse. Esso prende solo metà lato del corpo: o la parte destra o la parte sinistra, non si irradia mai da tutte e due le parti. Se così non è, allora si tratta di un’altra problematica. E ci sono vari punti in cui il Fuoco in genere si manifesta: dalla testa e lo si vede scendere verso l’orecchio, sulla schiena dalla parte della spina dorsale venendo sul davanti, oppure sulla parte lombare. Difficilmente questo prende le gambe, ma vi sono rari casi in cui può capitare.

Il rituale per la sua cura prevede tre sedute in tre giorni consecutivi, raramente si arriva a qualche seduta in più. Con l’ausilio di alcuni ramoscelli si accende un fuoco nel camino e dopo aver ottenuto una buona fiamma gli si passa sopra uno scopino di saggina, quel tanto che basta per scaldarlo e ritraendolo prima che possa prendere fuoco. Dopodiché la guaritrice lo passa sulla zona del corpo interessata della persona, formulando mentalmente determinate parole. Per la terapia si consiglia poi di usare la polvere Fissan o del borotalco sulla zona circoscritta, evitando acqua e pomate.

Lo scopino di saggina che viene utilizzato durante la seduta è sempre nuovo per ogni individuo e tra una seduta e l’altra lo si conserva avvolto in una carta di giornale, dove si andrà a scrivere il nome della persona su cui è stato utilizzato. Terminato il trattamento, a guarigione avvenuta, questo scopino viene messo in disparte per alcuni mesi ed infine viene bruciato.

Un dono che si tramanda in famiglia e per generazioni. La persona ritenuta idonea viene scelta per il passaggio del testimone, che avverrà sempre nella notte di Natale, e per poter svolgere questo lavoro occorre praticare un rito che consiste nel recitare determinate parole che vanno rinnovate annualmente, sempre nella stessa notte.

Casetta del Fuoco

Celestina non ha mai chiesto nulla in cambio. Apriva la porta della sua casa a chiunque ricercasse il suo aiuto per questa specifica malattia, li aiutava, li consigliava e manteneva con la gente affabili rapporti, che puntualmente si trasformavano in amicizia. Stava poi alla benevolenza di chi passava da lei ricambiarla con qualche offerta, in segno puramente di stima e di ringraziamento.

Molte persone nel tempo sono passate da queste guaritrici di Sant’Anna Boschi per la cura, tra cui anche numerosi medici. E molti erano e sono i pellegrini che ancora oggi arrivano da lontano.

Cristina conferma il tutto e ricorda quando sua nonna le insegnò il “mestiere”. «Bisogna avere una certa predisposizione nel ricevere questo dono e si deve essere portati ad aver voglia ad aiutare le persone. - afferma - Io continuo e continuerò a curare il Fuoco esattamente come faceva mia nonna. Le persone arrivano da me grazie al passaparola, sono ben felice di poterle aiutare e non chiedo nulla in cambio. Quando ho vissuto il passaggio di testimone ero giovane. Mia nonna mi ha insegnato tutto ciò che dovevo sapere, ma è stato con il tempo che, acquisita una certa maturità e consapevolezza, ho capito la reale importanza di questo dono. Da quel momento è diventato tutto più naturale.»

Nella mente e nel cuore della nipote scorrono ancora le parole intramontabili che le disse la nonna: “Mi raccomando, non abbandonare mai questo tuo dono, così potrai aiutare le persone. È bello poter fare del bene al prossimo.” 

Una volta scomparsa Celestina, Marina e Cristina hanno proseguito nella cura del Fuoco di Sant’Antonio, ognuna nelle rispettive case.

Il tempo scorre, ma Celestina viene ricordata ancora oggi per la persona meravigliosa che era. Sempre gentile e disponibile, dal cuore buono e felice di fare la conoscenza delle persone, aiutandole con piacere, passione ed umiltà, mettendo a disposizione anche il suo dono. Questo era il suo carattere e tanta pare sia stata la sua soddisfazione personale nell’aver vissuto una vita intensa e dedita all’aiuto del prossimo. Un modello di riferimento e di esempio per molti, specialmente per la nipote, che si augura di continuare il ruolo di guaritrice mantenendo così viva la tradizione e con essa la memoria di sua nonna e delle guaritrici che le hanno precedute.

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