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02 Febbraio 2025 - 12:28
Battaglia delle arance
Il Carnevale d'Ivrea è un bellissimo serio gioco corale dove si inventano continuamente parole antiche per dar lustro al bisogno costante di regolarne modalità di svolgimento. La battaglia delle arance, il fiume di aranceri e carri da getto versus la parte storica, è una querelle che ha senso? Questo carnevale è ormai esploso, in senso positivo; la battaglia delle arance fa la parte del leone e conquista chi la fa e chi la guarda, è spettacolo puro, adrenalina a mille. Spesso sento dire che la battaglia fagociterà tutto oppure che il carnevale, comunque, si autoregolamenta, si fa da sé?
Chi difende l'importanza della parte storica però non è un nostalgico, uno non in sintonia coi tempi che viviamo. Penso modestamente che c'è ancora spazio per tutti, ma è necessario pre-occuparsi di come armonizzarlo e come valorizzare meglio lo spazio scenico dei personaggi principali. Questi oggi vivono solo un po' del carattere di chi ricopre quel ruolo e invece tanto elaborando stile e fattezze che la tradizione ha modellato negli anni.
La vezzosa Mugnaia, il Generale, il Podestà eccetera sono simboli forti e immutati di una festa storica che replica la tradizione, ma a loro è concessa poca libertà di improvvisazione perché quei ruoli prevedono sì carattere, ma non caratterizzazione.
Io non ho nessuna tesi da dimostrare, voglio solo suggerire una meditazione, attingendo ad altro. Luca De Filippo, figlio di uno dei più importanti artisti del teatro italiano del ‘900, diceva che ci facciamo erroneamente sovrastare dal concetto di tradizione che vediamo come una prigione da cui bisogna per forza affrancarsi, liberarsi, fino a tradire la tradizione stessa in virtù del nuovo. Sono parole importanti. Esplorare la tradizione, in teatro, senza rinunciare alla propria identità, essendo eredi e allo stesso tempo interpreti originali, è la cosa giusta, e non c’è niente di male nell’essere continuatori e innovatori nello stesso momento.
Nella sua ultima regia del 2014, Non ti pago, c'è l’ideale continuazione di una pratica teatrale importantissima, fatta di compagnie che mettono in scena testi di un autore che è anche capocomico, impresario, regista. Non ti pago, messo in scena per la prima volta nel 1940 proprio dalla compagnia I De Filippo, vedeva Eduardo nel ruolo del protagonista Don Ferdinando e anni dopo Luca De Filippo, quando nel 2015 si è saputo ammalato, ha comunque curato la regia, recitato, indicato l’attore che l’avrebbe sostituito.
Ha seguito lo spettacolo fino all’ultimo momento prima di lasciare questa vita e la sua compagnia di quegli anni testimonia ciò che può essere il teatro, inteso come esperienza continua che vivifica la tradizione e la porta avanti nel presente, e nel futuro.
Presente, futuro. Potrebbe adattarsi anche allo Storico Carnevale d'Ivrea?
Essere la Mugnaia o il Generale, fare il Generale o la Mugnaia può, teoricamente, inserirsi in questo dibattito su peso e forme della tradizione?
A quanti di voi, che vestite ruoli con saperi e conoscenze, capita di pensarci? Tanti di voi, dopo esser stati personaggi, lasciano ad altri il testimone e gli altri\e sono la vita che continua. La vita che continua è la tradizione.
Aranceri, parte storica, nuovi gruppi, pifferi, armigeri e goliardi... son tutti attori, non sempre consapevoli e a volte spettatori della loro stessa festa. Il carnevale si fa, SI FA!
Ma una domanda, secondo me, sorge spontanea: "la tradizione è la vita che continua"?
E questo Carnevale Storico è la festa che continua?
Chiudo con Eduardo De Filippo:
"Se un giovane sa adoperare la tradizione nel modo giusto, essa può dargli le ali. [...] Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma - e cioè morte - ma, se ci serviamo della tradizione come d'un trampolino, è ovvio che salteremo assai più in alto che se partissimo da terra!"
Ciro Lubrano Lavadera
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