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Arte
14 Gennaio 2025 - 12:18
Il misterioso ritrovamento di un Matisse a Torino: era in un mercatino delle pulci!
C’è chi si accontenta di un’opera d’arte appesa al muro e chi, come Umberto Barbera, trasforma ogni tela in una storia da raccontare. Non è solo il quadro a interessarlo, ma il percorso, spesso tortuoso e avvolto dal mistero, che lo ha portato lì, sotto i suoi occhi. Questa volta, Barbera ci accompagna in un viaggio che parte dall’Algeria di inizio Novecento, attraversa l’Atlantico e approda, in maniera quasi miracolosa, in una bottega di Torino.
Tutto inizia con un viaggio di Henri Matisse in Algeria, accompagnato dalla moglie, in un’epoca in cui il meteo non poteva anticipare il destino. Intrappolati in un hotel a causa di due settimane di pioggia incessante, Matisse trovò nella pittura un rifugio e un diversivo. Tra una partita a dama e momenti di amicizia con una coppia francese incontrata lì, nacquero due ritratti: sua moglie e l’amica francese, entrambe vestite con abiti tradizionali algerini.
Ma la storia prese una piega tragica. Durante il rientro in Francia, una scialuppa sovraccarica si ribaltò nelle acque agitate del porto di Algeri, portando con sé gran parte dei passeggeri, tra cui la coppia di amici. La moglie di Matisse, separata dagli sfortunati, riuscì a raggiungere la nave e portò con sé i due ritratti, carichi ormai di un significato doloroso e indelebile.
I ritratti, ognuno con il proprio destino, si separarono. Quello dell’amica tragicamente scomparsa venne donato ai parenti, finendo misteriosamente in Argentina, dove cambiò mani e storie fino ad approdare in un’asta internazionale. Il secondo, invece, rimase nelle mani di Matisse, seguendolo fino agli ultimi anni della sua vita.
E poi, il colpo di scena. Umberto Barbera, durante uno dei suoi pellegrinaggi nei mercatini dell’usato a Torino, scova un dipinto che lo colpisce immediatamente. La firma di Matisse, nascosta ma inequivocabile, e lo sguardo magnetico della donna ritratta lo convincono di trovarsi davanti a qualcosa di unico.
Opera di Matisse
Barbera descrive il ritrovamento come un’esperienza che sfiora il paranormale. «Se sia stato un evento straordinario predestinato, potresti chiederlo in una seduta medianica a Gustavo Rol», scherza con il suo consueto entusiasmo. Ma dietro questa ironia si cela una verità più profonda: ogni capolavoro nasconde una storia, e ogni ritrovamento è un pezzo di un puzzle che collega passato e presente.
Il ritratto ritrovato non è solo un’opera d’arte, ma un simbolo di resilienza, memoria e, forse, predestinazione. La sua storia attraversa tragedie personali, cambiamenti storici e viaggi intercontinentali, per finire in una bottega di Torino, come in attesa che qualcuno, come Barbera, sapesse riconoscerlo per ciò che è.
Matisse, forse, non avrebbe immaginato che uno dei suoi dipinti più intimi, realizzato in un momento di noia e amicizia durante un diluvio algerino, avrebbe attraversato così tante vite. Ma, come spesso accade, l’arte ha un modo tutto suo di sopravvivere, trasformandosi in una testimonianza vivente della fragilità e della bellezza dell’esistenza.
Con questa avventura, Barbera ci ricorda che i veri tesori non si trovano nei musei o nelle aste da milioni di euro, ma nei luoghi più improbabili, nascosti, in attesa di essere riportati alla luce. Perché, in fondo, la vita stessa è una caccia al tesoro, e ogni scoperta è una storia che merita di essere
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