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Pietà per quell'uomo al freddo: il dramma dei senzatetto dopo l'incendio della Caritas

A Ivrea, dopo l’incendio che ha distrutto il dormitorio maschile della Caritas, alcuni senzatetto sono costretti a vivere per strada. Mentre il freddo avanza, le istituzioni restano in silenzio e la città si interroga sulle sue priorità

Pietà per quell'uomo al freddo: il dramma dei senzatetto dopo l'incendio della Caritas

L'incendio che ha devastato il dormitorio maschile della Caritas di Ivrea nella notte di sabato 7 dicembre ha lasciato un segno indelebile, non solo sulle mura di via Peana, ma soprattutto nelle vite di coloro che vi trovavano un rifugio sicuro.

Perchè quel posto non era solo un luogo in cui dormire: era un’ancora di salvezza, un’oasi in mezzo al deserto dell’indifferenza. Per alcuni degli ospiti sono state trovate soluzioni alternative, per molti questa “alternativa” è stata tornare a vivere per strada.

Uno di loro è stato avvistato nel bosco del Borghetto, tra Ivrea e Banchette, dove si è arrangiato con un giaciglio di fortuna. Lì, tra il freddo pungente e un silenzio surreale lotta ogni notte per sopravvivere.

Chi lo ha incontrato ha raccontato una storia che spezza il cuore: un uomo che non ha più nulla, se non la sua dignità, abbandonato al gelo mentre il resto della città si prepara al Carnevale.

E’ vero che la Caritas fin da subito aveva indicato altre strutture ad Aosta, Verrès, Torino ma non si è considerato chi non ha mezzi per spostarsi, chi non ha la forza o la volontà di lasciare un luogo familiare. 

La situazione ha acceso un vivace dibattito sui social, dove i cittadini si sono divisi tra chi propone aiuti concreti e chi denuncia l’inerzia dell’Amministrazione comunale a cui sarebbero state indirizzate parecchie email. 

“Chi ci pensa a queste persone?” scrive un utente. “Le istituzioni? Il Comune? I centri sociali? Ci sveglieremo quando sarà troppo tardi, quando magari troveremo qualcuno morto di freddo”. 

Parole dure, che però riflettono una realtà innegabile.

Molti lamentano che Ivrea, nonostante la sua immagine di città accogliente e storica, non abbia predisposto piani di emergenza adeguati. 

“I soldi per il Carnevale ci sono, ma per i poveri no”, c’è chi commenta ed è un’accusa che colpisce al cuore, ma che purtroppo sembra trovare riscontro nei fatti. 

Alcuni cittadini si sono mossi personalmente per cercare di alleviare le sofferenze di queste persone. C’è chi ha portato cibo caldo, chi ha offerto vestiti pesanti, ma è evidente che questi gesti, per quanto nobili, non possono sostituire l’azione coordinata delle istituzioni. 

“Un pasto caldo o un tè possono fare la differenza per una notte, ma non bastano. Servono soluzioni strutturali”, commenta un cittadino e un altro aggiunge: “Non c’è proprio niente a livello istituzionale. Non è possibile appoggiarsi solo al volontariato”.

Intanto, i lavori per ripristinare il dormitorio di via Peana andranno avanti per mesi. Nella migliore delle ipotesi, si potrà riaprire dopo Carnevale. Un tempo troppo lungo per chi vive ogni giorno con la paura di non svegliarsi, avvolto in una coperta o nel cartone.

La verità è che la storia di quest’uomo non è un caso isolato. Ad Ivrea, altre persone vivono in condizioni simili, come denuncia chi cerca di aiutarle. 

“Io ho scritto al sindaco, al vicesindaco, alle istituzioni - racconta un cittadino  - Nessuna risposta. L’unica cosa che mi hanno detto è che non ci sono case disponibili. Vergogna, vergogna”. 

È evidente che il sistema è al collasso, e che senza interventi rapidi e mirati, situazioni come questa continueranno a ripetersi. Ma intanto, mentre si discute di piani e finanziamenti, le notti passano, e il freddo non aspetta.

La vera emergenza non è solo l’incendio, ma l’indifferenza. E’ il continuare a girarsi dall’altra parte. Perché, come qualcuno ha scritto “Può succedere a chiunque di noi. Basta un attimo”.

Insomma, questa non è solo la storia di un uomo al freddo. È la storia di una comunità intera che deve decidere se continuare a ignorare i più fragili o prendersene cura.

I senzatetto

Qui da noi li chiamavamo i “senzatetto”, poi qualcuno ha pensato bene di ribattezzarli elengantemente con il nome di “clochard”, come se grazie ad un semplice francesismo potessimo rendere meno cupa la vista e la loro stessa esistenza. 

Bisognerebbe invece chiamarli Barboni.  Agli ultimi posti di una scala sociale che non ha pietà. Barboni. Una parola dura. Spigolosa. Da far gelare il sangue nelle vene. Sono tanti. Si moltiplicano giorno dopo giorno sempre di più, anche a Ivrea, ironia della storia, città divenuta patrimonio dell’Unesco, più per quello spirito olivettiano del buon vivere che non per gli immobili di via Jervis, peraltro chiusi al grande pubblico.

E si potrebbe continuare a fare finta di niente. A considerare il problema un “non problema” o un problema di altri non fosse che su Facebook di tanto in tanto qualcuno posta una foto.

Forse perchè un’immagine vale più di mille discussioni sul senso della povertà. Più dei tanti sforzi contorsionistici passati ad applaudire il nuovo governo della città e le tante cose che farà con addirittura due assessori delegati ad occuparsi di questo.

Dei “barboni” però, santo quel Dio, non c’era traccia nei programmi elettorali, men che meno in quello del sindaco Matteo Chiantore. Sganciati tutti, candidati e neo eletti compresi, dalla vita reale e da un fotogramma strappato alla strada e abbandonato come un messaggio in bottiglia nell’oceano della rete.

Insomma, anche questa è Ivrea ex capitale dell’informatica e terra di pensionati d’oro.

Ed è sempre la guerra degli uni contro gli altri, con qualche intercalare di chi invece, sentitamente commosso, se solo potesse, una mano ai “barboni” gliela darebbe pure... magari con una colletta, magari parlandogli o facendogli la spesa...

A Ivrea, comunque  c’è almeno una mensa della fraternità. In alcuni giorni della settimana offrono il pranzo ma non tutti i barboni hanno il coraggio di frequentarla.

Ma non è ancora questo il finale di una discussione che di più lunghe non se ne vedevano da un pezzo. Il finale è tutto da piangere ma anche da ridere. C’è chi parla di egoismo e di solidarietà, parole antiche. E chi la ributta in caciara, con il dito puntato sul Carnevale...

Insomma sui social dove bontà dei tanti "amici" si possono trovare emergenze di qualsiasi tipo, con i commenti non se ne esce vivi... 

“La  cosa nuda e cruda è che questa società - scrive un tizio - che sembra che abbia il passo veloce con internet 5g computer ecc se ne frega. Non c’e volontà di affrontare i problemi e questo è con i poveri barboni, con le buche per strada, con i bus che saltano le corse ecc ecc . Non si fa più niente zero assoluto ma anche colpa tutto nostra che non facciamo valere i nostri diritti...”.

Ecco per l’appunto, barboni vs Carnevale e domani è un altro giorno con tanti altri argomenti su cui dibattere.

Per passare il tempo. Attaccati al pc o al cassonetto. Fin che ce n’è...

I senzatetto in numeri

Secondo i dati del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni condotto dall'ISTAT nel 2021, in Italia risultano 96.197 persone senza tetto e senza fissa dimora iscritte nelle anagrafi comunali. 

Di queste, il 38% è di nazionalità straniera, con una prevalenza di uomini (212,4 uomini ogni 100 donne). L'età media complessiva è di 41,6 anni; per gli italiani si attesta a 45,5 anni, mentre per gli stranieri scende a 35,2 anni. Oltre la metà degli stranieri senza fissa dimora proviene dal continente africano, il 22% da paesi europei e il 17% dall'Asia. 

La distribuzione territoriale evidenzia una concentrazione significativa in alcune città: Roma: oltre 22.000 persone senza fissa dimora, pari al 23% del totale nazionale: Milano: circa 8.541 persone; Napoli: 6.601 persone; Torino: 4.444 persone.

È importante sottolineare che queste cifre rappresentano le persone iscritte all'anagrafe come senza tetto o senza fissa dimora e potrebbero non includere coloro che, per vari motivi, non sono registrati. Pertanto, il fenomeno potrebbe avere dimensioni più ampie rispetto ai dati ufficiali.

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