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Torino si mobilita per Cecilia Sala: il giornalismo non è un reato

Decine di manifestanti davanti alla Prefettura per chiedere la liberazione della giornalista italiana detenuta in Iran. Solidarietà sui social e appelli al governo: "Non restiamo in silenzio davanti a un regime liberticida"

Torino si mobilita per Cecilia Sala: il giornalismo non è un reato

Questa mattina, davanti alla Prefettura di Torino, si è tenuto un sit-in organizzato da diverse associazioni radicali e movimenti civici per chiedere la liberazione di Cecilia Sala, la giornalista italiana detenuta nel carcere di Evin, in Iran, dal 19 dicembre scorso. Sebbene la partecipazione fisica sia stata limitata a qualche decina di persone, l'eco della manifestazione ha avuto una risonanza ben più ampia sui social media, con un fiume di messaggi e condivisioni legati all’hashtag #freeCeciliaSala e altri simili.

Le parole più ricorrenti nei commenti online sono state "Il giornalismo non è un reato", ma non sono mancate anche polemiche: alcuni utenti hanno rispolverato un vecchio post critico del 2013 in cui Cecilia Sala, allora diciottenne, esprimeva opinioni controverse sui marò italiani incarcerati in India. Tuttavia, il cuore della protesta resta chiaro: la richiesta al governo italiano di fare tutto il possibile per ottenere la liberazione della giovane reporter e di contrastare le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime iraniano.

In prima fila al presidio torinese c’erano gli esponenti di Europa Radicale, accompagnati da rappresentanti di associazioni come Marco Pannella, Adelaide Aglietta, Italia Liberale e Popolare, +Europa Torino, oltre a studenti, attivisti della campagna Donna Vita Libertà e membri dell’Associazione Liberi Russi. Tra le voci più incisive, quella di Igor Boni, esponente di Europa Radicale, che ha spiegato: “Il governo italiano ha chiesto di non manifestare, ma noi disobbediamo. Quando una giornalista di un paese democratico viene arrestata senza capo di accusa in un regime dittatoriale come quello iraniano, il silenzio è complicità. Siamo qui per Cecilia Sala, ma anche per tutti coloro che, come il medico e ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali, sono imprigionati nello stesso carcere per motivi politici.”

Djalali, infatti, è un ricercatore che ha lavorato all’Università del Piemonte Orientale e che, tornato in Iran, è stato arrestato con l’accusa di spionaggio e condannato a morte. Da anni è detenuto nel carcere di Evin, tristemente noto come uno dei luoghi simbolo della repressione del regime iraniano.

Tra le bandiere europee e dei partiti presenti al sit-in, non sono mancati i consiglieri comunali torinesi, tra cui Claudio Cerrato, capogruppo del Partito Democratico, che ha dichiarato: “Siamo in piazza per sostenere la libertà di stampa in tutto il mondo e per chiedere che Cecilia Sala venga liberata immediatamente. Il nostro governo deve mettere in campo tutte le azioni diplomatiche necessarie per riportarla a casa, sana e salva.”

 

Il presidio torinese non è stato un caso isolato. Proteste simili si stanno moltiplicando in altre città italiane e il movimento di solidarietà verso la giornalista sta crescendo a livello internazionale. Europa Radicale, in un comunicato, ha ribadito: “Non ci fermeremo finché Cecilia non sarà libera. Continueremo a manifestare per lei e per tutte le persone detenute per motivi politici in Iran, vittime di un regime teocratico, liberticida e sanguinario.”

L’appello dei manifestanti è chiaro: nessuno deve essere dimenticato. La vicenda di Cecilia Sala è solo uno dei tanti esempi della brutalità del regime iraniano, ma diventa anche un simbolo per ricordare la necessità di tutelare la libertà di stampa, i diritti umani e la democrazia ovunque nel mondo.

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