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La peggiore guerra si sta combattendo in Congo. Fermiamola!

Sfruttamento, violenza e devastazione ambientale: il costo nascosto delle batterie che alimentano il nostro futuro "green"

Minere Cobalto

Miniere Cobalto

Anche nel 2024, in Europa ci hanno raccontato un futuro sostenibile, fatto di auto elettriche e dispositivi tecnologici che promettono di salvare il pianeta. Ma dietro questa narrazione patinata si nasconde una verità brutale: il cobalto, il metallo essenziale per alimentare queste innovazioni, è intriso di sangue, sfruttamento e distruzione. Ogni batteria che ci viene venduta come simbolo di progresso è spesso il prodotto di un sistema che calpesta i diritti umani e devasta interi ecosistemi.

La Repubblica Democratica del Congo è il teatro di una delle tragedie più strazianti e invisibili del nostro tempo. Questo paese produce circa il 70% del cobalto mondiale, rendendolo il cuore di un'industria globale che fattura miliardi di dollari. Ma per le comunità locali, questo è tutt'altro che una benedizione.

La maggior parte del cobalto è estratto in condizioni che riportano alla memoria le epoche più buie della storia dell'umanità. Nelle miniere artigianali, uomini, donne e bambini lavorano fino allo sfinimento, spesso senza alcuna protezione e sotto la minaccia costante di crolli, incidenti e malattie. Si scavano cunicoli stretti, insicuri e soffocanti con strumenti rudimentali, nella speranza di trovare quel prezioso minerale che, ironicamente, non migliorerà mai le loro vite.

cobalto

I bambini, alcuni di appena sette anni, sono una presenza tragicamente comune in queste miniere. Li si vede con le mani sporche di terra, i volti segnati dalla fatica, chini su sacchi pesanti che devono trascinare per chilometri. Il loro salario? Spesso non supera uno o due dollari al giorno, un compenso misero che non basta nemmeno a sfamare le loro famiglie. Lavorano in condizioni che nessuno nei paesi occidentali oserebbe tollerare nemmeno per un animale. L'inalazione costante di polveri tossiche li espone a malattie respiratorie croniche, mentre il contatto con materiali contaminati li avvelena lentamente, privandoli di un futuro prima ancora di poterlo immaginare.

A peggiorare questa già desolante situazione c'è la completa assenza di diritti. Non esistono contratti, assicurazioni o garanzie per questi lavoratori. Chi si ammala o subisce un incidente viene abbandonato a se stesso, privo di qualsiasi sostegno. Le multinazionali che acquistano questo cobalto si lavano le mani dietro una catena di fornitori tanto complessa quanto volutamente opaca. Si trincerano dietro dichiarazioni di impegno etico e sostenibilità, mentre continuano a trarre enormi profitti da un sistema intrinsecamente ingiusto.

Le conseguenze dell'estrazione del cobalto non si fermano ai lavoratori. L'ambiente subisce ferite profonde e spesso irreparabili. Fiumi e terreni vengono contaminati dai rifiuti tossici delle miniere, distruggendo l'ecosistema e privando intere comunità delle loro principali fonti di sostentamento. Villaggi che un tempo vivevano di agricoltura e pesca si trovano ora circondati da terre sterili e acque avvelenate. L'aria stessa è irrespirabile, carica di polveri sottili e sostanze chimiche. Gli abitanti di queste regioni non solo perdono la loro terra, ma vedono anche morire i propri figli a causa di malattie legate all'inquinamento.

E poi c'è la violenza, una costante nelle aree minerarie. Milizie armate, spesso finanziate indirettamente dall'industria estrattiva, controllano molte delle miniere, imponendo la loro legge con il terrore. Estorsioni, stupri e omicidi sono all'ordine del giorno. Chi osa opporsi o denunciare viene brutalmente messo a tacere. Queste milizie, alimentate dai proventi del cobalto, perpetuano un ciclo di conflitti che da decenni insanguina il Congo, lasciando dietro di sé una scia di morte e distruzione.

Il silenzio che avvolge questa tragedia è assordante. Nei paesi occidentali, dove la tecnologia è sinonimo di progresso e innovazione, pochi si interrogano sul vero costo di questi dispositivi. Aziende tecnologiche di fama mondiale continuano a trarre vantaggio da questa catena di sfruttamento, mentre campagne pubblicitarie patinate dipingono un futuro “green” alimentato da auto elettriche e energia pulita. Ma cosa c'è di pulito in una batteria costruita sul sangue e sulle lacrime dei lavoratori congolesi?

Alcune organizzazioni internazionali hanno cercato di accendere i riflettori su questa realtà. Amnesty International, ad esempio, ha pubblicato rapporti dettagliati che denunciano le violazioni dei diritti umani legate all'estrazione del cobalto. Ma il cambiamento è lento, troppo lento. Le grandi aziende si limitano a promesse vaghe di miglioramento, mentre la domanda di cobalto continua a crescere vertiginosamente. Ogni nuovo modello di smartphone o auto elettrica aumenta la pressione su queste miniere, perpetuando un sistema che è tutto tranne che sostenibile.

E allora, cosa possiamo fare? Prima di tutto, è fondamentale rompere il silenzio. Parlarne, informarsi, chiedere trasparenza alle aziende che producono i dispositivi che usiamo ogni giorno. Dobbiamo esigere che si adottino standard rigorosi per garantire che il cobalto utilizzato nelle batterie sia estratto in modo etico e sostenibile. Le multinazionali non possono continuare a nascondersi dietro la complessità delle loro catene di approvvigionamento. Hanno il dovere di sapere da dove provengono le materie prime che utilizzano e di assicurarsi che la loro produzione non contribuisca a perpetuare sofferenze e ingiustizie.

Ma soprattutto, dobbiamo guardare oltre il mito del progresso tecnologico a tutti i costi. La vera innovazione non può ignorare i diritti umani e la protezione dell'ambiente. Ogni volta che accendiamo uno smartphone o guidiamo un'auto elettrica, dovremmo chiederci quale sia il prezzo reale di quel gesto. E se la risposta è la sofferenza di migliaia di persone e la distruzione di interi ecosistemi, allora è il momento di ripensare le nostre priorità.

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