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Il destino di Giovanni Andrea Viotti: da eroe napoleonico a protagonista della Restaurazione

Processi, condanne e controversie di un ufficiale piemontese tra Napoleone, la monarchia e la giustizia militare francese

Giovanni Andrea Viotti di Fontanetto Po, comandante dei Granatieri del 2° battaglione della Guardia di Parigi

I granatieri della Guardia imperiale di Napoleone coprono la ritirata dell'esercito francese negli ultimi istanti della battaglia di Waterloo

Figlio di Felice e di Teresa Musetti, era stato battezzato a Fontanetto Po il 27 novembre 1779 (24 gennaio 1777, altre fonti). Forse parente più giovane del noto compositore e violinista Giovan Battista Viotti, nato nel 1755 da Felice e Maddalena Milano, attivo anche a Parigi e morto a Londra nel 1824, recentemente riscoperto come il compositore della musica de La Marsigliese.

Le notizie su Giovanni Andrea Viotti lo indicano arruolato nell’armata sabauda come soldato nel Reggimento Provinciale di Vercelli nel febbraio del 1797. Promosso sottotenente al 1° Leggero Piemontese, passò poi, con l’assorbimento dell’armata sabauda a quella francese, al 112° Reggimento di fanteria di linea e, nel 1803, al 31° Leggero. Tenente al 3° Battaglione nel 1804, fu congedato il 16 gennaio 1809. Richiamato in servizio al comando dei Granatieri del 2° Battaglione della Guardia di Parigi nel 1812, ottenne la Legion d’onore il giorno di Natale dello stesso anno e il titolo di Cavaliere dell’Impero, istituito dal 1808 con il riconoscimento della nobiltà napoleonica.

Giovanni Andrea Viotti, favorevole al ritorno della monarchia, ricoprì un ruolo di primo rilievo a Parigi nella giustizia militare della Restaurazione, impegnandosi a fondo nella repressione e punizione contro i complici dell’imperatore che ne avevano favorito e appoggiato il ritorno in Francia dopo la fuga dall’esilio all’Isola d’Elba. Con la carriera svolta nella restaurazione monarchica, venne poi nominato ufficiale dell’Ordine reale della Legione il 9 ottobre 1820, perché la decorazione creata da Napoleone Bonaparte non venne mai soppressa e sopravvive ancora oggi. Egli fu tra i protagonisti del Consiglio permanente di guerra della 1a Divisione militare e di lui restano resoconti a stampa di quando prese la parola – come testimone dell’accusa ed esecutore degli arresti – per formulare i capi d’accusa a molti generali dell’epopea napoleonica.

Sua l’arringa nel processo al tenente generale Anne Jean Marie René Savary, ex capo della polizia napoleonica, duca di Rovigo, poi graziato dal re e protagonista della feroce colonizzazione di Luigi Filippo dell’Algeria, alla fine della sua carriera e della sua vita, che cessò nel 1833. Viotti, capo di stato maggiore e relatore, affermò al processo: «La prima cura che fu presa al ritorno del re fu di far sparire tutti i documenti, in natura tale da dimostrare l’esistenza della cospirazione che aprì a Bonaparte il cammino dall’Isola d’Elba alle coste della Provenza, e quello dalla Provenza alla capitale. Questa attenzione ufficiosa da parte dei congiurati non ebbe un successo completo: alcuni documenti sfuggirono alle loro ricerche, e, tra queste, qui ne offriamo uno che assume il carattere di una prova materiale contro il tenente generale Savary. Questo documento è una lettera scritta durante l’usurpazione da parte dell’imputato stesso e contiene due affermazioni distinte: la prima è che, prima del 1° marzo 1813, ci fu un’intelligenza tra Bonaparte e un gruppo di personaggi a Parigi di cui l’imputato ne faceva parte; e, la seconda, in cui si afferma che Mr. Renault sarebbe stato uno degli agenti di questa intelligenza. Concludo che il tenente generale Savary sia dichiarato connesso al tradimento, in quanto, con manovre segrete e per mezzo di intelligenze criminali, ha facilitato il ritorno di Bonaparte in Francia. Nonostante fosse tra gli ufficiali generali dell’esercito del re ricevendone un trattamento economico dai fondi del tesoro reale, aveva accettato il 20 marzo dall’usurpatore l’impiego di ispettore generale della gendarmeria».

Dopo un’ora di deliberazione, le conclusioni di Viotti furono adottate dal consiglio che, all’unanimità, decretò la pena di morte del duca di Rovigo contumace. Nel processo a carico del maresciallo di campo generale Antoine Rigau e del capitano Thomassin, comandante la gendarmeria di Châlon, le conclusioni di Viotti furono le seguenti: «Un ufficiale generale, incaricato dal re di un comando importante, impiegava, sotto la direzione dei capi riuniti a Parigi, il denaro per pagare i provocatori della rivolta, per fare stampare e distribuire proclami sediziosi, per dissacrare le truppe, a proteggere dalla legge le spie di Buonaparte, a preparare infine il trionfo dell’usurpatore. Il maresciallo di campo Rigau vi è denunciato come colpevole di tradimento e ribellione; il capitano Thomassin è accusato di essersi reso complice di questi crimini. Nulla vi è invece nei documenti a carico che possa giustificare questa accusa. Ma, pur ammettendo che non ho la convinzione intima della complicità dell’accusato nei crimini di cui il generale Rigau si è reso colpevole, non devo tacere che questa convinzione che non sento, potete averla acquisita. Qualunque sia la determinazione che prenderete nei confronti del capitano Thomassin, non esitate a pronunciare la condanna del maresciallo di campo Rigau, che non è qui per rispondere alle domande che sarebbe stato interessante rivolgergli, da un uomo che, non contento di giurarsi, disonora il soldato, solleva la plebaglia e dà asilo ad un generale (Lefebvre-Desnouettes) che si era appena macchiato del più grande dei crimini, camminando sulla capitale e minacciando la persona sacra del Re».

Il Generale Savary

Il Generale Savary

Il consiglio condannò il generale Rigau, contumace, alla pena di morte e alle spese del processo, e scarcerò il capitano Thomassin dalle accuse contro di lui. Rigau, o Rigaux, secondo altre varianti, dopo la prima caduta di Napoleone e dopo aver servito come coraggioso generale della Repubblica e dell’Impero, venne incaricato, per ordine del re, di prestare servizio nel comando della regione militare della Marna. Ma con il ritorno di Napoleone nel marzo 1815, decise di voltare le spalle al re e di collaborare al ritorno di Napoleone. Il fallimento del generale Lefebvre-Desnouettes nel tentativo di prendere il controllo di La Fère lo costrinse a nascondersi. Il generale Rigau cercò invece di usare la sua influenza sulle truppe e si riunì a Châlons. Lasciò però la città con il 5° Reggimento Ussari e il 12° Reggimento di fanteria di linea, ma, nello stesso giorno, tornò a Châlons per garantire l’incolumità del maresciallo Auguste-Frédéric-Louis Viesse de Marmont, duca di Ragusa, ricercato dalla polizia del re. Il giorno successivo, il 21 marzo, prese il comando della Marna in nome di Napoleone e si apprestò a marciare su Parigi. Attaccato nel mese di luglio dal generale russo Czernicheff, fu schiacciato da forze superiori, catturato e portato a Francoforte. Rimesso in libertà dopo il secondo Trattato di Parigi nel 1815, si trovava a Saarbrücken mentre il consiglio di guerra, il 16 maggio 1816, lo condannava a morte in contumacia.

Singolare fu l’epilogo della vita del generale Antoine Rigaux, il cui nome è inciso come Rigau nell’Arco di Trionfo a Parigi: perseguitato dalla giustizia militare francese, nel 1817, con un gruppo di avventurieri dell’ex esercito di Napoleone e con i familiari, raggiunse gli Stati Uniti d’America e, sotto la guida del generale Charles Lallemand, crearono una colonia militare francese in Texas, sul fiume Trinità, chiamato Champ d’Asile. L’esperimento durò un anno. Rigau si stabilì quindi con la figlia, Antonia, e il figlio, Périclès Narcisse, giovane capitano, a St. Martinville, in Louisiana, dove morì nel 1820.

Il Colonnello Charles de La Bédoyère davanti al plotone d'esecuzione

Nel processo al generale César Alexandre Debelle, nell’udienza finale del 24 marzo 1816, si legge: «La seduta permanente è ripresa all’una e un quarto. Viene introdotto il generale Debelle. Resta un ultimo testimone da ascoltare: si tratta del signor de Rostaing, ispettore della rivista e cavaliere di San Luigi. La sua deposizione è la più importante. Il signor capo di battaglione Viotti prende la parola e presenta un luminoso riassunto del dibattito e conclude elencando i punti di colpevolezza ascrivibili al maresciallo di campo Debelle: 1° d’aver, senza diritto né motivo legittimo, preso il comando del Dipartimento della Drôme; 2° d’aver, senza legittimo ordine, ugualmente effettuato delle leve di uomini e di aver procurato a questi uomini armi e munizioni; 3° d’aver combattuto contro le truppe del re e di conseguenza contro la Francia. Egli richiede inoltre che la formula di degradazione della Legion d’onore, prescritta per la legge del 6 Ventoso dell’anno XII, sia pronunciata dall’organo presidente». César-Alexandre Debellefu condannato a morte, graziato dal re e condannato a 10 anni di prigione nella cittadella di Besançon. Su interessamento del duca d’Angoulême, nel luglio del 1817 fu congedato dall’esercito e tornò libero con la sua pensione. Morì nel 1826.

Viotti compare ancora, come testimone dell’accusa del procuratore del re, nel processo a carico del Tenente Generale Henry Gratien Bertrand e del generale Lefebvre-Desnouettes, reo di aver preso parte a quella rete di cospiratori che appoggiarono apertamente il ritorno di Bonaparte dall’esilio all’Isola d’Elba. Il generale Bertrand fu accusato di: «aver fatto marciare il corpo dei cacciatori reali dalle Fiandre a Parigi e tentato di prendere il deposito d’artiglieria di Fère dopo aver ingannato le truppe di quest’ultima cittadina e di Compiègne». Il generale, fedelissimo di Napoleone, lo aveva seguito nell’esilio all’Isola d’Elba nel 1814 e combatté al suo fianco a Waterloo. Fu condannato a morte nel 1816, poi amnistiato con il possesso del grado dal re Luigi XVIII. Fu eletto deputato nel 1830 e dieci anni dopo si recò all’Isola di Sant’Elena per recuperare la salma di Napoleone Bonaparte. Morì nel 1844 e i suoi resti riposano a Les Invalides con quelli dell’imperatore. Fu un personaggio che comparve nei romanzi storici de Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas e ne I Miserabili di Victor Hugo.

Finì invece fucilato, il 19 agosto 1815, a Plain de Grenelle, malgrado la supplica della moglie Georgine de Chastellux, il generale Charles de la Bédoyère, coraggioso eroe di guerra napoleonico. Quando nel 1815 Bonaparte tornò dall’esilio, schierò il suo reggimento al fianco di Napoleone presso Tavernolles e fu promosso Maresciallo di campo, Pari di Francia e Conte dell’Impero. Il generale de la Bédoyère entrò nell’Armata del Nord e partecipò alla campagna in Belgio, servendo come aiutante di campo di Napoleone. Durante la battaglia di Ligny e la seguente disfatta di Waterloo, capì che non avrebbe potuto sperare nella concessione dell’amnistia, ma cercò di tornare a Parigi per rivedere un’ultima volta la moglie prima dell’esilio in Svizzera. Riconosciuto, fu arrestato. Nel processo emerse la testimonianza del maresciallo di campo Devilliers: «Quando, il 7 marzo 1815, osservando il passaggio delle truppe a Chambéry, venne avvertito che il 76° Reggimento di Linea usciva da Grenoble e marciava davanti a Bonaparte sotto gli ordini del colonnello Labedoyère, che gridava: “Viva l’imperatore! Avanti, amici miei!”. Devilliers corse subito dai disertori e ne fece retrocedere un centinaio. Ma, arrivato alla testa del corpo, le sue preghiere furono vane. Spiegò a Labedoyère l’enormità del crimine che stava commettendo, ma l’imputato non ascoltò i suoi rimproveri e resistette agli ordini di questo ufficiale generale».

Viotti riportò che: «Gli abitanti della città lo videro rientrare verso le otto di sera, sempre a capo del suo reggimento davanti a Napoleone Bonaparte. Un’aquila, di cui Labedoyère si era munito, serviva già da stendardo imperiale all’alfiere del reggimento». Reclamò quindi in aula il capo d’accusa: «Concludo che Charles de Labedoyère sia dichiarato colpevole di tradimento e ribellione».

Limputato rispose: «Accetto tutti i fatti che mi sono imputati. Essi sono a conoscenza di tutti. Lo confesso con dolore, gettando gli occhi sulla mia patria, il mio torto è di aver ignorato le intenzioni del Re, e il suo ritorno mi ha ben divelto gli occhi. Vedo tutte le promesse compiute, tutte le garanzie consacrate, la costituzione perfezionata, e gli stranieri vedranno ancora, lo spero, una grande nazione di francesi riuniti intorno al loro re. Forse non sono destinato a godere di questo spettacolo; ma ho versato il mio sangue per la mia patria, e mi piace persuadermi che la mia morte, preceduta dallabiura dei miei errori, potrà essere di qualche utilità; che il mio ricordo non sarà in orrore, e che quando mio figlio avrà raggiunto letà di servire il suo paese, non gli sarà rimproverato il mio nome.»

Il consiglio dichiarò, allunanimità limputato colpevole e lo condannò alla pena di morte. Il condannato si presentò in appello,  ma il secondo consiglio dichiarò allunanimità che la sentenza era confermata e che avrebbe avuto piena esecuzione. Le sue spoglie riposano al cimitero di Père-Lachaise, a Parigi. Lo stesso destino toccò al maresciallo Ney, eroe della campagna di Russia, che fu fucilato nel mese di dicembre, dando egli stesso — secondo la leggenda — lordine di fare fuoco al plotone desecuzione.

Giovanni Andrea Viotti morì il 1° novembre 1822 a Parigi appena quarantatreenne. La notizia della scomparsa venne riportata in prima pagina dal «Journal de Paris» nel numero doppio 306 e 307 del 2 e 3 novembre 1822.

Bibliografia:

Alfred Germond De Lavigne, Les Pamphlets de la fin de l’ Empire, des Cent-Jours et de la Restauration. Catalogue raisonné d’ une collection de discours, mémoires, documents politiques, procès, biographies, histoires secrétes, pièces de vers, comédies, chansons etc. publiés en 1814, 1815, 1816, 1817, Parigi 1879, https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k64204641

Fabrizio Dassano, Soldati di Napoleone! Piemontesi e valdostani dei Dipartimenti della Dora e della Sesia decorati con la Legione d’Onore, Tipografia Editrice Baima Ronchetti, Castellamonte 2016, https://www.baimaronchetti.it/prodotto/soldati-di-napoleone/

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