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Ciconio

Pecore sbranate dai lupi in Canavese: scioccanti le immagini diffuse dagli allevatori

Uccisi anche vitelli, cani e asinelli. Coldiretti denuncia: “Senza interventi, le aziende chiuderanno. È già successo”.

Pecore sbranate dai lupi in Canavese: scioccanti le immagini diffuse dagli allevatori

Un nuovo drammatico episodio scuote il Canavese e getta benzina sul fuoco di un dibattito sempre più acceso. Questa mattina, a Ciconio, sei pecore di un allevatore sono state sbranate dai lupi in piena pianura. Un fatto che non sorprende più: le segnalazioni di predazioni e avvistamenti si moltiplicano, non solo nelle vallate torinesi, ma anche nella Collina Torinese, nel Chivassese e in tutta la pianura. Le prede non sono più solo pecore e capre, ma anche vitelli, puledri e asinelli, oltre a cani strappati dalle aie e trovati mezzi consumati nei pressi delle cascine. Il fenomeno si sta trasformando in una vera e propria emergenza per il settore agricolo e zootecnico.

Secondo Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino, è arrivato il momento di voltare pagina: "Non possiamo più ignorare questa realtà. I lupi non sono più confinati nei boschi delle vallate; oggi li troviamo stabili anche in pianura. Gli attacchi al bestiame stanno diventando un flagello insostenibile per i nostri allevatori". E non si tratta solo di danni economici. La frustrazione e l'esasperazione stanno portando molte aziende agricole a decisioni drastiche: chiudere l'attività o rinunciare alla transumanza estiva in montagna, una tradizione secolare che rischia di essere cancellata.

Gli allevatori non chiedono la luna. Coldiretti Torino insiste su misure concrete e immediate: aumentare gli stanziamenti per la difesa del bestiame, rendere i rimborsi per gli animali uccisi più equi e rapidi e, soprattutto, adottare un approccio radicalmente nuovo. La recente decisione della Convenzione di Berna ha aperto una breccia importante: il lupo, data la sua attuale diffusione, non è più considerato una specie da proteggere in modo assoluto e incondizionato. Questo potrebbe consentire interventi di gestione attiva che fino a oggi sono stati bloccati da vincoli normativi e ideologici.

"Dobbiamo cambiare approccio", prosegue Mecca Cici. "Non possiamo più limitarci a proteggere; dobbiamo iniziare a gestire. Una gestione guidata da criteri scientifici, non dall’emotività, ma che sia vera e concreta. Non decidere nulla o ostacolare le soluzioni significa condannare le aziende agricole alla chiusura". Il rischio, secondo Coldiretti, è che l'immobilismo politico e burocratico porti a una spirale di conflitti sempre più insanabili tra chi difende la natura a oltranza e chi, come gli allevatori, vive quotidianamente il territorio e ne subisce le conseguenze.

La situazione attuale è un perfetto esempio di come l'emotività collettiva possa soffocare la razionalità. Per anni, la narrazione del lupo come simbolo di natura selvaggia da proteggere a tutti i costi ha ignorato le esigenze reali delle comunità rurali. Ma oggi, di fronte a una popolazione di lupi in crescita esponenziale, anche il romanticismo ambientalista più ostinato deve fare i conti con i numeri. Non si tratta più di una specie a rischio, ma di un predatore che ha saputo adattarsi e proliferare, spingendosi ben oltre i suoi habitat tradizionali.

L'inazione politica non è più accettabile. Ogni attacco rappresenta non solo una perdita economica per gli allevatori, ma anche un colpo inferto alla tenuta sociale e culturale di intere comunità. L’agricoltura, in particolare quella di montagna, è già un settore fragile, messo alla prova dalla competizione globale, dal cambiamento climatico e dalla burocrazia asfissiante. Aggiungere il lupo a questa lista di ostacoli significa scavare la fossa per un’intera economia rurale.

Coldiretti Torino non esita a puntare il dito contro le istituzioni: dove sono le soluzioni? Perché i fondi promessi arrivano con il contagocce e le misure di difesa sono così complicate da attuare? Gli allevatori chiedono risposte e le chiedono subito. Non possono permettersi di aspettare anni per rimborsi ridicoli, né di investire somme ingenti in recinzioni e sistemi di protezione che, spesso, si rivelano inefficaci.

Il caso di Ciconio è solo l’ultimo di una lunga serie, ma potrebbe diventare il simbolo di una svolta. Se le istituzioni non agiscono ora, il rischio è che la situazione sfugga di mano. Gli allevatori, esasperati, potrebbero decidere di agire per conto proprio, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero per il delicato equilibrio tra uomo e natura.

In questo momento cruciale, il Canavese si trova a un bivio. Da una parte, c’è la possibilità di costruire un modello di convivenza sostenibile, dove la presenza del lupo sia gestita in modo razionale e rispettoso delle esigenze di tutti. Dall’altra, c’è il rischio di lasciare che l’esasperazione prenda il sopravvento, portando a una rottura insanabile tra le comunità rurali e chi, dalla città, guarda a questi problemi con superficialità o indifferenza.

L'ora delle scelte è adesso. E queste scelte devono essere guidate da dati, analisi e una visione chiara del futuro. Altrimenti, gli allevatori continueranno a essere lasciati soli, vittime di un sistema che li considera solo un elemento marginale di un’economia rurale sempre più abbandonata a sé stessa.

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