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Scarmagno

Rogo Darkem, niente carcere per i fratelli D'Arco: i reati sono prescritti

17 feriti e 7 anni di battaglie legali cancellati dalla sentenza che salva i fratelli D'Arco, condannati a tre anni di carcere in primo grado

L'incendio della Drkem

L'incendio della Drkem

La Corte di Cassazione ha posto fine al processo sul caso Darkem con una decisione che lascia l’amaro in bocca: i reati contestati ai fratelli Davide e Giuseppe D’Arco, amministratori dell’azienda, sono stati dichiarati estinti per prescrizione. La vicenda, iniziata oltre sette anni fa, si conclude così con una sentenza che, più che giustizia, sa di resa alle lungaggini del sistema giudiziario.

I fratelli D’Arco erano stati condannati in primo grado a tre anni di reclusione per incendio e lesioni, alcuni dei quali gravi. In Appello, la pena era stata ridotta a due anni e dieci mesi, ma il giudizio di colpevolezza era rimasto invariato. Oggi, il verdetto della Cassazione cancella ogni responsabilità penale, grazie a una prescrizione che premia gli imputati ma calpesta le aspettative delle vittime e della comunità.

L’incendio, avvenuto la sera del 30 maggio 2016 nell’ex area Olivetti di Scarmagno, fu un evento devastante: quattro violente esplosioni accompagnarono le fiamme, lanciando detriti che danneggiarono abitazioni vicine e ferirono 17 persone, tra cui sette vigili del fuoco, due carabinieri, due poliziotti e tre residenti. Un episodio che ha lasciato ferite profonde, non solo fisiche, ma anche nella fiducia verso il sistema di giustizia.

La prescrizione, che avrebbe dovuto essere uno strumento eccezionale, si trasforma in una beffa per le vittime. Il loro diritto a vedere riconosciuta la responsabilità degli imputati viene cancellato da un sistema che sembra premiare l’attesa invece del merito. La decisione della Cassazione è un promemoria doloroso delle falle strutturali della giustizia italiana, incapace di arrivare a sentenze definitive in tempi ragionevoli.

L’insoddisfazione delle vittime

Le statuizioni civili rimangono in vigore, ma è difficile immaginare che possano restituire alle vittime quel senso di giustizia che cercano da oltre sette anni. L’incendio, con le sue esplosioni, ha sconvolto un’intera comunità, e per i feriti – vigili del fuoco, forze dell’ordine e residenti – la prescrizione è una doppia sconfitta: alla sofferenza fisica si aggiunge ora la frustrazione per una giustizia incompiuta.

Mentre l’avvocato Stefano Rossi, difensore dei fratelli D’Arco, ha definito il verdetto una «sentenza giusta», le vittime restano con poco più che l’amarezza. Anche il Comune di Scarmagno, che ha ritirato la costituzione di parte civile in seguito a un accordo economico, si trova costretto a fare i conti con una vicenda che difficilmente potrà dirsi chiusa sul piano morale.

Il caso Darkem non è solo una vicenda giudiziaria, ma il sintomo di un sistema che fatica a garantire giustizia reale. In primo grado e in Appello, i fratelli D’Arco erano stati giudicati colpevoli. Tuttavia, la lentezza del processo ha fatto sì che il tempo diventasse l’alleato degli imputati, annullando tutto con un colpo di spugna.

Gli interrogativi rimangono: come è possibile che reati così gravi – che hanno messo a rischio vite umane e colpito duramente una comunità – finiscano nel nulla per un cavillo procedurale? Quanto vale la parola “giustizia” se, alla fine, il sistema permette che si arrivi alla prescrizione prima che sia scritta la parola fine?

Per le vittime, questa sentenza è una ferita che difficilmente si rimarginerà. La prescrizione non è giustizia: è una sconfitta per le istituzioni, un fallimento che rischia di minare ulteriormente la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario. Il caso Darkem dovrebbe essere un monito, non solo per i tempi della giustizia, ma per la necessità di un sistema più equo, capace di garantire che le responsabilità vengano accertate e che nessuno possa sfuggire alle proprie colpe.

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