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Alessandro Baudissard detto "Cadorna", l'ultimo bandito. La fuga da Cantoira, la cattura a Rivara

La breve ma intensa carriera criminale di "Cadorna", tra omicidi, rapine e scontri a fuoco. Una storia che intreccia mito e realtà nelle valli piemontesi del primo Novecento. Un testo di Giancarlo Sandretto per la rivista Canavèis di Baima e Ronchetti

Rivara, l’attuale piazza Martiri della Libertà e via Bartolomeo Grassa, (allora via Umberto I). A destra s'intravede la Cantina del Castello, una delle osterie del paese (collezione Silvio Marazzato).

Rivara, l’attuale piazza Martiri della Libertà e via Bartolomeo Grassa, (allora via Umberto I). A destra s'intravede la Cantina del Castello, una delle osterie del paese (collezione Silvio Marazzato).

Alessandro Baudissard detto Cadorna (o l’Americano o il Marchese) è forse l’ultimo bandito ad essere passato per il Canavese ed è ricordato ancora adesso, a quasi cent’anni dalla cattura. La sua figura quasi diffonde un alone di fama, benché la sua «carriera» sia stata brevissima: dal primo episodio di sangue – lo scontro con i carabinieri in val Chisone del marzo 1918 – all’arresto in una osteria a Rivara – nel maggio 1920 – passano appena due anni.

Una certa eleganza di portamento e un atteggiamento spavaldo – lo stesso che metterà in mostra anche nelle sedute del processo a suo carico – hanno contribuito a far di lui un personaggio, in grado di distinguersi dagli altri delinquenti.

 

* * *

Attorno Canischio, Prascorsano e Rivara ancora nell’ultimo dopoguerra si parlava di lui, ricordando di quando gli uomini del paese andavano a fare i lavori di campagna armati di fucile nella tema di incontrarlo. In realtà Baudissard e i suoi complici preferivano bottini più sostanziosi, frutto di colpi in villa o di furti agli esercenti, come quelli di cui si ha notizia commessi a Pont e dintorni.

Era nato a Mentoulles, nei pressi di Fenestrelle, in alta val Chisone nel 1893, da una famiglia di contadini. Nel settembre 1912, a 19 anni è alpino in un reggimento spedito in Africa per combattere nella guerra italo-turca. In Libia ci resta per due anni, ed è anche promosso caporale. Torna in Italia. Per malattia è all’ospedale militare e nel periodo di convalescenza cominciano i suoi guai. Trovato in possesso di una bicicletta rubata viene condannato a 5 mesi di prigione dal pretore di Fenestrelle, sconta la pena e viene rispedito all’ospedale militare. Nel maggio 1917 fugge e pochi mesi dopo, in ottobre, lo segue il fratello minore Luigi (in alcune cronache nominato Emilio), anch’egli soldato. 

La latitanza in Val Chisone e in Val di Susa.

I due fratelli girano per la Val Chisone e la Val Susa, ed è probabile raggiungano più volte la Francia. Sanno di essere ricercati perché su di loro pende una condanna a morte del tribunale di guerra di Torino, per diserzione. Passano l’inverno con espedienti vari, del resto conoscono i boschi e il territorio delle loro valli, fanno i taglialegna e ricevono anche l’aiuto della famiglia.

Il 24 marzo 1918 sono nei pressi di Mentoulles: stanno per incontrarsi con Giovanni Perotto, gestore dell’osteria di Inverso Pinasca, per una compravendita di legname.

Ma sembra che il Perotto li segnali ai carabinieri. Due di essi, Emilio Parea ed Eugenio Genre, cercano di fermarli. Il Parea spara e ferisce Alessandro al dorso che cade a terra. Ma poi si rialza, reagisce con un bastone e lascia il carabiniere immobile, ferito a sua volta. I due fratelli in qualche maniera riescono a fuggire e raggiungono il confine francese.    

Cantoira nel Val Grande di Lanzo. Un gruppo di case del paese, con l’Albergo del Centro di Bartolomeo Ala in bella evidenza, dotato di macelleria e stallaggio.                                            

Cantoira nel Val Grande di Lanzo. Un gruppo di case del paese, con l’Albergo del Centro di Bartolomeo Ala in bella evidenza, dotato di macelleria e stallaggio.

Il primo omicidio in Francia.

In Francia si ricongiungono con un terzo fratello, Ernesto, che già lì lavorava. A loro è attribuito l’omicidio del curato Alberto Rossignol di Argentière-la-Bessée (nella valle della Durance, a pochi chilometri da Briançon), stecchito nella notte del 15 agosto 1918 con quattro colpi di rivoltella: si era alzato perché aveva sentito dei rumori in canonica. Il povero curato si era trovato di fronte a degli uomini mascherati e si era messo a gridare. I malviventi erano sì scappati ma l’avevano colpito a morte. Nella valle si susseguono i furti nella chiese e sono tutti sul chi vive.

Le cronache riportano che a Saviny (ma forse si tratta di Savines-le-Lac, sempre nella valle della Durance) il 9 febbraio 1919, i tre fratelli sono fermati dai gendarmi Dedieu ed Isnard. Nuova colluttazione con ferimento dei gendarmi, presi a colpi di rivoltella, nuova fuga. Ernesto è catturato il giorno seguente e finisce nel carcere di Embrun.

Intanto in Italia, il padre Pietro e la madre Maria Virginia nel febbraio 1919 sono arrestati in quanto ritenuti fiancheggiatori.

Giovedì primo maggio: Alessandro e Luigi sono nuovamente a la-Bessée e nella notte si scontrano con il cantoniere Toye, nella cui cantina cercano dei viveri. Toye, spalleggiato dai concittadini, si mette alla ricerca dei due; nel buio si sentono più colpi di fucile ma non li trovano. Luigi lo vedranno il giorno dopo, in una siepe, senza vita. Raggiunto da colpi d’arma da fuoco, muore a 23 anni.

Ernesto intanto fugge dal carcere. Mentre la moglie di una guardia – in quel momento assente – gli consegna il pasto, lui si impadronisce delle chiavi, chiude la donna in cella e sparisce. È una scena da film western. Ernesto torna in Italia ma viene ricatturato dalle parti di Bussoleno, in Val Susa. 

A Cantoira.

Cadorna è rimasto solo, torna in Italia ma sa di non poter girare nei paesi attorno alla casa di origine. Vaga tra l’Astigiano e le Valli di Lanzo.

A Villanova d’Asti, a novembre uccide il carabiniere Gatti: «Il disgraziato milite, – riporta la cronaca di stampa – trovato il brigante vestito da sergente di artiglieria in attitudine sospetta, lo avvicinò per chiedergli le generalità ed accertarsi se si trovava alla presenza di un disertore». Baudissard fulmineo estrae la rivoltella e spara. Gatti cade a terra, morto.

Cadorna si sposta a Cantoira, conosce tal Vincenzo Poma con cui stringe amicizia tanto da essere ospitato dalla sua famiglia. Poma lo presenta come un cugino tornato dall’estero e in paese prendono a chiamarlo l’Americano. È qui che si crea una fama di guaritore, perché conosce il potere di certe erbe medicinali, forse imparando da qualche montanaro delle sue valli. Cura da una brutta polmonite la figlia del Poma stesso, la voce si propaga e il suo intervento è richiesto altre volte in paese. Ma non tutto fila liscio e qualche sospetto comincia a nascere. La sua presenza è segnalata ai carabinieri, che decidono di fermarlo.

Il 30 novembre 1919, di primo mattino, il brigadiere Giovanni Zunino e il carabiniere Paolo Ronchino cercano di sorprenderlo in un fienile, dove pensano stia dormendo. Non è ancora giorno. Nel fienile riposa anche un figlio del Poma. Nel mentre che Zunino interroga quest’ultimo, Baudissard spara al gendarme ferendolo gravemente all’addome. Interviene il carabiniere Ronchini, che però ha la peggio e l’Americano riesce a scappare dal tetto, facendo perdere le tracce. I tre Poma – il padre e i due figli Giovanni e Giacomo – qualche giorno dopo sono accusati per favoreggiamento e saranno poi graziati a seguito di un decreto di amnistia.

A Forno.

Il bandito è ricercato da tutte le stazioni dei carabinieri. Fugge ancora e nel dicembre 1919 arriva dalle parti di Forno, dove si sistema nella casa di Antonio Boetto, che gli dà aiuto e lo indica come suo nipote a chi chiede informazioni. Per Baudissard è un breve momento di gloria: è qui a Forno che, in qualche modo, si guadagna il soprannome di Marchese, facendosi passare per ricco torinese venuto a riposarsi all’aria salubre dei monti. Ed è in quei giorni che conosce Paolo Lorenzatti, rivarese di pessima fama e grami rapporti familiari, giovanissimo – ha appena 18 anni – ma già pregiudicato per piccoli reati. È il complice con il quale verrà catturato a Rivara.

Baudissard e Lorenzatti non sono soli, altri poco di buono fanno parte della banda di grassatori che si aggira nella zona. Non si limitano ai colpi ma si compiacciono della loro spavalderia, rivolta anche contro i carabinieri.

La banda passa nottate nelle osterie, dove il vino non viene lesinato. L’immagine del torinese distinto, tra i pintoni e le ore piccole passate nelle bettole, comincia a vacillare. I carabinieri non sanno che il Marchese è Baudissard, ma cominciano a sospettare qualcosa. 

La cattura nell’osteria di Rivara.

Deve essere stata una notte tumultuosa, l’ultima passata da uomo libero da Baudissard e dal giovane socio. All’osteria della Pace i due arrivano di mattina presto, dopo una notte passata a far schiamazzi in compagnia di altri giovani, sembra anche attorno alla caserma dei carabinieri del paese. A quell’ora l’osteria è ancora chiusa ma avvistano la proprietaria – la signora Perona – con la quale il pregiudicato di Rivara ha qualche ruggine e la obbligano ad aprire i battenti. Si fanno servire da bere e da mangiare. Della loro presenza vengono informati i carabinieri e subito il brigadiere Poncetto e due carabinieri sono lì nei pressi. Non hanno però la certezza di trovarsi di fronte al ricercato Alessandro Baudissard. Capiranno presto di aver a che fare con un tipo energico dal grilletto facile. L’arresto avviene con difficoltà, anche perché i malviventi si fanno scudo delle ragazze presenti nel locale. Il bandito trovatasi sbarrata la via di fuga verso le strade del paese tenta di raggiungere il cortile attraverso una finestra ma non si accorge dell’inferriata. Spara e ferisce il brigadiere Poncetto ma questi reagisce. Baudissard vorrebbe sparare ancora ma la rivoltella si inceppa. È la mattina del 30 maggio 1920 ed è la fine della sua breve carriera. Anche il Lorenzatti viene scovato, nascosto in una latrina. Ha un coltello ma non oppone resistenza.

«Si lasciò legare ed accompagnare con il suo… maestro nella Sezione dei carabinieri. – riporta un giornale dell’epoca. – Tutto il paese seguì i due malviventi. E non sarebbe stato improbabile il linciaggio, se i carabinieri, compiendo anche in questo rigidamente il loro dovere, non li avessero salvati dall’ira della folla». 

Il processo a Torino.

Cadorna e il giovane Lorenzatti sono trasferiti a Torino. Nelle concitate fasi della sparatoria Baudissard è stato ferito e deve andare in infermeria: è stato colpito alla mascella da un colpo di moschetto, il braccio destro è spezzato da uno sparo. Una cicatrice gli rimarrà sul volto e perderà l’uso del braccio. Ma è un tipo tenace e impara a scrivere con il braccio sinistro. Stenderà anche una specie di memoriale, che intende presentare al suo avvocato difensore. Il processo va per le lunghe e solo nel pomeriggio del 23 gennaio 1923 si arriverà alla sentenza.

Il bandito è riconosciuto colpevole di più reati: diserzione, omicidio, rapina, furto ed è condannato alla pena dell’ergastolo con dieci anni di segregazione. Finirà i suoi giorni in prigione. Il giovane Lorenzatti, al quale sono riconosciute le attenuanti per seminfermità mentale, è condannato a sette anni e sette mesi di reclusione, per complicità del Baudissard.

 

(g.s.)

Gli arrestati in manette. Una foto quasi misteriosa

Di questa foto – che fa parte della collezione di una famiglia di Forno Canavese – non si sa molto, se non che sul retro appare una sola scritta:Baudissard.

Potrebbe riguardare i giorni seguenti alla cattura dei due banditi in quel di Rivara – Alessandro Baudissard e del rivarese Paolo Lorenzatti, diciottenne al momento dell’arresto – ma è più probabile si tratti di una qualche fase del processo svoltosi a Torino. L’abbigliamento pesante parrebbe non indicare una foto scattata agli inizi di giugno (la cattura avviene il 30 di maggio) quando, di solito, il caldo già si fa sentire.

Si sa che prima dell’arresto un proiettile ha colpito Cadorna – questo uno dei tanti soprannomi di Baudissard – alla mascella e un altro al braccio destro. I movimenti del braccio gli saranno impediti, tanto che dovrà imparare a scrivere con la mano sinistra, in carcere. Qui si nota che è tenuto ai ferri da un carabiniere, legato al solo polso sinistro, mentre la mano destra è posata all’interno della tasca del giaccone.

I carabinieri appaiono compiaciuti. Baudissard ha portamento fiero, è vestito con proprietà, giacca elegante e cappello in testa. Ha i baffetti neri, che terrà nel corso del lungo processo terminato il 23 gennaio 1923.

L’altro è più dimesso, con i polsi serrati dalle manette.       

                               

La cattura di Baudissard a Rivara

Un movimentato arresto a colpi di rivoltella

rivara

Rivara, la via principale del paese, via Umberto I all’angolo con via Parrocchia. La Farmacia chimica è in primo piano a destra, e s’intravede anche l’ingresso del municipio (collezione Silvio Marazzato).

Sulla «Stampa» del 1° giugno 1920, martedì, un lungo articolo descrive i fatti di due giorni prima. «L’epilogo sanguinoso della banda Baudissard» è il titolo del pomposo – nello stile di quei tempi – e dettagliato servizio nel quale si dà notizia della cattura del ricercato a Rivara. E ancora: «Un brigadiere dei carabinieri tre volte ferito s’impadronisce del brigante. La vigliacca difesa dell’assassino». Ecco alcuni stralci.

* * *

La celebre banda di malfattori, assassini, rapinatori, grassatori che ha per mesi portato il terrore nelle valli di Susa e di Pinerolo e anche in paesi di oltre alpe, ove si rivelò per l’assassinio del curato di Argentières, banda capitanata dai fratelli Ernesto, Emilio ed Alessandro Baudissard, è definitivamente sciolta.

L’Alessandro Baudissard dalla valle di Susa peregrinò a lungo nell’Astigiano, passò l’inverno nelle valli di Lanzo e attualmente ancora si trovava nel Canavese. Scoperto domenica a Rivara, fu catturato in seguito alla emozionante battaglia a rivoltellate, che ci apprestiamo diffusamente a narrare.

 

L’odio al carabiniere.

Gli ultimi delitti compiuti dall’Alessandro Baudissard ebbero per campo Villanova d’Asti e la tranquilla frazione di Cantoira (Ceres) in Valle di Lanzo. A distanza di pochissimi giorni il famoso bandito passava dall’Astigiano al Canavese, e commettendo furti su furti, rapine su rapine. I due ultimi delitti ebbero di mira la oppressione di carabinieri. A Villanova d’Asti egli uccideva nel mese di novembre il carabiniere Gatti. Nelle Valli di Lanzo culminarono con il tentato assassinio del brigadiere dei carabinieri Giovanni Zunino. Anche questo delitto risale al novembre scorso. Lo Zunino veniva avvertito da una donna che in un cascinale poco distante dal centro di Cantoira si trovavano due individui sospetti. Non appena il brigadiere ed il carabiniere comparvero, il brigante usciva armato di rivoltella e la spianava contro il brigadiere. Lo Zunino cadde a terra ferito ma per fortuna riuscì a scampare alla morte. Il Baudissard, compiuto l’attentato, riprendeva la via dei monti e per qualche tempo non faceva più parlare di sé.

Altri attentati contro i carabinieri venivano nei pressi di Carmagnola, dove la sua presenza era stata segnalata da un audace furto compiuto in casa di una signora. A distanza di un giorno tentava di uccidere prima un carabiniere, poi un brigadiere, e sempre con la rivoltella.

Alessandro Baudissard, il quale non ha che 28 anni, in tutta la serie dei suoi delitti e delle sue losche avventure se di una cosa non ha dato prova è di genialità. Tutti i fattacci ai quali è legato il suo nome sono pressoché identici. La presenza del Baudissard nel Canavese era stata segnalata. Da qualche tempo i contadini della regione denunziavano furti e rapine commesse in circostanze tali e da persone aventi tali connotati che tutto induceva a credeva che si trattasse proprio del celebre bandito. I carabinieri del luogo non mancarono di aumentare la vigilanza e di fare le segnalazioni del caso alle Sezioni vicine e al loro centro di direzione, Torino. L’aumentata vigilanza portò la certezza che il bandito doveva effettivamente trovarsi nel Canavesano, ma tutte le ricerche non riuscirono che a delle rincorse dietro la sua ombra.

 

I due individui sospetti nell’osteria.

Verso le 7.30 di domenica mattina (domenica 30 maggio 1920, ndc), una donna si presentava al brigadiere dei carabinieri comandante la stazione di Rivara, Giuseppe Poncetto, per avvertirlo che aveva visto entrare in un’osteria due faccie sospette.

– Due tipacci, uno dei quali è del nostro paese, e tutti qui lo conoscono per uomo di pochi scrupoli e capace di tutto; l’altro che ha una figura ancora più trista, non è di qui, ma mi sembra capace di fare anche peggio. Se non li arrestate chi sa che cosa diavolo sono capaci di fare. Non credo abbiano alcuna buona intenzione.

Risultava al Poncetto che l’individuo di Rivara, segnalato dalla donna, era veramente un tipaccio, immediatamente ordinava a due carabinieri di armarsi e moveva alla volta dell’osteria.

Una piccola osteria situata nel centro del paese, tenuta da una donna madre di tre figliole e composta di tre cameruccie e di un cortiletto abitualmente chiuso. Un locale modesto, ma tenuto con proprietà e adatto al luogo.

Quando il brigadiere ed i carabinieri giunsero nei pressi della locanda notarono che sulla porta dell’osteria vi era una persona che non era del tutto sconosciuta, la quale sembrava facesse da «palo» per una qualche impresa ladresca. Osservava intorno con circospezione ed appena si accorse che i tre carabinieri avanzavano, entrò precipitosamente nell’osteria.

Il Poncetto affrettò il passo e così fecero i suoi due compagni, ma non riuscivano ad evitare la sorpresa che temevano. Il Baudissard abbandonava l’osteria ed usciva nella strada armato dell’immancabile rivoltella. E prima ancora che i tre carabinieri avessero avuto tempo di notare la sua comparsa, fulmineamente scaricava la rivoltella e colpiva il brigadiere Poncetto. Rientrava poi subito nell’osteria per cercare una via di scampo.

 

Si fa scudo delle donne.

Nonostante fosse ferito, e nemmeno leggermente, il brigadiere Poncetto, si dispose ad entrare nell’osteria. Lasciò uno dei suoi uomini sulla porta per evitare una qualche fuga del brigante dalla finestra, ed impugnata la rivoltella penetrò nel locale. Nobile esempio di eroismo ed abnegazione nell’adempimento del proprio dovere. Il bandito aveva nel frattempo cercato di fuggire verso l’interno, ma vista impossibile la fuga, era tornato nella prima stanza dell’osteria, forse per chiedere alla ragazza – la proprietaria del locale era momentaneamente assente – da quale parte poteva fuggire. In quel momento entrava il brigadiere seguito dai carabinieri. E si ingaggiò una vera battaglia fra i tre uomini. Il Baudissard, vistosi in procinto di essere preso, nuovamente si armò della rivoltella e riprese a sparare. Audacissimo e pronto, per impedire che il brigadiere potesse far fuoco contro di lui, mentre sparava faceva schermo alla sua persona colle ragazze dell’osteria che terrorizzate assistevano alla scena, in modo che, mentre i carabinieri erano esposti alle rivoltellate del brigante, non potevano far fuoco su di lui per non uccidere le ragazze.

La lotta ingaggiata nella prima stanza, passò nella seconda e nella terza. Il brigadiere Poncetto veniva nuovamente colpito dal Baudissard, non una volta, due, ma benché grondante sangue da tre ferite, non desisteva dal suo tentativo di impadronirsi del brigante.

Una scena tragica resa ancora più spaventosa dalla presenza di tre ragazze costrette a servire da schermo al malvivente. Momento terribile che si è risolto, come era nel desiderio, colla cattura del brigante, ma lo si deve unicamente allo spirito di sacrificio dimostrato dal brigadiere e dal suo compagno.

 

L’inferriata.

Vuotata la rivoltella e messo nella impossibilità di ricaricarla il Baudissard si vide in procinto di capitolare, ma per evitare ciò, tentò ancora di fuggire.

Fuggire dove? Una finestra gli si parò dinanzi. La finestra era fortunatamente protetta da una inferriata. Nel portarsi alla finestra e nel restarvi aggrappato il bandito si tolse per un istante dalla protezione delle ragazze e fu il momento per i carabinieri di agire.

Contemporaneamente, il brigadiere scaricava la rivoltella ed il carabiniere il moschetto ed un proiettile colpiva il bandito alla mascella e l’altro ad un braccio.

Un grido di imprecazione sfuggì dalle labbra del Baudissard, ma non si diede per vinto ancora. Anziché abbattersi trovò nuova energia.

Si buttò nell’altra stanza e guadagnò il cortile. E correndo gli riuscì di caricare nuovamente la rivoltella, tanto che quando il brigadiere ed il carabiniere gli si ripresentarono dinanzi nel cortile, il brigante poteva nuovamente spianare contro di essi la rivoltella. Fece scattare il grilletto, ma il colpo non partì.

D’un balzo il carabiniere allora gli fu sopra e colla cooperazione del brigadiere e dell’altro carabiniere riuscì a legarlo. Non fu poca fatica. Il brigante oppose ai tre militi una resistenza accanita. Le ferite non parevano pesargli, il sangue che gli colava dalla bocca non dargli alcun fastidio. Lottò disperatamente, ed anche quando fu ridotto all’impotenza, non si tenne dal tentare qualche altra azione per fuggire.

Tentò, legato, di prendere ancora la fuga, ma i carabinieri tenevano troppo alla preda fatta per lasciarsela sfuggire.

 

L’identificazione.

Assicurato ben bene il Baudissard mentre tutta Rivara si metteva in subbuglio, i carabinieri si posero alla ricerca dell’altro bandito. Nativo di Rivara e conosciuto nel paese, non poté nemmeno tentare di negare l’essere suo. Risultò essere certo Paolo Lorenzato. Il Baudissard nulla volle dire circa gli atti da lui compiuti, né delle passate, né delle nuove gesta. I carabinieri provvidero a farlo medicare. Le ferite da lui riportate non sono leggiere. Come gravi sono le ferite avute dal brigadiere Poncetto, per il quale però non esiste pericolo di vita.

Segnalato il fatto alla Legione dei carabinieri di Torino, partivano per Rivara il giudice istruttore ed il capitano dei carabinieri Lerici, comandante la seconda compagnia esterna dei carabinieri. Il giudice istruttore ha disposto per il trasporto a Torino del bandito e del suo complice. Verrà ricoverato nella infermeria delle carceri, in attesa della guarigione.

Il brigadiere Poncetto è rimasto ferito alla testa, al fianco sinistro ed al ginocchio destro. Il bandito alla mascella ed al braccio destri.

La notizia dell’arresto del famigerato brigante ha portato a Rivara ed in tutto il Canavese un grande senso di sollievo.

 

«L’ombra di Baudissard!»

Un tentato omicidio a Corio nel marzo 1920

 

Cadorna, soprannome del bandito Baudissard, è già in galera da due anni ma le cronache parlano ancora di lui. Sul giornale «L’Ordine Nuovo» di giovedì 15 giugno 1922 si racconta del processo riguardante due componenti la sua banda – Chiaudero di Villarbasse e Cortese di Valperga – che a Corio, nel marzo 1920, avevano tentato di uccidere Vincenzo Gay, brigadiere dei Regi Carabinieri.

 

* * *

Chiaudero Candido fu Michele di anni 29 da Villarbasse e Cortese G. B. di Domenico di Valperga Canavese sono comparsi ieri davanti alla sezione straordinaria della Corte d’Assise per rispondere di mancato omicidio premeditato nella persona del Brigadiere dei CC.RR. Gay Vincenzo, per avere il Chiaudero esploso contro lo stesso due colpi di rivoltella, senza però colpirlo. L’episodio è avvenuto il 14 marzo 1920, in una frazione di Corio Canavese. Il Brigadiere Gay si trovava in una macelleria quando il Cortese, allora sedicenne, entrava nel negozio con una scusa puerile, inviato, quale staffetta, dal Chiaudero a spiare le mosse del brigadiere dei RR.CC.

Quest’ultimo usciva poco dopo dalla macelleria e veniva aggredito dal Chiaudero il quale gli sparava contro due colpi di rivoltella, fortunatamente andati a vuoto.

Il processo ha acquistato ieri un certo interesse, perché i due imputati, pur essendo personalmente delle scialbe e insignificanti figure, facevano parte della banda del famoso bandito Baudissard.

La influenza di quest’ultimo è aleggiata durante tutta l’udienza; dalle dichiarazioni degli imputati e dalle deposizioni dei testimoni, tutti reticenti, paurosi di parlare troppo e di compromettersi, è emerso chiaramente il terrore che ad essi incute una possibile vendetta del Baudissard, il quale, per quanto in carcere, ha forse dei complici devoti che, liberi, vegliano per lui.

Ben a ragione l’avv. Riccio, uno dei difensori del Chiaudero, ha esclamato ad un certo punto, mentre il presidente tempestava di domande un teste che non voleva parlare: «Non parla perché è presente l’ombra di Baudissard!».

Dopo la requisitoria del P.M. e le arringhe difensionali, i giurati hanno ritenuto il Cortese complice in mancato omicidio ed il Chiaudero responsabile del mancato omicidio con premeditazione, senza attenuanti: il primo è stato condannato a 3 anni e 4 mesi ed il secondo a 20 anni e 20 giorni di reclusione ed alla interdizione perpetua dai pubblici uffici. Presidente: Lavagna / P.M.: Andreis / Difesa: Avv. Guido Secreto e Gianotti per il Cortese e Riccio e Quattrocolo per il Chiaudero.

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