Cerca

Inchiesta

Un killer di nome amianto: ecco dov'è il numero più alto delle vittime in Piemonte. E perché si muore ancora

1.545 persone perdono la vita ogni anno a causa del mesotelioma in Italia. La mortalità si riduce tra gli under 50

Amianto

La legge di messa al bando dell'amianto risale al 1992

Polvere. Quella di cui si sono riempiti i polmoni fino a non riuscire più a respirare. Quella che si attaccava su tute, guanti e vestiti, che per sgrassarli “ogni fine settimana bisognava vuotare una tanica di benzina”. Quella che ti prendeva agli occhi, quando entravi in fabbrica e tutt’intorno avvertivi una nebbiolina sottile sottile. Polvere di amianto.

Quella che gli ormai pochissimi sopravvissuti e oggi anziani ex dipendenti della Saca di Cavagnolo (1947-1987) associano al cancro che si è portato via i loro affetti più cari: un genitore, il marito, la moglie, un figlio, gli amici. Cavagnolo, Brusasco, Verrua Savoia, ma anche Brozolo, Lauriano, Monteu da Po sono le comunità del Chivassese che hanno pagato il tributo più alto alla “fabbrica della morte”, la Saca, l’azienda consociata dell’Eternit di Casale Monferrato dove si producevano manufatti in cemento-amianto destinati all’edilizia.

Si muore per la Saca anche oggi che l’azienda è stata tirata giù, l’area su cui sorgeva bonificata e su quelle che erano le sue fondamenta sorgono un palazzetto dello sport, un supermercato e alcune villette. Eppure, quando nel dopoguerra l’Eternit decise di mettere su uno stabilimento a Cavagnolo, furono in molti a gioirne, ignari di quanto nociva potesse essere la lavorazione di quelle miscele di amianto e cemento.

A Balangero, nelle Valli di Lanzo, stessa storia.

La cava amiantifera di Balangero è la più grande d’Europa. O meglio, lo era. Il sito è chiuso dal lontano 1990, ma la sua storia comincia nei primi anni del ventesimo secolo. Precisamente nel 1904, anno in cui venne scoperto il giacimento dal Commendatore Callisto Cornut...

Oggi, 17 ottobre 2024, che è stato reso pubblico il nuovo Rapporto Istisan dell’Istituto Superiore di Sanità sulle morti d'amianto in Italia, la mente non può non andare a quelle persone, quelle storie, quelle vittime di un male così infimo quanto letale.

Un'inchiesta de La Voce del 2007 sui famigliari delle vittime dell'amianto a Cavagnolo

I morti d'amianto in Italia

Tra il 2010 e il 2020 ogni anno in Italia sono decedute per mesotelioma in media 1.545 persone, 1.116 uomini e 429 donne. Dei decessi osservati in media ogni anno, 25, (l’1,7%) avevano un’età uguale o inferiore ai 50 anni.

Sono i dati riportati nel nuovo rapporto Istisan 24|18 ‘Impatto dell’amianto sulla mortalità. Italia, 2010-2020’ dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sulla mortalità per amianto nel nostro paese.

Il rapporto appena pubblicato riporta una diminuzione del numero dei decessi per mesotelioma tra gli under50 negli ultimi anni, un primo effetto della legge 257/92 con la quale l'Italia vietò l'utilizzo dell'amianto e la produzione di manufatti contenenti amianto.

“L’Istituto superiore di sanità - afferma Rocco Bellantone, Presidente dell’Iss - è impegnato da anni su questo tema e il problema amianto rimane tra le priorità di sanità pubblica. L’Iss continuerà a contribuire alle attività di ricerca e alla sorveglianza epidemiologica delle malattie amianto-correlate, nonché alla definizione di strumenti per il rilevamento delle sorgenti di esposizione all’amianto ancora presenti nel nostro Paese, e all’implementazione di azioni preventive, fornendo supporto alle istituzioni e ai cittadini, attraverso momenti di interlocuzione e condivisione”.

Le regioni e i comuni a più elevata mortalità

Le regioni Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta e Liguria presentano un numero di decessi per 100.000 abitanti maggiore della media nazionale, ma i casi sono distribuiti sull’intero territorio italiano. In totale sono stati registrati su tutto il territorio nazionale quasi 17.000 casi nel periodo 2010-2020 (vedi tabella 2 pag. 3 del rapporto).

Il numero dei decessi è superiore al numero atteso sulla base della media regionale in 375 comuni: si tratta di territori con cantieri navali, poli industriali, ex industrie del cemento-amianto, ex cave di amianto.

Casale Monferrato: "la città bianca"

Durante la Seconda Guerra Mondiale era chiamata “la città bianca”: gli aerei alleati non riuscirono mai a distruggerne il ponte perché ad una certa altezza si vedeva solo una nuvola biancastra che si levava dai cementifici locali. Casale Monferrato, dal 1906 e fino a vent’anni fa, era considerata una delle capitali italiane della produzione cementiera. Qui aveva sede il maggiore degli stabilimenti della multinazionale elvetica Eternit in Italia: basti pensare che nella seconda metà degli anni Settanta la produzione casalese di manufatti in cemento-amianto impiegati nell’edilizia rappresentava più del 40 per cento di quella nazionale.

In ottant’anni di storia all’Eternit di Casale trovarono impiego 4.879 operai, una cifra considerevole se rapportata agli appena quarantamila abitanti del piccolo centro alessandrino. Con il fallimento della società del 1986, riflesso locale della crisi che investì a livello nazionale il comparto edile, la produzione di fibrocemento scomparve dalla zona ma non, purtroppo, le tragiche conseguenze della sua presenza per tanti anni.

Oggi, il nome di Casale Monferrato è associato a quello dell’Eternit non per ricordare la straordinaria produttività degli anni del dopoguerra, quanto piuttosto per le centinaia di casi di morti per cancro tra gli ex dipendenti, per le malattie professionali e per le lunghe battaglie legali condotte ad ogni livello contro la proprietà dall’Associazione Familiari Vittime Amianto e dal Comitato Vertenza Amianto, costituiti nel 1989 dai lavoratori ammalati e dai parenti di quelli deceduti per mesoteliomi e per sclerosi polmonare meglio nota come asbestosi.

La coscienza della nocività dell’esposizione all’amianto tra gli operai dell’Eternit cominciò ad aversi a partire dalla fine degli anni Sessanta, quando le rappresentanze sindacali iniziarono ad “usarla” per ottenere prima aumenti salariali, poi modifiche dell’organizzazione del lavoro e degli impianti di aspirazione. Dalla fine degli anni Settanta, quando si divulgò la diagnosi e la pubblica conoscenza del mesotelioma, si sviluppò un movimento di lotta, sostenuto dalla Cgil locale, da piccoli gruppi di ambientalisti e medici, per eliminare l’amianto quale materia prima, richiederne la messa al bando, che avverrà solamente con la legge n. 257 del 27 marzo 1992, e il risarcimento dei danni subiti.

Le rivendicazioni si spostarono in fretta nelle aule di giustizia e portarono nei primi anni Ottanta ad un contenzioso in magistratura per il riconoscimento a centinaia di lavoratori di varie prestazioni risarcitorie dell’Inail, per la quale il mesotelioma divenne malattia professionale solo nel 1987, e per altre di natura previdenziale dell’Inps. L’evolversi delle lotte operaie suscitò l’interesse della magistratura locale e nel 1985 la Procura della Repubblica di Casale, all’esito di un’indagine epidemiologica dell’Ispettorato del Lavoro, denunciò 136 morti sospette riconducibili all’esposizione all’amianto.

Partì un procedimento penale che si concluse dopo otto anni, in Cassazione, con le condanne da sei mesi a tre anni e mezzo di reclusione per presidente, amministratore delegato e direttori dell’Eternit italiana, ma i tempi del processo fecero cadere in prescrizione le richieste delle 1.700 parti civili. Fu la curatela fallimentare del Tribunale di Genova, mesi dopo, a stabilire un primo risarcimento di sette miliardi di lire da spartire fra tutti i 1.700 familiari e lavoratori che avevano presentato altrettanti ricorsi contro la società che in Italia aveva sede legale nel capoluogo ligure: questo risarcimento, seppur modesto, venne considerato un punto di partenza per altre cause civili, in corso ancora oggi.

L’ultimo atto di una vicenda lunga decenni è quello avviato nell’autunno del 2004 con il maxi esposto presentato alle Procure di Torino e di Casale dall’Associazione Familiari Vittime Amianto, a cui si sono aggiunti i parenti dei lavoratori deceduti nella Saca di Cavagnolo, la consociata dove, ad una trentina di chilometri da Casale, nel torinese, si lavorava il fibrocemento. In totale le firme apposte in calce ad un esposto “da guinness” dei primati sono 1.800.

I casi di Cavagnolo, nel chivassese, e Balangero in Valle di Lanzo

La vicenda dell'amianto in Piemonte ha segnato profondamente, oltre ovviamente alla comunità di Casale Monferrato, sede dell'Eternit, anche quelle di Cavagnolo e Balangero, due aree simbolo del dramma legato all'esposizione a questa pericolosa fibra.

Il caso della fabbrica Saca di Cavagnolo, consociata dell'Eternit di Casale Monferrato, e la cava di amianto di Balangero, la più grande d'Europa, rappresentano due esempi devastanti di come l'amianto abbia influito sulla salute di intere generazioni di lavoratori e abitanti delle aree circostanti.

Il caso della Saca di Cavagnolo

La Saca di Cavagnolo, attiva dal 1947 al 1987, è tristemente ricordata come una “fabbrica della morte”. In quegli anni, gli operai e gli abitanti della zona sono stati esposti a elevate quantità di polvere d'amianto, un killer silenzioso che ha causato la morte di molti lavoratori e loro familiari. Si stima che almeno cinquanta persone siano decedute a causa di malattie legate all’esposizione all’amianto, tra cui mesotelioma e asbestosi. Tuttavia, si ritiene che le vittime siano molte di più, considerando che non solo gli operai della fabbrica, ma anche i loro familiari e gli abitanti vicini allo stabilimento sono stati esposti alle fibre letali​.

L'ex Saca di Cavagnolo

Le testimonianze degli ex lavoratori, raccolte negli anni, sono toccanti. Maria, che ha lavorato alla Saca dal 1949 al 1958, ci aveva raccontato di come la polvere d'amianto si depositasse ovunque: “Entrava dalle finestre e si posava sulle lenzuola e sui vestiti”. Maria ha perso il marito e il fratello a causa di malattie legate all’amianto​.

Anna, altra ex operaia, ricordava come la polvere si attaccasse a tutto e come anche i guanti di cotone e gomma, che usava per proteggersi, non fossero sufficienti. Suo marito e suo cognato sono morti a causa del cancro ai polmoni, sviluppato a seguito di anni di esposizione all'amianto.

Non solo gli operai, ma anche le loro famiglie hanno pagato un prezzo altissimo. Vittorina raccontava: “Mio marito aveva i polmoni pieni di fibre d'amianto. È morto a 44 anni, uno dei primi a essere stroncato da questa malattia”. Anche lei aveva lavorato alla Saca, respirando quella stessa polvere mortale​.

La cava di Balangero

La storia dell’amianto a Balangero ha inizio nel 1904, quando il commendatore Callisto Cornut scoprì il giacimento. Da quel momento, la cava divenne una delle principali fonti di amianto in Italia e in Europa. Negli anni '60, la produzione annuale arrivò a circa 35.000-40.000 tonnellate.

La cava, denominata “San Vittore”, fu per decenni una delle principali fonti di reddito per i minatori delle Valli di Lanzo e della zona di Ciriè.

Nonostante la chiusura definitiva nel 1990, i segni lasciati dalla cava sono ancora visibili. Gli enormi gradoni artificiali che caratterizzavano il sito sono ancora parte del paesaggio di Balangero, e la cava stessa è diventata parte integrante della vita del paese.

Tuttavia, la consapevolezza dei pericoli legati all'amianto ha fatto sì che il sito venisse chiuso e, negli ultimi anni, fosse affidato a una società pubblica per la bonifica.

L'amiantifera di Balangero

La battaglia legale e il maxi esposto

Le morti per amianto legate alla Saca di Cavagnolo e alla cava di Balangero fanno parte di un dramma più ampio che coinvolge migliaia di persone in tutta Italia.

La vicenda giudiziaria relativa all'Eternit ha inizio con un processo storico avviato nel 2009. Questo maxi-processo vedeva coinvolti Stephan Schmidheiny e il barone Louis De Cartier de Marchienne, accusati di disastro doloso e omicidio colposo per la morte di migliaia di persone, vittime dell'esposizione all'amianto negli stabilimenti italiani della multinazionale.

Nel 2012, la sentenza di primo grado del Tribunale di Torino ha condannato Stephan Schmidheiny e De Cartier de Marchienne rispettivamente a 16 anni di reclusione per disastro doloso e omissione di misure di sicurezza. Questa sentenza rappresentava una vittoria simbolica per i familiari delle vittime e per l'Associazione Familiari Vittime Amianto, guidata da Bruno Pesce. Tuttavia, la battaglia legale ha subito una svolta nel 2014, quando la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza per intervenuta prescrizione, stabilendo che i reati contestati dovevano essere considerati estinti, poiché risalenti a più di vent'anni prima.

Nonostante questo colpo di scena, le famiglie delle vittime e le autorità giudiziarie non si sono arrese. Nel 2015, sono stati avviati nuovi procedimenti legali, noti come Eternit bis, in cui Schmidheiny è stato accusato di omicidio volontario per le morti causate dall'esposizione all'amianto. I processi sono stati suddivisi per competenza territoriale nelle sedi di Torino, Vercelli, Napoli e Reggio Emilia. Le accuse si basano sulla responsabilità dell'imprenditore svizzero nella gestione degli stabilimenti italiani, con particolare riferimento alle morti avvenute anche dopo la chiusura degli impianti.

Il magnate svizzero Stephan Schmidheiny

Nella primavera 2023 l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny è stato condannato a 12 anni di carcere per le morti legate all’amianto, il reato è stato derubricato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo. Questa la sentenza in Corte d’Assise a Novara del processo Eternit bis per la morte di 392 persone vittime dell’esposizione al minerale nel territorio di Casale Monferrato.

Schmidheiny è stato condannato anche a pagare 50 milioni di euro di risarcimento al Comune di Casale, 30 milioni allo Stato italiano e centinaia di milioni ai familiari delle vittime.

Per Cavagnolo, invece, un'altra storia.

La Corte di Cassazione, per l'ennesima volta, ha annullato la condanna per le vittime dell'amianto nel processo Eternit Bis che riguarda il filone torinese.

Un processo tutto da rifare: gli atti sono stati rinviati in appello e nel frattempo i reati cadranno in prescrizione.

La mortalità tra i giovani è in calo

Negli ultimi anni, come indicano i dati del rapporto, si osserva una diminuzione del numero dei decessi, in particolare tra la popolazione con 50 anni o meno (31 casi osservati nel 2010 e 13 casi nel 2020).

Le morti per mesotelioma osservate tra i più giovani - come spiegano gli esperti dell’Iss - sono probabilmente dovute a una esposizione avvenuta in età pediatrica in ambienti non-occupazionali, vista la lunga latenza (fino a 30-40 anni) della malattia.

La maggior parte delle persone decedute per mesotelioma è stata probabilmente esposta all’amianto in ambienti lavorativi nei decenni passati. Ma l’esposizione può essere avvenuta anche in contesti domestici o ambientali, per inalazione di fibre rilasciate nelle abitazioni oppure nell’ambiente da sorgenti presenti sul territorio.

Il mesotelioma e la legge 257/92

Il mesotelioma è un tumore aggressivo, ad alta letalità con una latenza anche di 30-40 anni, che colpisce le cellule del mesotelio, il tessuto sottile che ricopre gran parte degli organi interni. Il mesotelioma nell’80% dei casi circa è dovuto all’esposizione all’amianto.

Per il fatto di rilasciare fibre inalabili, l’amianto (chiamato anche asbesto) oltre che del mesotelioma può essere responsabile di asbestosi (una malattia polmonare cronica conseguente all'inalazione di fibre di asbesto) e, seppure con una quota attribuibile più bassa e più difficile da stimare, anche di altre tipologie di tumore, come il tumore polmonare e dell’ovaio.

Il 27 marzo del 1992, con 13 anni di anticipo rispetto all’Europa, in Italia entra in vigore la legge 257/92, che stabilisce il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione di amianto.

La necessità di intervenire

“Le morti e le malattie per amianto destano un grande senso di ingiustizia sociale che richiama tutti alla necessità di intervenire - ha dichiarato Marco Martuzzi, direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Iss - In Italia molto è stato fatto negli ultimi decenni, per cui oggi si vedono i primi effetti positivi”. “Ma l’amianto rimane un’emergenza ambientale e sanitaria - riprende l’esperto - che richiede urgenti interventi di prevenzione, eliminando esposizioni residuali all’amianto ancora presenti nel nostro Paese. Va assicurata un’adeguata assistenza sanitaria e sicurezza sociale agli ex esposti, ai malati per amianto e ai loro familiari”.

Si tratta di interventi che richiedono uno sforzo sinergico tra le istituzioni locali e nazionali, le associazioni, il mondo della ricerca.

Il Progetto SEPRA

E in questa direzione di sinergia va il Progetto SEPRA (Sorveglianza Epidemiologica, Prevenzione e Ricerca sull’Amianto), finanziato dall’Inail e coordinato dalla Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Nell’ambito di SEPRA, presso l’Iss oggi, giovedì 16 ottobre, si tiene il workshop aperto esclusivamente a ricercatori coinvolti nel Progetto e a rappresentanti delle associazioni, dal titolo ‘L’impatto sulla salute dell’amianto in Italia: sorveglianza epidemiologica, prevenzione e supporto agli ex-esposti: stato dell’arte e strumenti innovativi di ricerca e intervento. Il Progetto SEPRA’.

Durante il workshop saranno discussi i dati del rapporto dell’Iss e le attività in corso del Progetto tra rappresentanti delle associazioni e ricercatori coinvolti in SEPRA. Obiettivo della collaborazione tra le diverse istituzioni, le reti accademiche e gli enti coinvolti è la condivisione delle conoscenze e dei dati delle diverse fonti informative, come quelli della mortalità presentati dall’Iss e i dati del Registro Nazionale Mesoteliomi in modo da rafforzare gli strumenti disponibili per l’eradicazione delle malattie da amianto nel Paese e per il supporto ai malati e ai loro familiari.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori