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Pizza, il segreto millenario che non ti aspetti: ecco la sua vera origine

Cosa lega antichi forni e tradizioni napoletane al cibo che oggi tutti amano?

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Pizza

In tutto il mondo la pizza è una celebrità, tanto da essere riconosciuta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Sapete quali sono le due città del mondo dove sono aperte più pizzerie? New York e San Paolo del Brasile.

Questo è solo un esempio di quanto la pizza sia oramai una ricetta globale, oltre che un simbolo dell’identità culinaria italiana e, in particolare, napoletana. A consacrare la “mondializzazione” di questo piatto è arrivata nel 2017 anche l’Unesco, l’organizzazione dell’Onu che salvaguarda cultura, scienza e tradizioni, che ha inserito l’arte del “pizzaiuolo napoletano” nel novero del patrimonio culturale dell’umanità.

Insomma, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando la pizza era un semplice cibo di strada della Napoli del tempo che fu. La pizza che mangiamo abitualmente, tonda, cotta al forno a legna e guarnita con pomodoro e mozzarella, è sicuramente partenopea doc. Però il nostro “cerchio” di pasta affonda le sue radici lontano da Napoli.

Già nella Mesopotamia preistorica, quando nacquero i primi forni, si usavano cuocere degli impasti di acqua, sale e farina. Questi impasti erano schiacciati e sottili per velocizzarne la cottura e somigliavano più a focacce che alle pizze odierne. I Romani presero l’abitudine di dare a questi impasti una forma tondeggiante, facendole cuocere in contenitori rotondi di rame. Poi le usavano come “piatti”, su cui appoggiare le varie pietanze. Così alla fine, chi voleva, si mangiava anche il piatto! Vi sono molte ipotesi sull’origine del nome “pizza”. Quella più accreditata parla di una derivazione da un antico termine longobardo, bizzen, che significava “morso”.

 

I Longobardi controllarono l’area napoletana per molti secoli a cavallo dell’anno Mille e bizzen si volgarizzò in “bizzo” oppure “pizzo”. Sempre attorno al Mille risalgono le prime attestazioni scritte della parola “pizza”, un alimento che in molti documenti medievali fa parte dei canoni che i contadini dovevano corrispondere ai signori ogni anno. In molti documenti della curia romana risalenti al Medioevo si parla invece di “pissas”, anche se più che una pizza era una schiacciata di farina impastata e condita con aglio, strutto e sale grosso. Del 1535 è una attestazione fondamentale. Il poeta Benedetto di Falco nella sua Descrizione dei luoghi antichi di Napoli affermò senza tema di smentita che la “focaccia, in napoletano, è detta pizza”. Nel capoluogo campano, sempre nel Cinquecento, avvennero alcune innovazioni fondamentali. Lo strutto venne progressivamente sostituito dall’olio d’oliva e vennero previste come guarnizioni formaggio ed erbe aromatiche, prima fra tutte l’origano. Agli inizi del Seicento debutta la prima pizza verace partenopea conosciuta, la pizza alla Mastunicola, cioè del “maestro Nicola”, che usava ancora lo strutto ed era guarnita di formaggio, tipo caciocavallo. Secondo alcuni però Mastunicola deriverebbe da Vasinicola, termine che in napoletano indica un ingrediente fondamentale della pizza: il basilico. Mancavano ancora all’appello pomodoro e mozzarella. Il primo cominciò a essere coltivato largamente nel Napoletano a fine Settecento e, sotto forma di passata, venne ben presto usato per condire la pasta e anche la pizza. Negli stessi anni, sempre nel Regno di Napoli, venne incentivato l’allevamento delle bufale, con cui produrre formaggi e mozzarelle.

Così nel 1858 Francesco De Bourcard nel suo Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti poté presentare, tra le vere pizze partenopee, anche quella con mozzarella. Il dado era oramai quasi tratto e la tradizione fa risalire a una visita a Napoli del re d’Italia Umberto I e della consorte Margherita la prima celebrazione nazionale della pizza. Era il 1889 e la coppia reale venne accolta dal rinomatissimo pizzaiolo Raffaele Esposito, che preparò al re e alla regina la pizza alla Mastunicola, quella alla Marinara, pomodoro, aglio, olio e origano, e la pizza pomodoro, mozzarella, origano.

Una pizza tricolore per celebrare l’Italia nata da poco: fu tanto apprezzata dalla regina che alla fine venne chiamata come lei: Margherita. Paradossalmente la pizza napoletana divenne famosa negli Stati Uniti prima che nel resto del Patrio stivale. A fine ’800 seguì, infatti, gli emigranti napoletani che si recavano in America. Nell’Italia Settentrionale è diventata comune soltanto nel Dopoguerra, sempre in seguito alla forte immigrazione.

Al di fuori di Napoli però esistono molte varianti locali. La pizza romana è tonda, senza cornicione, con pasta sottile e molto croccante. L’impasto, più coriaceo di quello napoletano, va steso col mattarello invece che con le mani. La pizza genovese, derivata dalla focaccia, viene cotta in teglia ed è piuttosto alta e morbida. La pizza pisana è tonda, di medio spessore, condita con grana o mozzarella, acciughe e capperi. A Torino si è imposta invece la pizza al tegamino in cui si usa un impasto a doppia lievitatura che viene cotto in forno in un piccolo tegame. Personalmente l’odore della pizza in cottura a me fa sempre venire l’acquolina in bocca, mi apre lo stomaco ed è irresistibile. Lo sento e non posso dire di no, perché lo accolgo come un anticipo formidabile della goduria che verrà. Buona pizza a tutti.

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