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Trasporti
11 Settembre 2024 - 14:28
Pendolari su un treno affollato
L'estate appena trascorsa ha portato ai piemontesi due notizie di argomento “ferroviario”, apparentemente slegate l'una dall'altra ma su cui vale la pena riflettere.
I treni dei pendolari. La prima riguarda l'aumento, dal 1° luglio scorso, delle tariffe dei biglietti dei treni regionali, come previsto dalla delibera 5/2024 approvata nel gennaio scorso dall’Agenzia per la mobilità piemontese, consorzio che si occupa del trasporto locale per conto di Regione, Città metropolitana, Province e Comuni. L'incremento medio dei ticket di viaggio è del 3,59%; si tratta di un adeguamento delle tariffe all'inflazione, previsto da una legge regionale varata nel 2013. È il terzo ritocco dei prezzi negli ultimi tre anni, aumentati nei due precedenti - sempre seguendo l'inflazione - prima del 5,45% e poi del 5,88%. A seconda della lunghezza della tratta, un biglietto ferroviario di seconda classe costa da 10 a 40 centesimi in più rispetto a giugno, un abbonamento settimanale è aumentato fra 30 centesimi e 1,40 euro, un mensile costa da 1,50 a 5,50 euro in più. Il prezzo di un abbonamento annuale è aumentato tra 11,50 e 48 euro. Aumenti anche per le tratte integrate (treno più bus) e per gli abbonamenti Formula: il costo dell'annuale è salito da un minimo di 14 a un massimo di 38 euro. La legge regionale, varata a suo tempo dalla Giunta Cota, prevede «un incremento tariffario percentualmente quantificabile nel 100% dell’inflazione programmata dal Governo nell’anno precedente». Negli anni della Giunta Chiamparino, periodo in cui i prezzi erano sostanzialmente stabili, la norma non era stata applicata. Nel 2019 la Giunta Cirio aveva deciso di applicare la legge, ma gli effetti si sono visti solo negli ultimi tre anni, quando l’inflazione ha ripreso a galoppare.
A fronte di questi aumenti il servizio ferroviario regionale negli ultimi anni è migliorato? No, e chi viaggia per studio o per lavoro lo sperimenta quotidianamente. I treni utilizzati dai pendolari in Piemonte sono sempre affollati, sporchi e sovente in ritardo o addirittura cancellati senza preavviso. I comitati di pendolari sorti in varie zone del Piemonte lo dimostrano con dati presi “sul campo” (anzi: sul treno).
La tratta internazionale della Torino-Lione. L'altra notizia è l'annuncio dell'aumento, da 8,6 a 11,1 miliardi di euro, del costo della tratta internazionale della linea AV Torino-Lione. Telt, la società binazionale (Tunnel Euralpin Lyon Turin sas) responsabile dei lavori, partecipata al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato Italiane, ha presentato l’attualizzazione del costo previsto per la costruzione e l’attrezzaggio della linea ferroviaria; passaggio validato da un ente terzo, la società di consulenza Grant Thornton Financial Advisory Services.
L’aggiornamento dei costi è uno degli impegni di Telt nei confronti degli Stati italiano e francese e tiene conto sia dell’affidamento dei grandi appalti di lavori e del loro avanzamento, sia del calcolo degli accantonamenti per rischi e imprevisti, oltre che del contesto economico. La consegna dell’intera sezione transfrontaliera attrezzata e collaudata, inizialmente ipotizzata per la fine del 2032, è ora prevista per la fine del 2033, ma considerando i continui slittamenti del cronoprogramma nemmeno questa data è da considerare attendibile.
Secondo Telt, ad aver pesato sulla dinamica dei costi sono soprattutto le variate condizioni macroeconomiche e il rialzo dei prezzi delle materie prime, come ad esempio l’acciaio per la costruzione dei macchinari e l’ammoniaca per lo scavo con esplosivo. Che sorpresa. Ma davvero questi esperti del contesto macroeconomico, questi geni del business plan, questi luminari del capitolato pensavano che nel 2024 i prezzi delle materie prime sarebbero rimasti gli stessi di vent'anni fa? Più volte è stato evidenziato che i costi a preventivo erano chiaramente sottostimati, e ora se he ha la conferma.
Il costo di 11,1 miliardi – che, c'è da aspettarsi, crescerà ancora – riguarda comunque solo la tratta internazionale; l'opera completa, comprensiva anche delle tratte italiana e francese, costerà (anche qui le cifre vengono continuamente riviste), ben che vada, tra i 20 e i 25 miliardi, in massima parte a carico delle finanze pubbliche dei due Paesi. Il contributo “europeo” (e comunque sempre di denaro pubblico si tratta) non ne copre nemmeno un quarto.
I soldi ci sono. Perché riportiamo, una accanto all'altra, queste due notizie? Lo facciamo perché purtroppo confermano quello che comitati di cittadini e associazioni ambientaliste dicono, inascoltati, da decenni: non è che i soldi pubblici per migliorare le ferrovie non ci siano; ci sono eccome, ma li si sta sprecando in un'opera inutile (oltre che ambientalmente devastante) mentre potrebbero essere più saggiamente spesi per migliorare il servizio che davvero serve: quello utilizzato quotidianamente dai pendolari, e che invece peggiora di anno in anno.
Da Torino a Lione (per inciso: quanti, tra i nostri lettori e i loro famigliari o conoscenti, viaggiano quotidianamente fra Torino e Lione? E quanti, invece, fra Ivrea e Torino, o fra Biella e Milano?) oggi si va, senza TAV, in 6 ore e mezza (riducibili a cinque, perché un'ora e mezza la si perde per il cambio di treno a Oulx, St. Jean de Maurienne e Chambéry); ma fino a un anno fa, prima della frana che nell'agosto 2023 ha interrotto la ferrovia in territorio francese, e che i nostri cugini d'Oltralpe tardano (in modo incomprensibile) a mettere in sicurezza e quindi nuovamente in funzione, con il Frecciarossa o con il TGV si andava da Torino a Lione in tre ore.
Con le proposte di ammodernamento della linea esistente più volte avanzate (molto meno costose del progetto TAV e mai prese in considerazione dai decisori) i tempi diminuirebbero ulteriormente. Le merci, poi (a proposito: qualcuno in Italia ha mai visto transitare un treno merci sulle linee ad Alta Velocità?), non hanno problemi di viaggi che durano mezz'ora in più o in meno, e comunque anche per il trasporto merci su ferro tra Italia e Francia (e viceversa) i tecnici incaricati dalle associazioni ambientaliste e dal movimento No-TAV in questi anni hanno già proposto fior di soluzioni: praticabili, economiche e meno impattanti. Sul punto e su come risolvere le criticità (sagoma, pendenze, ecc.) non occorre dilungarsi perché sono già state scritte intere biblioteche, sempre ignorate.
Il diritto di lamentarsi. In un Paese normale, dove le opere pubbliche fossero programmate in base alle reali esigenze e dove il buonsenso prevalesse sull'affarismo, i decisori politici avrebbero già deciso di abbandonare l'assurdo, costosissimo - sempre di più, come s'è visto - progetto TAV, ripiegando sul razionale ammodernamento della linea esistente fra Torino e Lione e dirottando le risorse sul miglioramento delle ferrovie che servono davvero: quelle utilizzate quotidianamente dai pendolari. Ma siccome il nostro non è un Paese normale, e gli interessi economici dei “prenditori” (e, come sarà sempre più evidente col passare del tempo, della criminalità organizzata) sono più convincenti, nei confronti della quasi totalità della classe politica, rispetto alle esigenze (e alle proteste) dei pendolari, ecco che per il TAV si spendono miliardi di euro pubblici mentre per i treni che servono per andare a scuola o al lavoro... a spendere sempre di più (e a viaggiare sempre peggio) sono i pendolari stessi.
Sui treni regionali sporchi, affollatissimi e in ritardo, sovente i viaggiatori si lamentano del disagio, del dover viaggiare in piedi ammassati l'uno all'altro, dell'arrivare sempre tardi al lavoro o a casa. Lo fanno invano, e senza averne titolo: il 95% di loro ha perso il diritto di lamentarsi. Il popolo bue, infatti, merita di stare sui carri bestiame. Tutti coloro che continuano a votare i partiti che sostengono il TAV e decidono di investire il denaro pubblico su quell'opera anziché sul servizio ferroviario utile, quando viaggiano sui treni regionali o interregionali devono tacere e sopportare. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
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