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L'Unione fa la forza
01 Settembre 2024 - 07:30
Campo largo Elly Schlein
Ecco che, dopo le elezioni Europee, la politica “non di destra” (la chiamo così perché definirla sinistra mi sembra obiettivamente azzardato) si sta impegnando nella costruzione del cosiddetto “Campo Largo”, tutti dentro contro le Destre. Al punto che, prima delle mie vacanze, a ridosso dell’inizio della raccolta firme contro l’autonomia differenziata, il Segretario cittadino del PD Eporediese mi fermava per propormi la possibilità di fare una “Festa de l’Unità” (forse con un altro nome) che unisse nell’organizzazione tutte le forze, dal PD ai 5 Stelle fino a Rifondazione Comunista.
Mi limitai a rispondere che, dal mio pur umile punto di vista, non vi erano le condizioni, anche se capisco che in quel partito ogni posizione è lecita, purché a “titolo personale”.
Un partito che, dalla guerra alle questioni del lavoro, non c’è tema su cui non convivano idee spesso opposte. Un limite che non dipende dall’attuale segretaria nazionale, ma dalla natura stessa del partito “pigliatutto”. Qualcuno ricorda cosa successe con il referendum CGIL contro il Jobs Act, in quel caso con modalità del tutto esplicite. Schlein lo ha firmato, ma come Elly, non come segretaria del PD. A titolo personale. Un po' come, a titolo personale, Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, oggi eletto in Europa nelle liste del PD, suggerì di sciogliere l'Alleanza Atlantica. Ma Tarquinio è effettivamente un ospite: Schlein è la leader. Ma se il morbo è diffuso, nulla lo fa emergere più della guerra.
Per il popolo di sinistra, quello non è un capitolo come tanti: rappresenta colonne d'Ercole difficilmente valicabili e una componente robusta del partito, incluso tutto il drappello di testa che lo guida con Schlein e che, come lei, proviene in buona parte dall'esterno del partito, sarebbe in cuor proprio forse più propenso a sospendere l'invio delle armi piuttosto che ad aumentarne la gittata di tiro consentita. In compenso, l'ex segretario Enrico Letta aveva assunto, con Meloni, la posizione più intransigente e radicalmente atlantista sulla guerra. Anche in questo caso, buona parte del PD si riconosce ancora in quella posizione. L'afasia della segretaria, che sulla guerra, cioè sulla questione più decisiva e dirimente che ci sia oggi, dice il meno possibile, deriva da questo.
Il PD era nato come partito-contenitore, ispirato in parte all'omonimo partito americano e in parte all'Ulivo, al cui interno c'era, se non proprio di tutto, almeno quasi di tutto. Ma allo stesso tempo mirava a rottamare proprio la caratteristica che aveva permesso la nascita e la vittoria elettorale dell'Ulivo: la pluralità dei soggetti al proprio interno. Nel partito-pigliatutto, l'obiettivo era invece amalgamare sino a renderle indistinguibili e quell'amalgama a venire sarebbe stato l'identità politica di cui il PD, al momento della nascita, difettava.
Il problemino era ed è che l'Italia non era allora un Paese bipartitista, e il tentativo di imporre dall'alto un sistema bipartitico, con la messa in campo del “partito a vocazione maggioritaria”, non solo non ha realizzato quel miraggio, ma ha smantellato anche il bipolarismo precedente. Fallita la missione del partito all'americana, possibile solo in un sistema già bipartitista, è andato a vuoto anche il sogno di un'identità politica definita, forgiata nel crogiolo delle diverse sensibilità interne.
Il PD è rimasto un partito senza altra identità se non la vocazione governativa, al centro e negli enti locali. I diversi segretari hanno imposto, incontrando puntualmente resistenze strenue, le loro differenti e anche molto differenti visioni, che sono puntualmente sopravvissute al leader di turno stratificandosi in diverse identità politiche accostate ma non sommate. Il PD di Elly non può prendere una vera posizione sulla guerra perché ha al suo interno l'eredità di Letta. Non può prendere una posizione sul referendum contro il Jobs Act, se non quella “a livello personale” della leader, perché puntano i piedi gli eredi dell'età di Renzi, peraltro pronto ad entrare in alleanza.
Sfida giustamente l'autonomia differenziata leghista, raccogliendo insieme alla CGIL, all’ANPI e a noi di Rifondazione le firme per il referendum abrogativo, ma non può far finta di non sapere che quell'autonomia è figlia legittima della riforma costituzionale imposta quasi 24 anni fa dai partiti poi confluiti nel PD. Elly Schlein, l'outsider eletta a sorpresa segretaria, si trova così alle prese con il rebus che tutti i segretari del PD hanno provato invano a risolvere: fare di quel partito un soggetto con una vera e riconoscibile identità politica. Ma forse è la Mission Impossible per eccellenza.
La campagna del Nazareno ha seguito una logica pigliatutto e non ha mirato a comporre un insieme di candidature e di proposte unite da vincoli di coerenza o almeno di compatibilità, ma ad aggregare mondi, personalità e visioni radicalmente inconciliabili, pur di mantenere il PD su di una linea di galleggiamento elettorale da partito virtualmente maggioritario.
Cos’è o cosa sarà quindi il cosiddetto “Campo Largo”? Sarà, nel caso nascesse, quello che già oggi è il Partito Democratico: nient'altro che un grottesco mischione di atlantisti e pacifisti, dirittisti e antiabortisti, riformisti e nostalgici, produttivisti e decrescisti, pro-Palestina e amici di Israele.
Non uscirebbe un'alleanza del «ma anche», ma un contenitore del «dipende», pronto a tutto, ma capace di niente, senza una posizione chiara su nulla, ma con tante posizioni diverse sulle questioni essenziali: l’Ucraina, Israele, la governance economica e la difesa dell’Europa, le tappe della transizione economica ed energetica, le ricette per invertire il declino italiano; interessato alla salvezza della ditta, ma indifferente all’impresa di tirare fuori l’Italia dalla palude in cui si trova.
Per cui: No, Grazie! Segretario, la Festa del “Campo largo” puoi farla da solo.
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