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Il mistero della seduta spiritica: politica, intrighi e ombre nel "caso Moro"

Dei partecipanti alla seduta, Romano Prodi divenne ministro dell'Industria nel quarto governo Andreotti

Romano Prodi. Sullo sfondo Via Gradoli

Romano Prodi. Sullo sfondo Via Gradoli

Ancora in tempo vacanziero, non vogliamo tediare il lettore con pesanti commenti, ma rimanere nella lettura critica - pur sempre rispettosa - del «magistero» di monsignor Luigi Bettazzi, volgendo lo sguardo alla lettura di quei «libretti» che puntualmente ogni anno pubblicava discettando su vari temi.

Nel 2020 usciva per le edizioni Dehoniane «Aprirsi agli altri, aprirsi a Dio», dove fin dal titolo si premette Dio agli uomini, secondo quella «svolta antropologica» che caratterizzò un ampio settore della teologia.

In esso, il presule tratta anche del rapimento Moro e di come egli si fosse proposto - come sempre non richiesto dalla Santa Sede - per il suo rilascio, e come invece la «cattiva» Segreteria di Stato, dove «si seguivano “ragioni” politiche per cui la vita dell'on. Moro doveva finire», si fosse opposta, per nulla sfiorata dal fatto che tale azione avrebbe intralciato quella di Paolo VI che, in quei giorni cruciali - come ormai storicamente e unanimemente documentato - stava raccogliendo un ingente riscatto da offrire alle BR in cambio della consegna del presidente della DC.

Singolare poi è l'accenno all'amico Romano Prodi, il quale, secondo monsignor Bettazzi, fece il nome di Gradoli, che «forse l'aveva saputo a condizione di non rivelare la fonte, così fece quel nome come se l'avesse saputo in una improbabile seduta spiritica».

Bettazzi

Che invece non fu affatto improbabile. E questo perché la famosa seduta spiritica - uno degli episodi più inquietanti, misteriosi e bizzarri della Prima Repubblica - come dichiararono tutti i partecipanti alla Commissione d'inchiesta, ci fu veramente ed ebbe come protagonisti il fior fiore del cattocomunismo accademico bolognese.

Essa avvenne il 2 aprile 1978 in una casa di campagna dell'Appennino bolognese, dove i professori, evocando i nomi di Giorgio La Pira e Luigi Sturzo, ebbero come risposta dagli spiriti il nome di Gradoli che - e qui inizia il giallo - qualcuno fece trapelare all'esterno, inducendo la polizia a perquisire il paese di Gradoli dove il piattino si era fermato, mentre invece a nessuno venne in mente di andare a Roma in via Gradoli, dove era la prigione di Moro, il cui cadavere fu poi fatto ritrovare in via Caetani il 9 maggio.

I professori bolognesi avevano contatti con l'Autonomia Operaia (Franco Piperno era professore di fisica all'Ateneo bolognese) e organizzarono la seduta spiritica per occultare la fonte informativa di un esponente del partito armato che avrebbe indirizzato la polizia al paese di Gradoli invece che all'omonima via, depistando certo, ma al tempo stesso informando, mescolando il vero al falso.

Con un'unica strategia politica: provocare il fallimento dell'operazione Moro, costringendo Mario Moretti a liberarlo, senza però far arrestare il capo delle Br, che era un avversario politico, ma non un nemico da tradire.

Tuttora i partecipanti alla seduta spiritica mantengono il più stretto riserbo sulla loro fonte, che non doveva essere un pesce piccolo del terrorismo, ma un suo esponente di prestigio, ieri a rischio di morte se le Br avessero scoperto il suo doppio gioco, e oggi con un'onorabilità personale e politica da difendere.

Dei partecipanti alla seduta, Romano Prodi divenne ministro dell'Industria nel quarto governo Andreotti, fu poi due volte presidente del Consiglio e presidente della Commissione europea, Alberto Clò ministro dell'Industria nel 1995, Mario Baldassarri viceministro dell'Economia nel 2001, Fabio Gobbo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel secondo governo Prodi. Da ricordare che la Chiesa cattolica condanna lo spiritismo e proibisce ai cattolici «di partecipare a sedute o manifestazioni spiritiche, anche se hanno l'apparenza onesta o pia, sia che si interroghino le anime e gli spiriti, sia che si ascoltino le risposte, sia che ci si accontenti di fare gli osservatori».

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