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Cronache

Nuove schiavitù tra i vigneti delle Langhe. Il vescovo avverte: "Finiranno all'inferno!" (le foto)

Dallo sfruttamento e le violenze nei campi alle morti sospette, un viaggio tra i peggiori scandali degli ultimi vent'anni che svelano il lato oscuro dell'agricoltura italiana

Nuove schiavitù tra i vigneti delle Langhe. Il vescovo avverte: "Finiranno all'inferno!" (le foto)

Le foto (in esclusiva)

Nelle Langhe ci sono braccianti sfruttati e picchiati nei vigneti, almeno una cinquantina, perlopiù africani. Con tre diversi filoni d'inchiesta, che riguardano le campagne tra Farigliano, Neive, Castiglione Tinella, Monforte d'Alba, tutti paesi del Cuneese, la squadra mobile della polizia di Cuneo è arrivata oggi a eseguire una misura cautelare per tre presunti sfruttatori, emessa dal gip di Asti.

A Taranto intanto un imprenditore agricolo è indagato dalla procura per omicidio colposo e caporalato nell'inchiesta sulla morte di un bracciante agricolo indiano di 38 anni, Rajwinder Sidhu Singh.

"Continuo a definire un criminale uno che abbandona un essere umano sul ciglio della strada come un sacco della spazzatura" ha commentato il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha lanciato un appello a lavorare insieme contro il caporalato.

La vicenda dei braccianti impiegati per la vendemmia nelle Langhe vede i tre accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e di violazioni alla normativa sul soggiorno degli stranieri in Italia.

Due sono ai domiciliari, uno di origine marocchina e uno macedone e per un albanese è scattato il divieto temporaneo di esercitare attività professionali. Sono stati inoltre posti sotto sequestro preventivo un immobile e cinque veicoli, tra auto e furgoni, usati per accompagnare i braccianti al lavoro.

L'operazione è stata chiamata Iron Rod, bastone di ferro, perché è l'arnese usato per picchiare un bracciante tra i filari e in un fabbricato del macedone, a Mango, videosorvegliato come i campi, gli agenti hanno trovato diciannove migranti ammassati, in condizioni igieniche precarie, costretti a versare un affitto, trattenuto dalla illegale paga di tre o cinque euro l'ora per dieci-quindici ore al giorno.

L'indagato aveva 16mila euro, nascosti. "Nel momento in cui la giornata lavorativa dura dieci o dodici ore, è evidente che siamo fuori dal perimetro della legalità" ha affermato il procuratore capo di Asti, Biagio Mazzeo ed emergono possibili ulteriori responsabilità: "La nostra prospettiva - spiega il questore di Cuneo, Carmine Rocco Grassi - si deve spostare ora su chi, non preoccupandosi delle condizioni di assunzione, si affida a cooperative o a soggetti come questi, pensando di potersi lavare le mani".

La Flai Cgil chiede di "agire in fretta. Non si tratta - sostiene - di episodi isolati".

Lo stesso sindacato a Taranto, chiede "piena chiarezza. Il bracciante indiano il 26 maggio scorso fu portato all'ospedale San Pio di Castellaneta dopo un malore nelle campagne di Laterza, ma era tardi per salvarlo. L'inchiesta, che attende i risultati dell'autopsia, sta verificando i dettagli dell'accaduto e la tempestività dei soccorsi".

Il nome dell'uomo è lo stesso dell'operaio indiano morto a Latina il 19 giugno scorso, dopo avere subito l'amputazione del braccio destro in un incidente nei campi ed essere stato lasciato davanti alla sua abitazione.

In Italia, il fenomeno del caporalato non è certo nuovo. Negli ultimi vent'anni, diversi scandali hanno scosso il Paese, mettendo in luce le condizioni disumane in cui versano migliaia di lavoratori agricoli, spesso stranieri, vittime di sfruttamento da parte di caporali senza scrupoli.

Uno degli episodi più noti risale al 2011, quando nelle campagne di Rosarno, in Calabria, scoppiarono violenti scontri tra immigrati africani e residenti locali.

I braccianti, impiegati nella raccolta degli agrumi, protestavano contro le condizioni di lavoro inumane e i salari da fame. Le tensioni portarono a numerosi feriti e a un intervento massiccio delle forze dell'ordine. L'episodio di Rosarno ha rappresentato uno spartiacque, portando all'attenzione nazionale e internazionale la piaga del caporalato.

Nel 2015, un altro caso clamoroso emerse a Foggia, dove fu scoperta una vasta rete di sfruttamento di braccianti agricoli, principalmente provenienti dall'Africa sub-sahariana.

Gli investigatori scoprirono che i lavoratori erano costretti a vivere in baracche fatiscenti, senza accesso ad acqua potabile o servizi igienici, e a lavorare nei campi per oltre dodici ore al giorno, sotto la minaccia di violenze.

"Queste persone vivono in condizioni peggiori degli animali. È una vergogna per il nostro Paese" dichiarò allora il procuratore capo di Foggia, Michele Emiliano.

L'inchiesta portò all'arresto di numerosi caporali e alla chiusura di diverse aziende agricole coinvolte nel sistema di sfruttamento.

Un altro scandalo rilevante si verificò nel 2018, quando a Nardò, in Puglia, furono arrestati diversi imprenditori agricoli accusati di sfruttamento lavorativo e tratta di esseri umani.

Le indagini rivelarono che i braccianti, principalmente migranti africani, erano costretti a lavorare nei campi sotto la sorveglianza armata dei caporali, che li picchiavano e minacciavano di morte se non rispettavano i ritmi di lavoro imposti. Le condizioni di vita erano disumane: i lavoratori dormivano su materassi sporchi, ammassati in capannoni senza finestre e senza riscaldamento. "Questa situazione ricorda i campi di lavoro forzato. È inaccettabile in un paese civile" commentò il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano.

Nonostante le numerose inchieste e gli arresti, il fenomeno del caporalato continua a essere diffuso in molte regioni italiane, soprattutto nel Sud. Nel 2020, un'inchiesta a Ragusa portò alla luce un altro scandalo di sfruttamento di braccianti agricoli, questa volta nel settore delle serre.

Gli investigatori scoprirono che i lavoratori, in gran parte provenienti dall'Est Europa, erano costretti a vivere in condizioni disumane, privati dei loro documenti e costretti a lavorare per salari irrisori. Le indagini portarono all'arresto di diversi imprenditori agricoli e alla chiusura di alcune aziende.

Il fenomeno del caporalato non riguarda solo i lavoratori stranieri. Nel 2019, un'inchiesta a Saluzzo, in Piemonte, rivelò che anche molti lavoratori italiani erano vittime di sfruttamento nei campi. Gli investigatori scoprirono che i braccianti erano costretti a lavorare per salari da fame, senza contratti regolari e senza alcuna tutela sindacale. "Il caporalato non conosce confini. Colpisce tutti, indipendentemente dalla nazionalità" dichiarò il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini.

La lotta contro il caporalato richiede un impegno costante e coordinato da parte delle istituzioni, delle forze dell'ordine e della società civile. È fondamentale rafforzare i controlli nelle campagne, aumentare le sanzioni per chi sfrutta i lavoratori e garantire una maggiore tutela per i braccianti. "Non possiamo tollerare che nel nostro paese ci siano persone trattate come schiavi. Dobbiamo agire con determinazione per sradicare questo fenomeno" ha affermato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una conferenza stampa nel 2020.

Nonostante i progressi fatti negli ultimi anni, la strada per debellare definitivamente il caporalato è ancora lunga. È necessario continuare a denunciare le situazioni di sfruttamento e a sostenere i lavoratori agricoli nella loro lotta per i diritti. Solo così sarà possibile costruire un settore agricolo più giusto e rispettoso della dignità umana.

'il Vangelo impone di non tacere'.  'Non solo reato, ma peccato grave'

 "Il Vangelo ci impone di non tacere e di assumere stili di vita giusti e sostenibili che cancellino ogni forma di indifferenza": lo afferma il vescovo di Alba (Cuneo), monsignor Marco Brunetti, in una lettera indirizzata a sacerdoti e fedeli all'indomani dell'operazione "Iron Rod" contro il caporalato nelle Langhe.

Il vescovo avverte i credenti "eventualmente coinvolti in episodi di sfruttamento di persone deboli e fragili, come i migranti", che non solo compiono un reato, ma "commettono un peccato grave che li esclude dalla comunione eucaristica in attesa di una conversione capace di ottenere il perdono di Dio".

"Questi fatti non ci sorprendono ma sono la conferma di un malcostume presente nei nostri territori blasonati che producono vini di alta qualità", continua la missiva. I parroci della diocesi sono invitati a leggere questa riflessione al termine delle messe di domenica prossima, come segno di solidarietà alle vittime del caporalato. 

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