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SETTIMO TORINESE
09 Giugno 2024 - 14:37
Antonio Pintus
Il prodigio inglese Jude Bellingham lo ha definito “el diablo”, sorridendo davanti alle telecamere di Sky in diretta. Si riferiva al settimese Antonio Pintus, preparatore atletico del Real Madrid, la squadra calcistica più titolata d’Europa.
La piccola Rachele, la figlia di Pintus, è saltata in braccio a Bellingham come fosse il fratellone di una grande famiglia. Ma perché el Diablo?
Il campione confida alle telecamere “Lui lo sa perché! - indicando Pintus - Mi stava quasi ammazzando con i suoi allenamenti prima di giocare anche solo una partita”.
Ma ora, invece, Jude vola sul campo leggero quanto letale in zona gol.
Poi, di fronte all’abbraccio tra Pintus e Alessandro Del Piero in veste di commentatore su Sky, Bellingham si è inchinato al suo preparatore.
“Lui è una leggenda – ha detto in inglese a Del Piero - Adesso che siamo in buoni rapporti, magari quest’anno ci va più leggero con me… vedremo vedremo!”. Altri sorrisi e tanta bellezza. Il Real Madrid di Carlo Ancelotti ha appena battuto in finale il Borussia Dortmund a Londra. Un 2 a 0 senza appello.
Fuori dallo stadio, dopo la partita, i tifosi lo acclamano ma è non la solita folla impazzita, esaltata ed ingestibile. Ad Antonio Pintus, i tifosi spagnoli riservano un elegante forma di affetto, persino commovente: sono tanti e molto giovani quelli che lo attendono all’uscita dello stadio Wembley di Londra.
Antonio accetta di fare delle fotografie con tanti di loro, pur restando seduto a bordo dell’auto di servizio.
Sorride mentre un gruppo lo saluta intonando: “Piiintus, Piiintus…”. Una lode cantata senza eccessi. Un paio di ragazze lo stringono a sé nella foto “Pintus, no Manchester City?”.
Lui deciso: “No no”. E le ragazze: “Gracias, Gracias!”. E lo baciano sulla fronte, felici e rincuorate. Un altro si accontenta di fotografarsi con lui attraverso il parabrezza. L’auto riprende lentamente la strada verso l’uscita dallo stadio ma un madrileno si avvicina e chiede di aprire nuovamente il finestrino dell’auto.
Pintus accetta l’invito: “Sei la persona più importante di tutto il gruppo – gli dice in spagnolo, toccandosi il petto – Se la squadra tiene fisicamente è solo grazie a te”. Pintus sorride e fa un cenno come dire: “Ma no, faccio soltanto il mio dovere”. E poi: “Grazie chico!”. Resta umile dopo il titolo numero 36 conquistato in carriera e la sua quinta Champions League. Mai nessuno come lui nella storia del calcio professionistico.
E’ il trionfo della settimesità celebrata anche sul quotidiano “La Repubblica” dal giornalista Maurizio Crosetti, anche lui settimese di origine e suo coetaneo. In un bellissimo articolo racconta la genesi di questo percorso iridato: le case Fiat, la polvere del campo della San Giuseppe di don Osella, e la corsa di Pintus più leggera e veloce di quella di qualsiasi altro suo coetaneo iscritto al Grest estivo.
Lo studio, la caparbietà, infiniti sacrifici tra un tirocinio e l’altro. Sempre di corsa, sui tram degli anni Novanta quando la metro a Torino era un sogno. Pintus è sempre stato forte nell’atletica leggera, ma quella vivacità delle sue gambe era soltanto il preludio di una carriera cristallina: la laurea Isef (ora Suism), il primo stipendio del presidente Lovera come preparatore del Settimo, in via Amendola negli anni Novanta, e poi la parentesi all’Akiyama diventata la squadra di judo più forte d’Italia e medaglia d’oro olimpica con Basile, nel 2016, anche grazie alla sua impronta.
E poi la Sisport, le giovanili della Juventus e la prima squadra come assistente, il Chelsea del compianto Vialli, l’Inter scudettata di Conte, l’Udinese, il Palermo, il Monaco di Deschamps. E infine il Real Madrid la squadra più forte del mondo, la società con cui ha firmato a vita.
Classe 1962, nato il 26 settembre, di famiglia sarda, papà Vittorio operaio Fiat. Sua mamma Santina vive ancora lì, in quel quartiere dai mattoni rossi. Tonino appena può vola da lei, anche solo per poche ore.
A Palermo, luogo in cui Pintus ha operato per una stagione, i quotidiani locali hanno acclamato il suo successo come fosse uno di casa. Tutto quello che Pintus fa nello sport, diventa incanto e storia. Le sue lauree sono diventate 4 e un magistero riconosciuto in tutto il mondo. Anche la NASA che ha pensato a lui per la preparazione degli astronauti.
Un’immensità che attinge sempre alle radici: “Ho tre assistenti, uno italiano, uno francese e uno spagnolo - dice Pintus - . Guardando lo stadio, ho detto al collega italiano: io ho cominciato nel 1986 sul campo di via Amendola, in terra battuta. Se ci penso, mi sembra incredibile..”. Quel campo non c’è più: è diventato un parco in cui c’è soltanto una panchina dedicata alla memoria di Walter Guerra spesso vandalizzata e tristemente trascurata, ma la storia è più forte e non svanisce nei ricordi dei settimesi.
Tutti parlano dell’imminente arrivo a Madrid di Mbappè, un altro campionissimo in grado di far infrangere altri record al Real, la società calcistica più ricca del mondo. Ma Pintus al triplice fischio dell’arbitro, nel bel mezzo della bolgia dei Blancos, è invece corso via a cercare la piccola Rachele e sua moglie Hafiza in tribuna.
“Loro prima di tutto il resto - dice - e poi un pensiero anche ai due gemelli più piccoli (Vittorio e Leonardo). Hanno 4 anni e mezzo, sono rimasti a casa con la baby sitter. Rachele ha 7 anni e ha visto sempre vincere il Real da quando ha 3 anni: anche lei può dire di aver già vinto tre Champions e uno scudetto all’Inter. - sorride - Lo stesso mister vuole che lei viaggi sempre con noi per le partite importanti”.
Una carriera costellata di successi, ma non è stato sempre oro. “Ci sono stati momenti molto duri. Nella vita degli sportivi come anche in quella degli artisti - aggiunge - non è sempre cioccolata. A volte il colore è quello, ma non ha lo stesso odore…”.
Hai mai avuto la sensazione di essere in campo anche tu? Su una palla recuperata da un giocatore, un tiro in porta…
Ho giocato dodici minuti in campo con il Chelsea grazie al compianto Vialli e va bene così. Ma quando i giocatori corrono sulla fascia, sì: ho l’istinto di scattare per dar loro una mano o anche incitarli da vicino.
Quanti messaggi hai ricevuto dai settimesi?
Tanti e mi fanno tutti piacere. Soprattutto quello di Crosetti che è sempre presente nella mia vita sportiva. E’ stato il primo giornalista ad intervistarmi nel 1978, quando vinsi la StraSettimo o il Palio dei quartieri, non ricordo bene. Avevo battuto gli adulti, io che ero un ragazzino di 16 anni. L’articolo era uscito su Stampa Sera.
E quando sei tornato a casa cosa ti hanno detto?
Rachele mi è corsa incontro già in campo. Conosce bene Bellingham, con lui ha molto feeling. E’ un ragazzo d’oro, un gentleman. Quel video durante l’intervista con Del Piero a Sky mi commuove al punto che faccio fatica a rivederlo. Mia moglie invece mi ha detto di riprendere fiato. Farò una scappata a Settimo per mia mamma e poi andrò in montagna in completa solitudine. Infine, riprenderò la famiglia e andremo in vacanza in Sardegna.
62 anni e ancora tanta voglia di fare: ma dove vuole arrivare Antonio Pintus?
Non mi sento arrivato e non guardo mai quello che ho fatto. Non guardo mai neanche le fotografie, i video o altre cose del passato. Guardo soltanto il presente e il futuro. Ho fatto otto finali di Champions, è vero, ma non le ho giocate io: mi ritengo un componente che aiuta i giocatori ad arrivare ai massimi livelli. Non voglio essere io il protagonista. Infatti non sono sui social, anche se qualcuno usa il mio nome e l’ho fatto presente. Tra l’altro è un profilo che ha molti follower ma, ripeto, non sono io. I tifosi, durante le operazioni di riscaldamento, mi acclamano, fanno dei cori per me. L’affetto delle persone mi emoziona, certo, ma mi sembra sempre incredibile perché non sono un personaggio mediatico e raramente rilascio interviste, soltanto quelle che consente la società, come in questa occasione.
Però sì: ho ancora qualche obiettivo da raggiungere, ma uno in particolare lo so soltanto io, nemmeno mia moglie. Riguarda la preparazione fisica e lo sport. E spero un giorno di raggiungerlo.
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