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31 Maggio 2024 - 19:34
Uno spaccato assonometrico della centrale nucleare "Fermi" di Trino
TRINO. Il 23 maggio scorso, un anno e mezzo dopo l'ultima audizione, i dirigenti di Sogin - la società di Stato che si occupa del decommissioning degli impianti nucleari italiani - sono stati convocati dalla Commissione comunale che si occupa della disattivazione della centrale “Fermi”. La Commissione ha infatti ritenuto opportuno fare il punto sullo stato dei lavori, per capire fino a quando Trino sarà soggetta a “servitù nucleare”. Per Sogin ha relazionato Fulvio Mattioda, che da circa un anno è subentrato a Davide Galli quale responsabile della disattivazione del sito.
I cittadini che hanno assistito alla riunione della Commissione comunale del 23 maggio
Brown e green. La disattivazione di un impianto nucleare è distinguibile in due fasi. Nella prima tutte le strutture dell’impianto vengono smontate o demolite e tutti i rifiuti radioattivi vengono condizionati e stoccati in depositi temporanei, pronti per essere trasferiti al Deposito Nazionale: si raggiunge così lo stato di “brown field” (prato marrone). Dopo il conferimento dei rifiuti radioattivi al Deposito Nazionale - che l'Italia ancora non ha realizzato, né ancora sa dove e quando lo costruirà - si procede con lo smantellamento dei depositi temporanei; a questo punto l’area, libera da vincoli di natura radiologica, raggiunge lo stato di “green field” (prato verde) e può essere riutilizzata.
Breve storia. La centrale “Fermi” fu costruita tra il 1961 e il '64 su un terreno in riva al Po offerto dal Comune, ed è stata gestita dall'Enel dal '66 al '99. Ha funzionato, “a singhiozzo”, per poco più di una ventina d'anni: tra il 1967 e il '70 ci furono problemi tecnici allo schermo radiale del nocciolo del reattore, tra il '79 e l'82 è stata fermata per adeguamenti tecnici, nel 1987 il referendum sancì l'abbandono della produzione di energia in impianti nucleari: la centrale, ricaricata con nuovo combustibile, non venne riavviata, e nel 1990 il Cipe dispose la sua chiusura definitiva.
Una veduta della centrale "Fermi", costruita in riva al Po
Da un secolo all'altro. Nel novembre 1999 la proprietà della centrale trinese, così come quella delle altre tre centrali nucleari italiane (Caorso, Latina e Garigliano), è stata trasferita a Sogin, con il mandato di procedere alla sistemazione dei materiali radioattivi presenti nel sito, allo smantellamento della centrale e al recupero e alla valorizzazione dell’area.
Nel 2000 Sogin ha predisposto e presentato alle competenti autorità il progetto globale di smantellamento dell'impianto. Quest'anno, quindi, si festeggerà il quarto di secolo da quando Sogin gestisce l'impianto. Per una centrale che ha funzionato per vent'anni (anzi: se si considerano i lunghi periodi di fermo, per meno di quindici), e che è spenta da 35, ci vorranno (almeno, ben che vada) trent'anni per terminare la prima fase dello smantellamento.
Achille e la tartaruga. Nell'ultimo ventennio Sogin - al “Tavolo di trasparenza” convocato periodicamente dalla Regione e in altre occasioni - ha presentato più volte il cronoprogramma dei lavori di smantellamento della centrale, ridefinendolo ogni volta.
Nel “programma a vita intera” redatto nel 2004 si prevedeva il rilascio del sito nel 2018, ma nel 2007 si anticipava tale data al 2012/'13. Previsione che poi la stessa Sogin ha ritrattato: «eravamo stati troppo ottimisti».
Nel 2014 Sogin dichiarava che «lo smantellamento si concluderà nel 2027 con la restituzione del sito al territorio privo di vincoli radiologici»: affermazione avventata (e infatti, poi, smentita), dal momento che il rilascio del sito privo di vincoli radiologici potrà avvenire soltanto in presenza del Deposito Nazionale; deposito che ad oggi - e, a maggior ragione, già dieci anni fa - nessuno sa quando e dove verrà costruito.
Nel dicembre 2022 - un anno e mezzo fa, quindi - il responsabile del sito Davide Galli, a precisa domanda della Commissione comunale, aveva risposto che «il brown field è previsto allo stato attuale entro il 2029». Pochi mesi dopo, nel 2023, nella pagina dedicata alla "Fermi" sul sito internet di Sogin la data del raggiungimento del brown field viene spostata al 2030. Ora si attende - sarà definito entro l'anno - il nuovo “piano a vita intera” del sito trinese, in cui il raggiungimento del brown field sarà probabilmente posticipato al 2031. Ogni anno, insomma, Sogin sposta in avanti la fine dei lavori di un altro anno, con conseguente aumento dei costi. E' molto probabile che i 245 milioni di euro previsti oggi - e che non tengono conto dei costi di trasporto del materiale al Deposito Nazionale definitivo - non basteranno.
Il vessel all'interno della centrale
Siamo al dunque. Il problema è che Sogin da almeno due anni annuncia l'inizio delle operazioni di smontaggio del vessel, il recipiente che contiene il nocciolo del reattore (ma non più gli elementi di combustibile, estratti nel 1992) e altri componenti interni, dove - ha dichiarato Fulvio Mattioda alla Rai - «c'è il 99% della radioattività ancora presente in centrale», ma di fatto continua a rinviarlo. Su Repubblica del 24 maggio 2022 Davide Galli annunciava trionfalmente «Domeremo il mostro», ma poi è andato in pensione e il “mostro” è ancora lì. L'unica cosa certa - annunciata da Galli e confermata da Mattioda - è che l’operazione andrà fatta sott’acqua, in immersione totale: il cilindro di cemento e acciaio che contiene il vessel verrà riempito d'acqua, per schermare la radioattività.
Una sezione del vessel
Arrivano gli americani. Le difficoltà di Sogin nell'approccio allo smontaggio del vessel della “Fermi” non sono sfuggite a Westinghouse, la società americana con sede in Pennsylvania che settant'anni fa ha costruito la centrale equipaggiata con reattore di tipo PWR (Pressurized Water Reactor). Nell'ottobre scorso una delegazione di Westinghouse guidata da Fabio Presot si è presentata alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati evidenziando che «ad oggi nessun reattore è stato smantellato in Italia; Westinghouse può supportare il decommissioning in maniera fattiva ed efficace». Mostrando la copertina del contratto firmato nel dicembre 1957 tra la Società ElettroNucleare Italiana (Selni) e Westinghouse, Presot ha sottolineato che «Westinghouse è proprietaria delle informazioni di progetto (intellectual property) di Trino» e ha informato di aver «richiesto un parere legale pro veritate indipendente, il quale ha confermato che le informazioni di design di Trino continuano ad essere di proprietà e sono protette. Le stesse non possono essere utilizzate per scopi differenti da quelli identificati nel contratto originale senza il permesso di Westinghouse stessa». E quindi, per chi ancora non avesse capito l'antifona, nella centrale trinese «Westinghouse si propone di operare come general contractor con responsabilità complessiva nello smantellamento del sistema di contenimento e delle strutture (che fu lo scopo di fornitura di Westinghouse durante la costruzione dell'impianto)».
La copertina del contratto del 1957 tra Selni e Westinghouse per la fornitura del reattore PWR
Insomma: Westinghouse, ventilando possibili azioni legali in caso di mancato coinvolgimento, chiede di essere incaricata da Sogin (società a totale partecipazione pubblica: ecco perché formula la proposta in sede parlamentare) del complessivo smantellamento del reattore.
Nella presentazione illustrata nell'audizione presso la Commissione comunale, Sogin non aveva minimamente accennato alla possibilità di appaltare lo smontaggio del reattore a una società esterna. E' però emerso, su sollecitazione dei commissari, che fin dal 2000 Sogin aveva avviato un gruppo di lavoro congiunto con Westinghouse e BNFL (British Nuclear Fuels Ltd, società di energia e combustibili nucleari di proprietà del governo britannico) “per lo studio del decommissioning dell'isola nucleare del reattore della centrale di Trino (smantellamento del vessel, degli internals e di tutti i sistemi, strutture e componenti)”, gruppo di cui faceva parte anche Annafrancesca Mariani, che in Sogin è attualmente responsabile unico del procedimento per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi.
Inoltre nel 2009 è stato siglato un accordo di cooperazione - che Westinghouse considera tuttora valido - tra il Dipartimento dell'Energia (DOE) degli Stati Uniti e il Governo italiano, e nel 2019 al parlamento italiano è stato organizzato un seminario, con la partecipazione dell'Ambasciata Usa in Italia, in cui si auspicava il coinvolgimento delle aziende costruttrici degli impianti (OEM, Original Equipment Manifacturer) per velocizzare le attività di smantellamento.
Infine, a precisa domanda, Sogin ha «confermato le interlocuzioni» e ammesso che tra l'autunno 2023 e la primavera 2024 un gruppo di tecnici di Westinghouse ha «visitato» la centrale trinese, senza specificare i motivi del sopralluogo.
Futuro incerto. A metà del 2024, quindi, non è ancora chiaro quando Sogin terminerà lo smantellamento della centrale “Fermi” (fino al brown field: tempi e modalità della fase successiva dipenderanno da quelli di individuazione e costruzione del Deposito Nazionale), né se lo smontaggio del vessel sarà curato direttamente da Sogin o appaltato a Westinghouse quale general contractor. In ogni caso, è molto probabile che nel 2030 - a più di quarant'anni dallo spegnimento della centrale - saremo ancora qui alle prese con lo slittamento del cronoprogramma, con il materiale radioattivo ancora stoccato nei depositi “temporanei” di Trino, e soprattutto a fare i conti su quanto tutto ciò sarà costato.
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